lunedì 28 marzo 2022

I 3 pilastri dell'Aikido di Iwama

Chi ha scelto di praticare l'Aikido così come insegnato dal Fondatore stesso, nel lungo periodo in cui egli vivente ad Iwama, si sente spesso ripetere che esistono 3 esercizi fondamentali, da praticare sin dall'inizio della propria avventura sul tatami: essi sono katate dori tai no henko, morote dori kokyu ho e suwari waza ryotedori kokyu ho.

Quest'oggi desidero esplorare insieme a voi i motivi di tanta attenzione a questi 3 esercizi piuttosto che ad altri.

KATATE DORI TAI NO HENKO

Diverse testimonianze indicano che il Fondatore iniziasse OGNI lezione di Aikido con questo esercizio, e nella tradizione di Iwama è ancora così... quindi quando uno sale sul tatami, questa è sempre la prima cosa che si trova a praticare.



Di solito, fra l'altro, nella metodologie di Iwama gli esercizi vengono da prima svolti nella loro modalità statica (cioè con un uke fermo che afferra con forza), quindi nella modalità dinamica ("ki no nagare", ovvero con l'energia che scorre)... differenza della quale abbiamo ampiamente parlato QUI, qualora vi fosse sfuggito.

Questo esercizio però si pratica sin da subito in ENTRAMBE le modalità, perché?

É anche strano che una tecnica di evasione dalla linea di attacco, che però NON porti a terra l'avversario venga considerata tanto importante... vi siete chiesti come mai?

Tai no henko (letteralmente "cambio del corpo") è un'esercizio nel quale in effetti impariamo a toglierci dalla linea di attacco del partner eseguendo un tenkan (una rotazione sul piede avanzato della nostra guardia)... ma poi sembra che tutto finisca li..

E invece NO: a livello TECNICO, si impara a girare intorno al punto della presa senza alcuna forma di traslazione (che la forza della presa potrebbe rendere impossibile), a livello di PRINCIPIO, sitiamo esaminando come cedere alla forza aggressiva in entrata, lasciandola passare e quindi assecondandola... ed a livello di PROSPETTIVA, stiamo imparando a prendere esattamente il punto di vista di chi ci sta attaccando.

Questo perché è molto facile giudicare negativamente un'azione che percepiamo come ostile, senza prima però essersi messo nei panni e nelle prospettive di chi la compie. Un po' come se volessimo comprendere prima ancora di decidere se essere d'accordo oppure no, ricordandoci appunto che "comprendere" NON significa "avvallare", né "concordare".

Però è necessario andare più in profondità anche con il significato etimologico dei termini giapponesi utilizzati dal Fondatore...

Quando diciamo  [体の変化] "tai no henko", diamo al kanji TAI il significato di "corpo fisico" che cambia: cosa cambia, la posizione? L'assetto?... o la sua costituzione proprio?

Il giapponese è una lingua complessa e completa, che presenta sottigliezze importanti da conoscere, ad esempio che [化] "tai e [身] "mi" sono di solito entrambi tradotti con "corpo", ma mentre il primo si riferisce ad un'entità fisica ben definita, il secondo invece risulta un concetto poli-stratificato, nel quale ad esempio si esce dalla dualità materia-spirito, per approdare ad un senso intrinseco dell'esistenza non parzializzabile.

Allora cosa cambia nel "corpo" di tai no henko... il fatto che da "tai" esso diventi "mi", forse!

Si possa esperire, grazie all'unione con il proprio partner, la percezione di una simile unione con se stessi e con tutte le parti che ci caratterizzano (quella fisica, quella intellettuale, quella emotiva e quella spirituale).

Questa cosa è parsa particolarmente importante a quel Morihei Ueshiba che la disciplina l'ha coniata... per questo forse sarebbe il caso di approfondire questo pilastro della pratica, perché come vedete NON presenta solo implicazioni tecnico-pratiche, ma tocca tutta una serie di elementi relazionali, filosofico, culturali, se non addirittura spirituali.

Ci sono Scuole e stili che manco lo praticano una tantum... ma se state attenti, troverete questi stessi principi e prospettive in OGNI altra azione ed esercizio all'interno dell'Aikido, quindi in effetti sembra importante un tot iniziare con questa pratica "riassuntiva" del tutto!


MOROTE DORI KOKYU HO

Si tratta di sbilanciare e far cadere un partner che ci afferra saldamente con due mani ad un avambraccio, utilizzando però - oltre che la tecnica - un'armonizzazione con il nostro stesso respiro.

Questo è il goal più autentico di [呼吸] "kokyu", che viene spesso tradotto in modo frettoloso con "respiro"... ma che in realtà vuole nuovamente dire qualcosa di più profondo.

Innanzi tutto vediamo trattarsi di un [法] "ho", ovvero un METODO, non di un "waza", cioè di una tecnica.

A livello di nomenclatura, questo esercizio potrebbe essere chiamato anche "morotedori kokyunage" (ed infatti alcuni lo chiamano proprio così!), poiché con il movimento e la respirazione adatti si fa cadere il partner.

 

Questo è un esercizio dei più completi e complessi che si possano fare in Aikido, specie se lo si pratica in modo statico: è necessario apprendere come sbilanciare un partner perfettamente piazzato solo tramite una geometria appropriata, aggiungendo al proprio movimento una restrizione altrettanto appropriata.

E qui si vede benissimo quanto la didattica occidentale differisca da quella orientale!


Noi iniziamo dalle cose più semplici per andare in quelle più complesse: in Giappone iniziano con le cose COMPLETE, perché così chiunque a più tempo per studiarne a fondo la completezza.

Di solito morote dori kokyu ho è una tecnica inclusa nel programma tecnico 5º kyu, ma non è banale da eseguire nemmeno se si è 5º dan!

Per la cronaca, segnaliamo che vi sono ALMENO 5 forme codificate di questo esercizio, in base a 5 diverse modalità nelle quali uke può afferrare... ma di questo vi parlerò in un altro Post.


SUWARI WAZA RYOTEDORI KOKYU HO

Un altro esercizio importantissimo, con il quale tradizionalmente si CHIUDE ogni keiko.

É nuovamente un metodo per apprendere come migliorare il connubio fra respirazione e movimento: seduti davanti al partner, si viene afferrati ad entrambi i polsi e si impara a sbilanciare quest'ultimo, portando un braccio verso l'alto ed uno verso il basso.

Ecco il video che rappresenta questo esercizio.



Come potrete riscontrare, nessuno di questi 3 esercizi è focalizzato ad intenti marzialmente evidenti, eppure essi risultano importantissimi ugualmente: nel primo il partner manco cade per terra, gli altri servono a sbilanciare con il miglior connubio fra respiro e movimento.

Si esercitano i PRINCIPI della disciplina, ovvero quegli elementi che si trovano poi disseminati in ogni risvolto tecnico e pratico, perciò vengono considerati tanto importanti.

É possibile realizzare ciascuno di essi in MOLTI modi differenti, e ne esistono quindi 1000mila varianti che tendono a disconoscersi a vicenda ("lo eseguo come fa Tizio", "come fa Kaioh", etc).

Devo dire che io vissi molto male nella mia prima decina di anni di pratica questi 3 esercizi: le ragioni sono molteplici, ma prima fra tutte il fatto che i maestri di allora ci facevano passare ORE ad esercitarli, senza dare molte spiegazioni convincenti sulla loro effettiva utilità.

Il dictat era: "Si fa così e basta! Perché il Fondatore faceva così e se volete diventare bravi come lui dovete fare la stessa cosa che ha fatto lui".

Questa "spiegazione" non mi ha mai convinto più di tanto, innanzi tutto perché ho chiaro che quello che risulta utile ad una persona non è detto che risulti altrettanto per un'altra... in secondo luogo perché ammazzarsi di ore ed ore di ripetizioni di qualsiasi cosa NON garantisce una qualche forma di reale apprendimento.

Anzi: ciò che diventa automatico risulta diametralmente opposto a creare una forma di consapevolezza, quindi NON serve ad approfondire sul serio più di tanto l'elemento che stiamo studiando.

Devo però dire, a distanza di una ventina d'anni da quando li pativo male, che questi 3 esercizi stanno risultando davvero importantissimi, se non del tutto essenziali per il mio Aikido.

Guardo quindi con un po' di naturale sospetto chi li pratica in modo superficiale o chi non li pratica affatto... chiedendomi se e quali esercizi alternativi possa avere sviluppato a compendio dei principi che sono acquisibile tramite tai no henko, morotedori kokyuho e suwari waza kokyuho.

Forse, al solito, la loro importanza è relativizzatile in quanto lo sono sempre gli strumenti di apprendimento. Non è detto che per piantare un chiodo sia indispensabile un martello, né che chi possiede un martello sia per forza capace di piantare un chiodo diritto nel muro.

Di certo c'è che con un martello - se si è un minimo accorti - è più facile farlo in modo veloce e preciso.


La tradizione ci consegna degli usi che hanno passato il setaccio del tempo, risulta quindi sciocco voler inventare per l'ennesima volta l'acqua calda, quando è sufficiente fare propria la saggezza che ci è stata tramandata.

Questo per me è esattamente il senso dello studio e dell'approfondimento di questi 3 pilastri della pratica, che ovviamente non posso che consigliare a voi tutti.


Marco Rubatto





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