lunedì 5 ottobre 2020

Un diamante è per sempre, l'Aikido forse no

Chi di voi si ricorda la celebre pubblicità "Un diamante è per sempre!"?

Correva l'anno 1985... e si è trattato di uno spot diventato un tormentone generazionale.



Beh... oggi siamo qui a chiederci se sia la stessa cosa o meno con l'Aikido, visto che anch'esso per noi è altrettanto prezioso! (gioco di parole, cercate di essere fra i 15 destinati a capirlo)

Chi di noi vuole iscriversi ad un corso di Aikido, non ha in testa la tempistica di quando potrebbe smettere di frequentarlo.

Ma anche nessun insegnante tratta i propri allievi come se essi frequentassero i corsi per un periodo di tempo limitato, non è vero?

In una vita intera non c'è abbastanza tempo per fare "tutto l'Aikido fattibile"... quindi non è possibile "finire un corso" di questa disciplina: più si pratica, più si avanza in essa!

Già, tutto vero... però poche persone decidono di praticare per una vita intera: la maggior parte di esse si affaccia alla pratica e smette dopo qualche settimana/mese/anno.

La STRAGRANDE maggioranza di persone, oltre tutto!

Allora perché trattare ogni allievo come il diamante della pubblicità, se poi in media il loro ingaggio ha la data di scadenza di un latticino fuori dal frigo?

Perché forse risulta più facile così...

Se ci mettessimo nella prospettiva che ciò che faremo questa sera a lezione (sia da allievi, che da docenti) potrebbe essere l'ultima volta che lo facciamo... esso avrebbe un sapore molto differente.

Il concetto di "carpe diem" ("cogli l'attimo") sembra cozzare almeno in parte con quello di "kaizen" ("miglioramento continuo")... poiché il primo presuppone l'attenzione ad una presenza, che nel secondo viene mitigata all'interno di un processo ed un percorso che richiede anni, se non un'esistenza intera.

Ma le persone - impegnate volenti o meno in un percorso personale che dura tutta la loro vita - spesso NON sembrano altrettanto disposte a frequentare una disciplina "finché morte non le separi": quindi ad Aikido ci vengono, magari anche con una certa intensità e profitto... ma per un periodo di tempo LIMITATO e piuttosto circoscritto.

Magari la disciplina da ciò che a loro serviva, e quindi essi volano altrove come farebbe un'ape che ha esaurito il polline in un fiore.

Ma questa esigenza TEMPORANEA non sembra andare un granché bene con le tradizioni orientali...

Ecco: NON è così per niente! ... Piuttosto è vero che pochi di noi conoscono sul serio la saggezza contenuta nelle tradizioni...

Le tradizioni orientali erano e sono fatte da persone, e come tali hanno da sempre dovuto tenete conto di quest'esigenza - tutta umana - del "mordi e fuggi"!

Infatti sono relativamente poche le persone che praticano Aikido ad avere soggiornato (almeno per un piccolo periodo di tempo) in un vero Dojo.

Quando si sceglie di dedicare un periodo di tempo allo studio esclusivo dell'Aikido, si parla con il Dojo Cho (il responsabile del Dojo) e si stabilisce A PRIORI di quale periodo si tratti e di una sua durata approssimativa della propria permanenza (una settimana, un mese, un anno, etc...).

A seconda dei contesti, talvolta è addirittura concordare con il Sensei alcune tappe che si desidera raggiungere (una capacità da acquisire, un grado che si desidererebbe ottenere)... quindi si PIANIFICA la propria permanenza in modo che essa ci permetta il più possibile di raggiungere i nostri goal personali.

Ma si sa da SUBITO che tale esperienza NON sarà per sempre: kaizen e carpe diem quindi sono onorabilissimi in contemporanea altroché!

Al termine della permanenza come uchideshi (allievo interno di un Dojo) di solito si organizza una festa chiamata "Sayonara Party"[左様ならパーティー], ovvero una vera e propria "festa d'addio" con la quale i membri si separano emotivamente da colui o colei che si appresta a lasciare il Dojo.

Si ricordano insieme gli allenamenti fatti, le difficoltà incontrate, si raccontano gli aneddoti divertenti accaduti e si augura un buon proseguimento di percorso a chi se ne va. In altre parole si CELEBRA l'importanza della transitorietà, e le si da un grande valore.

Perché nei nostri Dojo non riusciamo così spesso a celebrare un Sayonara Party?

Forse perché non ci si unisce mai del tutto al gruppo e ci si lascia sempre un po' la porta aperta a non farne parte... per non soffrire più di tanto della separazione che potrebbe accadere?

Perché gli insegnanti NON sono molto capaci di "lasciare andare" un proprio allievo che reputa terminata la propria esperienza nel gruppo?

Quindi quando decide di non venire più a lezione esso si trasforma automaticamente in un "bastardone, traditore, fannullone e fancazzista"... ?

Cosa ci impedisce di vivere in modo proficuo un'esperienza LIMITATA nel tempo?

Quanti insegnanti che ci leggono cambierebbero il proprio atteggiamento (ed ingaggio nell'insegnamento) se sapessero che un allievo si fermerà "solo" per alcuni giorni, mesi, anni?

Tecnicamente parlando, cosa scegliere di insegnare se non si ha tutto il tempo del mondo perché l'allievo lo impari? E filosoficamente parlando... che concetti diventa più urgente passare nel poco tempo che potremmo avere a disposizione?

Sono domande piuttosto semplici, ma le risposte potrebbero risultare tutt'altro che banali, se cercate con autenticità.

Le cose transeunte non centrano per forza con il fritto (gioco di parole, sempre per quei 15 di prima), e l'essere destinato a passare è qualcosa che ha le stesse caratteristiche della vita di ciascuno di noi: che significato ha fingere che in Aikido sia diverso?

È una lezione dura, ma necessaria... 

Nessuno è qui per restarci per sempre, quindi sarebbe il caso di provare a fare tesoro del proprio tempo, anziché cercare di prolungare il proprio e quello degli altri su un tatami, non vi pare?

Questo però implica coraggio, consapevolezza e saggezza... in modo da capire bene - e dal di dentro - perché ci risulta così complicato.






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