Cosa sprona qualcuno a cercare un corso di Arti Marziali?
Cosa lo sprona nello specifico a ricercare un corso di Aikido?
Forse la voglia di imparare a difendersi, forse vuole fare attività fisica... ciascuno avrà un po' la sua ragione, ma tutti questi motivi hanno in comune una cosa sola: sono percepiti come un BISOGNO da colmare.
Ovvero una MANCANZA che ciascuno sente nella propria vita e che crede possa venire messa a tacere, in questo caso, dalla frequenza ad un corso di discipline marziali giapponesi.
Pochi sono coloro che si affacciano alla pratica per puro PIACERE, anche perché non si può avvertire il "piacere della pratica", se prima non si è PRATICATO un po'. Al limite ci si può affacciare senza troppi bisogni da colmare, ma con una sana e fervida curiosità verso determinati ambiti.Quindi una certa quantità di persone ogni anno "bussano" alle porte dei Dojo alla ricerca di qualcosa che faccia sentire loro meglio di quanto si percepiscano al momento in cui lo fanno.
Credo che questa dinamica sia piuttosto comune e normale, anche fra molte altre discipline, sportive e non.
Veniamo quindi a chiederci SIA se il nostro ambiente sarà - di fatto - in grado di soddisfare questi "bisogni", SIA se si tratti di qualcosa di così sano essere mossi da essi nelle questioni importanti della nostra vita.Iniziamo da primo punto.
Le possibilità sono 2: o la pratica sarà in grado di colmare quella sensazione di mancanza che uno possedeva quando si è affacciata ad essa, oppure non lo sarà.
In ogni caso però è importante pensare a cosa succederà un secondo dopo: SIA che uno abbia trovato le risposte che cercava, SIA che ciò non sia avvenuto... NON ha più senso continuare con essa.
Non ha senso se non siamo riusciti a soddisfare i nostri bisogni, perché abbiamo la sensazione di starci muovendo nella direzione sbagliata... ma non ha nemmeno senso continuare con una risorsa che ci ha già dato ciò che reputavamo necessario.
Quindi c'è gente che, per uno di questi due motivi, ad un certo punto SMETTE di praticare.
Diverso invece è se - o quando - la pratica è in grado di "ri-mappare" la lista dei nostri bisogni e necessità, e farci innamorare dell'arte di farci buone domande, anziché cercare compulsivamente buone risposte a tutte quelle che ancora risultano senza.
Perché una persona dovrebbe scegliere la pratica come "compagna di vita"?
Questo avviene quando questa "pratica" diventa un modo di ESSERE... e smette di significare un salvagente delle proprie necessità: ovvero chi pratica - e non ha nessuna intenzione di far terminare questa cosa - spesso NON si limita a farlo per colmare un bisogno, ma per il puro piacere di farlo e continuare così ad esplorarsi, visto che intravvede in ciò qualcosa di inestimabile valore per sé.Entrare dalla porta per colmare un proprio vuoto ed uscirne esploratori di se stessi non dipende solo dalle propensioni di ciascuno, ma pure dagli incontri che si fanno sul tatami.
Prendiamo ad esempio un "bisognoso" che sale sul tatami ed incontra un Maestro che è ancora li a tentare di colmare un proprio bisogno (il senso di importanza verso gli altri, l'ego, imparare qualcosa che egli stesso non è ancora in grado di fare)...
Fino a quando il bisogno del Maestro e quello del nuovo allievo coincideranno, facilmente essi rimarranno fra loro legati da una sorta di "missione comune"... soddisfare qualcosa che per entrambi viene considerato importante.
Quando uno dei due - fortunatamente - riuscisse a soddisfare il proprio bisogno, perderebbe di interesse nel frequentare l'altro... poiché non si sentirebbe più compagno di niente.
Quando ho iniziato a fare Arti Marziali, desideravo imparare a difendermi dai soprusi... ed andavo d'amore e d'accordo con tutti quelli che avevano un interesse molto simile al mio: lasciamo stare che questo interesse fosse generato da una notevole insicurezza di fondo che mi caratterizzava. Il mio bisogno autentico - ma nascosto - era infatti quello di imparare a rendermi conto del mio potenziale, poiché, non essendo capace, credevo chiunque altro più abile e forte di me.
Ho passato molti anni in ambienti in cui il focus era tutto sull'efficacia del gesto, sullo sviluppo di una mitica "imbattibilità", che alimentava i miei sogni a mandorla più erotici.
Poi mi è passata la sbornia - pure essendo astemio - e tutti quei contesti mi sono via via parsi meno rilevanti per il mio cammino personale.Ho però avuto anche la fortuna di incontrare in seguito Maestri e praticanti giunti ad un livello differente della pratica (e di loro stessi): il livello nel quale il tatami non era un'esigenza, ma un ottimo e positivo potenziale da continuare a frequentare.
Mi sono ritrovato non più mosso dal BISOGNO, ma dal PIACERE!
Ora aiuto i miei allievi a fare altrettanto, se posso, poiché ho ben chiaro quanta differenza ci sia nel fare una cosa perché si "deve" (bisogno impellente) o perché si "vuole" (piacere intrinseco).
L'atteggiamento, così come il risultato finale che si può ottenere sono molto differenti.
Ancora entrano dalla porta un sacco di persone spinte dal trovare buone risposte ai loro attuali problemi, quindi mosse più da un'impellenza che solo da una curiosità disinteressata... però ora saranno gli incontri che ci saranno nel Dojo a poter fare la differenza.
È come se ci fosse il concime adatto a trasformare un seme in una pianticella, oltre che tutto il necessario per farsi dare una salutare sfrondata dal giardiniere. A questo punto è il singolo nuovo Aikidoka a scegliere COSA vuole per sé.
Sempre più di rado - per fortuna - c'è anche chi continua a prendere in giro se stesso, uscendo dalla porta ancora prima di aver soddisfatto il proprio bisogno... specie se la pratica rivela che prendersene cura non sarebbe stato così a buon mercato come preventivato.In questo caso le persone più che scappare dall'Aikido, scappano piuttosto da loro stesse... e bisogna accettare che ciò possa accadere, perché l'acquisizione di consapevolezza è un percorso PERSONALE, e quando non è ancora il momento si viene rimbalzati da tutte le esperienze che non siamo ancora disposti a compiere.
Però, in tutti gli altri casi, sono contento che nel mio Dojo le persone possano provare a cercare cosa sta loro a cuore, per il tempo che risulta loro necessario... oppure possano restare per il semplice desiderio di farlo, indipendentemente da cosa viene loro in tasca di ciò.
Questi ultimi credo siano i migliori Aikidoka con i quali ho l'onore di rapportarmi... e che negli anni stanno costruendo una vera e propria famiglia, che ha come coagulante il puro PIACERE di stare insieme... e la gioia che da ciò può nascere.Marco Rubatto
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