lunedì 21 novembre 2022

Il flowchart dell'Aikidoka fallito e del tatami da parcheggio

Come mai che certe persone non migliorano praticando Aikido?

Come mai che alcuni sembra addirittura che peggiorano praticando?

Iniziamo a parlare della pratica come una condizione "necessaria", ma non "sufficiente": qui ci occupiamo di Aikido, ma questo discorso può essere valido per qualsiasi tipo di pratica, infatti in ogni disciplina ci si chiede con una certa frequenza:

- Come mai che certe persone non migliorano praticando XXX?

- Come mai che alcuni sembra addirittura che peggiorano praticando XXX?

XXX = Yoga, Tai Ji Quan, Karate, Kung Fu, Judo, Shodo, Ikebana... e chi più ne ha più ne metta.

Il concetto stesso di "miglioramento" si riferisce ad un cambiamento positivo fatto nel tempo, ovvero che allo step 1 mi trovavo in una condizione, con determinati potenzialità e problemi... mentre allo step 2 mi trovo ancora ad avere potenzialità e problemi, ma nel frattempo sono riuscito a realizzare alcune potenzialità ed a risolvere alcuni problemi.

Forse nessuno si troverà mai ad uno step nel quale è riuscito a realizzare TUTTE le sue potenzialità ed a risolvere TUTTI i suoi problemi, però è importante percepire se stiamo andando a convergenza o a divergenza rispetto a queste due importanti aree della nostra vita.

E ci sta che talvolta ci affianchiamo ad una disciplina proprio perché essa ci supporti nel realizzare ALCUNE potenzialità ed a risolvere ALCUNI problemi... ovvero a fare ALCUNI cambiamenti, fin qui non c'è nulla di sbagliato.

Sta di fatto che alcuni (molti) ce la fanno, mentre altri (non pochissimi) invece no: cosa distingue questi 2 gruppi diversi di persone?

Non è la fortuna, ma il valore aggiunto che ciascuno riesce a fare rispetto a se stesso: alcuni lo riescono a fare, altri si fermano a "pesare" di riuscire a farlo, o a "dire" di riuscire a farlo... ma ovviamente queste cose non sono sufficienti.

Allo vediamo in Aikido quali sono alcuni fra i principali bias che impediscono ai praticanti di godere dell'utilità del proprio viaggio sul DO...

1 - "Pratico per migliorarmi, ma se la pratica mi fa entrare in contatto con i miei limiti, mi ritraggo e pratico in modo tale da stare loro alla larga... tanto gli altri è difficile che se ne accorgano". È vero, gli altri potrebbero NON accorgersene mai, ma pure la nostra evoluzione così facendo non avverrà mai, NONOSTANTE che la nostra stasi passi per la pratica sul tatami.

2 - "Sto con la Scuola che mi da rimandi che valuto positivi (OK), ma sopratutto non frequento quegli ambienti che valuterei complicati per chi sono e per come sono". Ottimo, ma si era detto che praticavamo per agevolare in cambiamento, quindi rimanere chi siamo NON dovrebbe essere a priori un opzione accettabile, se non solo temporaneamente.

3 - "Sto nel gruppo che mi fa sentire bene, magari non evolvo, ma appago il mio bisogno di socialità". Altro problema, il Dojo NON è il gruppo della bocciofila: è stato pensato per fini un tantino più nobili e profondi, poiché appunto "trasformativi", con tutto il rispetto per gli amici della bocciofila... quindi non dovremmo frequentarlo giusto per riempire il tempo libero.

4 - "Il mio tipo di pratica è ordito in modo da lavorare molto sul piano fisico". Nuovamente, ottima cosa, però l'Aikido è una disciplina "multi-dimensionale", quindi chi non la pratica in modo da coinvolgere corpo, mente, cuore e spirito... in realtà NON la sta praticando affatto. Se vai a vedere, tutti coloro che non vogliono sentire parlare di filosofia hanno importanti chiusure mentali, tutti coloro che non amano sentire parlare di spiritualità stanno rinnegando la parte più profonda di loro stessi. Quindi possiamo strizzare il keikogi dopo ogni lezione, ma avendo fatto solo un Aiki-fitness che ci mantiene i muscoli tonici in una personalità parzialmente flaccida.

5 - "Io amo il cambiamento, infatti cambio in continuazione... Dojo, Insegnante, gruppo, stile, riferimenti, perché l'Aikido è cambiamento ed io quindi faccio bene a non fermarmi mai". Avete mai sentito dire il detto "cambiare tutto per non cambiare niente"? Ecco gli intrappolati in questo tipo di bias cambiano veramente tanto e di frequente, ma in modo mirato... lo fanno perché nulla di veramente importante di loro possa essere messo in pericolo di modificarsi. Quando si percorre una strada per ANNI, accanto alle stesse figure, presto o tardi veniamo conosciuti per come siamo, oltre che per come vorremmo esserlo: in questo modo veniamo pian piano "denudati" dinnanzi ai nostri compagni di viaggio, sarà sempre più difficile nascondere loro anche gli aspetti che vorremmo nascondere a noi stessi.

Cambiare e migliorarsi non si limita ad essere sono una moda esteriore, si tratta infatti di qualcosa di più intimo, personale, profondo ed essenziale.

Quindi...

... scegliamo se porci qualche domanda (le famose "domande da porci") o se rimanere nel parcheggio - o ancora peggio - nel macero di quelli che rischiano di peggiorare con la pratica, anziché fare il contrario.

Ci sono quelli che rimangono imprigionati in un loop, ad esempio:

1 - vado ad Aikido perché:

a) mi fa bene

b) mi piace

c) mi fa sentire una persona migliore

2 - mi sento al solito uno schifo (infelice, impacciato, inetto, incerto, pauroso)

3 - cosa posso fare per cambiare questa mia condizione?

4 - GO TO 1

Tutto può essere, ma dopo un certo periodo di cilecca dei nostri piani, seguendo terminate strategie che si rivelano fallimentari, diventa una precisa responsabilità non effettuare alcun cambiamento; non è semplice sfiga, tanto per capirci!

Non serve a nulla prendersela con il mondo, con le divinità... occorre avere il coraggio di guardare in faccia la realtà di chi siamo, anche se ciò potrebbe non piacerci.

Per fare un miglioramento è sempre necessario passare da un momento di transizione, nel quale dobbiamo accettare addirittura che avvenga un peggioramento omeopatico. Dobbiamo avere il coraggio di stare temporaneamente un "po' peggio", se questo ci permette di approdare ad una condizione stabile migliore.

Questo però richiede di abbandonare molte rigide certezze e abbandonarsi alla chiarezza di cosa sappiamo di non volere più, senza spesso avere altrettanta chiarezza su dove questo percorso possa portarci: si tratta di una sorta di "morte", poiché nessun cambiamento è possibile se non si è disposti a dire addio a qualcosa del passato.

Gli Aikidoka non si rivelano più bravi di altre categorie di persone nel fare tutto ciò, ed infatti non mostrano di ottenere risultati migliori di altri grazie alla loro disciplina, ma essa non centra nulla in realtà: il problema è nell'animo umano e nelle sue propensioni a sedersi dove sembra che sia "meno scomodo", pure se il giaciglio non ci piace veramente tantissimo.

Vi lascio quindi con un augurio, provocatorio, ma sincero: vi auguro che possiate con l'Aikido fare veramente la differenza con voi stessi, o vi auguro di avere il coraggio di smettere di praticare!


Marco Rubatto


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