lunedì 18 gennaio 2021

Errori ed esperienze inutili e quelli che fanno crescere

Mentre pratichiamo spesso siamo li chiederci cosa determini una autentica, reale crescita ed avanzamento nella disciplina, e cosa risulti solo un orpello.

Beh, risulta importante fermarsi a riflettere su cosa ci faccia crescere, poiché il "fare" e basta non garantisce automaticamente che ciò avvenga, anche se ne risulta la principale condizione potenziale.

Come... c'è "un fare" che fa crescere ed un fare che ci lascia completamente ciò che eravamo?

Un "fare" utile ed uno inutile?

SI...

FARE, come dicevamo è un presupposto fondamentale per migliorarci, ma anche una timbratrice della metropolitana "fa" un sacco di buchi sui biglietti tutti i giorni, senza però evolvere un granché!

C'è un fare attraverso cui possiamo passare in modo impermeabile... può piovere, ma non ci bagniamo se indossiamo un K-way, e nel momento nel quale l'acqua può essere dannosa possiamo essere contenti di ciò, ma non se con essa perdiamo parte del nutrimento per crescere.

Pensiamo come potrebbe essere contenta una pianta ad essere completamente impermeabilizzata!

Il FARE che ci fa crescere è quindi quello del quale siamo completamente coscienti, o - detto in altri modi - quello nel quale rinunciamo ad ogni forma di automatismo.

Se ripetiamo una tecnica 100 volte e per 100 volte siamo completamente presenti a noi stessi ed a quello che stiamo facendo... staremo facendo in realtà 100 esperienze DIFFERENTi, anche se inserite in contesti molto simili fra loro.

Se - al contrario - ripetiamo una tecnica 100 volte e dopo le prime 5 agiamo per mero meccanicismo automatico e ripetitivo, non abbiamo modo di ricevere informazioni migliorative dalle 95 ripetizioni che seguiranno... con il risultato che ripetere 5 volte o 100 volte ci fornirà lo STESSO grado di upgrade rispetto a quella pratica.

OGNI volta che facciamo qualcosa è "la prima volta", poiché il quid di presenza ci permette di apprendere un tot di aspetti: se ripetiamo un esercizio, una tecnica, una pratica... RIPETIAMO l'attitudine di apprendere un tot di aspetti, che quindi diverranno con il tempo tanti, qualificanti ed importanti per l'avanzamento del nostro percorso.

Ma a cosa serve ripetere un movimento... se non siamo veramente li mentre lo facciamo?

Forse a dirci che almeno ci abbiamo provato?

A consolarci che ci siamo impegnati e poi poco importa se quella fatica non ha portato con sé un gran risultato?

Essere presenti a ciò che facciamo è un dovere che ciascuno forse deve a se stesso... poiché a cosa serve praticare una disciplina marziale senza massimizzare il profitto del tempo che vi dedichiamo?

Una cosa analoga accadere per gli errori: abbiamo già visto insieme (ad esempio QUI) come l'errore sia una componente fondamentale di ogni percorso di progressione, anzi... come a volte ci insegni di più un errore che diverse cose fatte bene.

L'errore è appunto quella situazione nella quale siamo propensi a fermarci, perché le cose non ci tornano, e ci sentiremmo idioti nel proseguire con qualcosa che non sta andando nella direzione che ci eravamo prefissati, o che l'Insegnante aveva indicato.

Ma quand'è che impariamo di più dai nostri errori... e quando invece sbagliamo senza saperne cogliere il prezioso insegnamento?

Capite bene che comprendere questo distinguo può farci risparmiare un botto di fatica inutile e può farci massimizzare il sudore che volentieri versiamo per il nostro Aikido!

Quando un Insegnante, un Senpai ci fa un'osservazione, ci indica una cosa che potremmo migliorare... si suppone che la loro esperienza abbia fatto scorgere in noi qualcosa che non andava, o - perlomeno - che potevamo fare meglio. Questa cosa da sé implica che NON CI ERVAMO ACCORTI di questa cosa, ed è stato necessario che qualcuno da fuori ce la facesse notare per fermarci ad osservarla meglio noi stessi.

Ma pure da soli, quando le cose non ci quadrano, possiamo tirare diritti nella speranza di averci visto male o che un giorno le cose andranno a posto un po' da sole... oppure possiamo fermarci a riflettere su cosa ci sia che non torni.

ERRARE, anche in italiano, può infatti significare sia "sbagliarsi" che "viaggiare senza una destinazione prefissata": noi - di volta in volta - possiamo decidere se vivere questo fenomeno come un'occasione per CAMBIARE strada (siccome quella intrapresa non sembra portarci alla destinazione sperata) o per PERDERCI ulteriormente in un deserto di dubbi, speranze, inconcludente, frustrazioni... non destinate realmente a portarci verso una destinazione più interessante.

Cosa scegliamo di fare con i nostri errori?

Ci sono quelli che facciamo ma che non ci accorgiamo neppure di fare: questi è come se non ci fossero, non essendo in grado di portare consapevolmente la nostra attenzione su di essi, passiamo attraverso l'esperienza senza la capacità di farci permeare da essa... siamo come quella famosa pianta resa impermeabile durante una pioggia.

Non si bagna, non beve, non cresce: c'era tutto ciò che sarebbe servito per il suo sviluppo, ma la sua attitudine NON ha permesso che esso avvenisse... occasione sprecata, tempo mal utilizzato, risorse buttate al vento!

Ci sono poi invece quelli che ci accorgiamo di fare, ma... Abbiamo sul serio voglia di fare tante esperienze ed errori UTILI?

Beh, già che facciamo regolarmente entrambe le cose, sembrerebbe idiota non desiderare cogliere da esse il massimo del profitto, vero?!

Allora dobbiamo stabilire un parametro chiaro in grado di indicarci se siamo capaci di apprendere dall'esperienza e dagli errori che facciamo o se passiamo attraverso di essi come una sorta di "collezionista" di attimi, senza averne mai vissuto alcuno fino in fondo.

Questo parametro di "controllo" è il CAMBIAMENTO: dopo un'esperienza siamo in grado di percepire se essa ci ha in parte modificato?

Lasciamo perdere ora se ci sembra averci arricchito o impoverito, mutato in meglio o in peggio: iniziamo a percepire se quell'esperienza è stata in grado di INFLUENZARCI in qualche modo e misura.

La stessa cosa per gli errori: sono stati in grado di toccarci sul serio e di cambiarci?

O il Sensei ed i compagni devono farci sempre presente le stesse cose... ma noi ce ne freghiamo e lasciamo che dicano, fino a quando - speriamo presto - non si stancheranno e la smetteranno di romperci i nostri (immobilissimi) cabasisi?

Banale dirlo, ma ciò che non ci tocca non ci lascia sensazioni, non ci consente di fare riflessioni... quindi, sotto questo punto di vista, poco importa se un'esperienza è poco piacevole o se accorgersi di un errore è frustrante: la cosa ci arriva alla coscienza e quindi non saremo più gli stessi dopo.

Saremo cresciuti, anche se ciò significa capire cosa non fare o come non si faccia: avremo qualcosa in più da raccontare ai nostri nipotini sulla sedia a dondolo sopra una pelliccia d'orso davanti al caminetto.


Ci sarà qualcosa in grado di avere "una morale", un significato, un senso...

Ripetiamo quindi pure gli esercizi, e le tecniche, ma non come li farebbe una timbratrice della metropolitana, non come lo farebbe un albero reso impermeabile sotto la pioggia... non come farebbe un nonno che racconta ai nipotini: "Sai, ho fatto un milione di volte quella cosa in Aikido!"

"E cosa hai imparato, nonnino?"

"NIENTE... però l'ho fatto veramente tante volte!"

Morihiro Saito Sensei era solito dire che fare 1000 volte un movimento che vale zero, fa sempre ZERO, come dargli torto?!




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