lunedì 30 marzo 2020

Senpai - Kōhai: le novità che fanno tremare la tradizione

Pochi mesi dopo l'ultimo articolo di Aikime sul tema "Senpai - Kōhai" (che potrete trovare QUI), torniamo a parlarne in occasione di un video realizzato dal nostro Capo-Redattore Marco Rubatto

Innanzi tutto, ecco a voi il video: buona visione!



Si parla qui di un nuovo paradigma della disciplina, che viviamo noi qui ora prima ancora che in Giappone, sua terra natia: la possibilità di scindere le carriere di praticanti da quelle di docenti.

Da noi servono qualifiche sportive per insegnare Aikido (per quanto ci siano ancora N pseudo-maestri che si interrogano sull'idoneità di tale cosa!), poche palle.

Per ottenere le qualifiche di cui sopra esistono CORSI OBBLIGATORI da frequentare ed esami da superare al loro termine, esistono formazioni che poi uno deve continuare a fare per mantenere tali qualifiche, poche palle.

Questa cosa però NON era contemplata da una tradizione nella quale il Senpai, ovvero la persona che ha più esperienza, era comunque tenuto a dettare le linee guida ai propri Kōhai: ora invece, nel giro di poco, ci saranno esperti che NON avranno titolo per insegnare (perché non sarà loro interessato averne) che si vedranno "passare davanti" da persone meno esperte, ma che hanno accettato di sottoporti ai corsi che la legge preveder per insegnare.

Una cosa del genere è capace di far tremare i pilastri della tradizione, ma non è detto in senso peggiorativo.
La tradizione giapponese è militarmente gerarchica, ma sappiamo bene che ciò non premia per forza la meritocrazia, anzi!

La gerarchia, ed ogni forma di suddivisione sociale rigida, spesso si sono rivelate le peggiori nemiche della meritocrazia: "Io sto quassù e non importa se dico scemenze o meno, comando te che sei laggiù e PUNTO!".

Ora non sarà più così, ovvero "Chi si fa il mazzo ed ha delle competenze, sale nella scala gerarchica"... ma questa cosa non è più garantita SOLO dal far parte del movimento da più tempo rispetto ad un'altro.

Un gran bel debug per l'Aikido, non c'è che dire!

Ma allora gettiamo al vento le tradizioni ed il loro enorme lascito filosofico e culturale?

Niente di tutto ciò: la dimensione tradizione deve essere contemplata ed inclusa nel nuovo paradigma che si sta via via creando, solo che i suoi insegnamenti devono diventare SOSTANZIALI oltre che formali.

E dobbiamo dire - anche in questo caso - che si sentiva una grande urgenza di mettere insieme "forma" e "contenuto"!

I Senpai avranno l'occasione di continuare ad essere le sagge guide che il loro ruolo imporrebbe loro... mentre potranno smettere di scaricare sul prossimo le frustrazioni ricevute altrove.

Kōhai invece potranno rimanere aperti a qualsiasi tipo di consiglio ricevuto dai più anziani nella pratica, ma non sarà preclusa loro l'opportunità di mostrare il loro valore ed ambire - quindi - di occupare incarichi di responsabilità nell'Aikido del futuro.

Conterà sempre di meno il proprio COGNOME e sempre di più il proprio TALENTO: siamo certo che pure i giapponesi faranno loro questa prospettiva, non appena dovessero comprendere che funziona.

In fondo si tratta di un popolo saggio, benché non spicchi certo per creatività!








lunedì 23 marzo 2020

Aikido e la quarantena che stimola la creatività

Siamo già alla seconda settimana di stop forzato per il nostro Paese (e per il resto del pianeta) e non posso fare a meno di notare come questa situazione di crisi stia generando un'ondata di creatività senza precedenti.

Abbiamo per anni dato per scontato che saremmo potuti andare in eterno al Dojo ad allenarci, ed ora che siamo tutti a casa, ci è sembrato avvenire a mancare il pane di cui vivere a livello Aikidoistico.

Non è però la prima volta nella storia dell'umanità che una crisi ci faccia aguzzare tremendamente l'ingegno e ci sproni ad ipotizzare scenari nuovi ed inediti... per l'Aikido così come per qualsiasi aspetto del quotidiano.

Fino a qualche anno fa le risorse dell'Aikido on-line facevano storcere il naso a più di qualche purista: ovvio che sia necessario un tatami per praticare, però ci siamo spesso chiesti se il Web potesse venire in aiuto di tutti coloro che desideravano ulteriori info (di tipo tecnico, didattico, culturale, filosofico, spirituale)...

... e siccome ci siamo risposti di SI (almeno, io l'ho fatto) abbiamo continuato a proporre spunti di riflessione a 360º sulla nostra amata disciplina, e proprio utilizzando il Web.

Ora che siamo tutti in quarantena, il esso risulta di fatto l'unico modo per rimanere in contatto con ciò che ci piace e ci appassiona... tanto che ci stiamo facendo nuovamente la domanda: "Siamo sicuri che sia veramente necessario un tatami per praticare?"



Nel modo tradizionale di percepire la disciplina SI, ma ora stanno sbocciando spontaneamente tutta una serie di iniziative di chi deve fare necessità virtù che sarebbe idiota non considerare nella giusta portata e prospettiva.

Diversi insegnanti di Aikido stanno sentendo l'esigenza di rimanere connessi con i loro studenti, così mettono on-line piccoli tutorial, fatti spesso dai loro appartamenti (sicuramente NON attrezzati per la pratica): stiamo perciò esplorando la pratica completamente al di fuori della propria zona di comfort... ovvero stiamo contemporaneamente facendo una delle cose più importanti dell'Aikido stesso!

È estremamente interessante: mentre cerchiamo di vivere al meglio un'emergenza pandemica ed una quarantena imposta a tutti, nella quale i contratti fisici inter-personali sono da ridurre al minimo... proprio perché cerchiamo di vivere al meglio ciò che ci accade... stiamo applicando uno dei più importanti principi dell'Aikido.
Vivere la situazione in modo produttivo e non vittimistico, connettendoci con l'immobilizzazione che percepiamo e cercando i suoi punti per evaderne senza usare la forza!




Ora gli sforzi di ciascuno non sono ancora coordinati, anche perché fino all'altro ieri si contavano sulla punta delle dita coloro che utilizzavano le loro risorse anche per pubblicare contenuti Web (quindi alcuni sono alle prime armi, e si vede!)... però c'è voglia di fare, ed anche tanta.

Dalla scorsa settimana ho partecipato almeno a 5 Conference Call con Aikidoka italiani e stranieri, che si sono organizzati in Discussion Pannells per affrontare al meglio l'emergenza che tutti noi - per la prima volta a livello globale - stiamo vivendo.

Ed è straordinario percepire una forma di unità di fondo, una "famiglia internazionale" che si ritrova, indipendentemente dalla propria affiliazione Aikidoistica, stile e didattica per coordinare i propri sforzi a favore dei propri Dojo e delle proprie micro-comunità locali!

Questa rete è formata da insegnanti professionisti e dilettanti, che però "non vogliono perdere il treno dell'Aikido" per via di ciò che sta accadendo, e lo fanno proprio anche grazie agli straordinari strumenti che la tecnologia mette oggi nelle mani pressoché di chiunque.

Qualcuno ha già incominciato a dirigere lezioni on-line su piattaforme multiutente (come Skype o Zoom...), a formare gruppi di discussione, a mirare gli interventi per adulti, ragazzi e bambini... per neofiti e per allievi di livello avanzato.

Vi riporto - a titolo esemplificativo non esaustivo - alcuni dei contributi ITALIANI con i quali sono venuto in contatto (mi scuso per chi non citerò)...


Mº Alessandro Ciamarone e Silvia De Vita (Rivoli - TO)




Mº Fabio Ramazzin (Gallarate - MI)




Mº Fabio Branno (Napoli)




Mº Fabio Tonon (Vittorio Veneto - TV)




Mº Andrea Re (Milano)




Mº Sung Gyun David Cho (Sinnai - CA)




Mº Marco Rubatto (Torino)




Mº Davide Barchi (Modena)



Mº Gianluigi Pasqua (Mathi - TO)




Mº Marco Carella (Palermo)




Mº Ugo Montevecchi (Rimini)




Mº Antonella Nuscis e Roberto Manunta (Boves - CN)


Kimochi no Keiko - Pratica speciale dell'intenzione


Questi sono solo alcuni esempi di iniziative che stanno fiorendo di giorno in giorno: è la prima volta che una cosa simile accade.

C'è da aspettarsi che questo inusuale utilizzo della creatività, nata per compensare il blocco che stiamo vivendo, non creerà solo "aborti"... ma al contrario ci permetterà di prendere dimestichezza con strumenti che magari NON vorremo più abbandonare, anche quando sarà finita l'emergenza.

La tecnologia per fortuna ci viene in aiuto non poco in questo genere di cose: difficilmente la pratica sul tatami potrà essere surclassata dalle conference calls... ma perché non avvantaggiarci di quanto buono essa ha da offrirci?

L'Aikido che non è capace ad armonizzarsi alla situazione conflittuale che si trova a vivere, forse non può nemmeno essere tanto definito "Aikido": ma in questo periodo però assistiamo a tanta voglia di fare e capacità di adattarci... che si stia tutti insieme compiendo un passo di maturazione importante?

Lo scopriremo presto!


Marco Rubatto

lunedì 16 marzo 2020

Aikido Covid-19 challenge: meritiamo il corona o la corona?

Da circa una settimana il nostro governo ha deciso l'estensione su tutto il territorio nazionale i provvedimenti stringenti atti ad ostacolare il contagio del coronavirus, ma questo è qualcosa che tutti sappiano.

In questo provvedimento è stato fatto divieto di qualsiasi momento aggregativo pubblico e privato, quindi palestre e Dojo hanno dovuto uniformarsi e chiudere i battenti.
È la prima volta che smettiamo tutti contemporaneamente di praticare Aikido per un'emergenza sanitaria nazionale... ma davvero dobbiamo smettere di praticare?



Sul tatami SI, sia per etica civica, che per questioni legali... ma non crediamo quello sia l'UNICO luogo nel quale l'Aikido possa trovare di che attecchire!

Una pandemia può fermare l'Aikido?

NO: una pandemia inizia piuttosto a vivificarne i principi... Questa disciplina può dare il meglio di sé anche e soprattutto FUORI dai tatami, e stiamo vivendo una straordinaria occasione di comprendere se ne siamo capaci.

La pratica fisica, quella fatta di ikkyo e kotegaeshi, si ferma... ma la pratica dell'Aikido NON si limita sicuramente ad un movimento di anche, braccia e gambe!

In questo periodo siamo tutti chiamati a riflettere su quanto i principi e le prospettive di ciò che facciamo vestiti da giapponesi siano in grado di darci supporto nella difficile situazionetatami.
che stiamo vivendo a livello collettivo, e soprattutto FUORI da un

L'Aikido può fermare il Covid-19?
Questa domanda è volutamente mal posta, poiché non è questo ciò che è saggio chiederci.

Se pratichiamo per imparare a liberarci da prese di uno o più avversari contemporanei... chiediamoci cosa accade quando è un avversario piccolo piccolo a bloccarci!

Non sempre una cosa piccola è anche di trascurabile interesse: lo sanno bene gli insegnanti, quando aggiustano la posizione di un allievo di qualche millimetro... e lo sappiamo noi tutti ora, confinati in casa non per via di un'invasione militare straniera, ma al fine di evitare un contagio massivo... provocato da qualcosa che ha le dimensioni di un centinaio di nanometri (un centesimo di quella di un batterio).

Cosa ce ne facciamo quindi di una disciplina che ci insegna a "mantenere il centro" quando ci attacca una persona (o più persone), ma che non ci offre nulla per fare fronte all'emergenza sanitaria, economica e sociale che ci vede tutti protagonisti?

NULLA, ci verrebbe da dire, se fosse utile solo ad affrontare scenari ipotetici che potrebbero non verificarsi mai, ma non fosse capace di darci aiuto nella realtà complessa e mutevole che tutti noi stiamo vivendo.

Fortuna che non è così, e l'Aikido ha un sacco di cose da dire e dare per offrire un sostegno concreto... anche in una situazione estrema come questa.

La nostra disciplina si occupa di insegnare come rimanere rilassati ed aperti in una situazione di stress, pericolosa se non potenzialmente mortale.
Situazioni di stress, pericolose se non potenzialmente mortali ne abbiamo?
Sembra di SI!

L'Aikido ci insegna a concentrarci sul ritmo del nostro respiro, e a non permettere ad un'aggressione violenta di spezzarne il flusso: avete fatto caso se il vostro respiro è tranquillo e fluido mentre ascoltate i "bollettini di guerra" che - giorno dopo giorno - sentiamo dai telegiornali?
Scommettiamo che, se ci facciamo caso, il più delle volte ci sorprenderemo con il fiato "sospeso"?

Quando ci sentiamo minacciati, scatta un meccanismo di sopravvivenza che blocca (sospende) il respiro, per fare tesoro della porzione di ossigeno che abbiamo incamerato nei polmoni... come se venissimo all'improvviso buttati in acqua.

In questi giorni la minaccia percepita è forte, ma questo non è una buona ragione per smettere di respirare in modo fluido e naturale: chi non è allenato a farci caso però tratterrà il respiro senza nemmeno accorgerci che lo sta facendo!
Questo ad un buon Aikidoka non dovrebbe accadere, e se accade c'è per lui da chiedersi come mai si reputi un buon Aikidoka!

La nostra disciplina ci insegna ad utilizzare l'energia di un cambiamento repentino a vantaggio di chi quel cambiamento lo vive fino in fondo: ora che sono cambiate velocemente molte delle nostre abitudini quotidiane stiamo riuscendo ad avvantaggiarci di ciò... o siamo disperati per le abitudini quotidiane che ci sono state sottratte all'improvviso?

Serve a poco fare tenkan ed irimi tenkan, 30 forme di iriminage per 20 anni se poi cadiamo su una buccia di banana... come se di questa disciplina avessimo contattato - appunto - solo la buccia!

L'Aikido insegna farci trasformare dall'energia aggressiva che ci giunge in modo inaspettato, tanto da trasformare lo scontro in "incontro" ed occasione di crescita personale.

Quando dovessimo avere uno scontro fisico, il nostro avversario difficilmente ci dirà: "Se per te è ok, ti attacco venerdì, verso le cinque meno un quarto, con katate dori gyaky hanmi"!

Viene quando vuole, attacca come vuole... e noi possiamo essere pronti ad ACCOGLIERLO o rimpiangere per il resto della vita che in quel momento eravamo distratti a pensare ad altro.

Dovrebbe essere differente quando l'avversario è un virus?
Da ciò che sappiamo, manco loro avvisano o infettano solo quando sono certi che noi abbiamo già preventivamente trovato un vaccino.

Un Aikidoka potrebbe essere un privilegiato, che queste cose le ha ben sperimentale in prima persona... oppure, oppure forse non è un Aikidoka manco se si è convinto di esserlo!

L'Aikido insegna a non essere vittimizzabile da un avversario, per quanto forte ed aggressivo... e contemporaneamente a non diventarne il carnefice: riusciamo a fare ciò nei confronti del Covid-19?

Abbiamo visto, in questi giorni, un sacco di gente letteralmente mossa dalla PAURA, reagire ad uno stato di preoccupazione e fare di tutto per non affrontare il problema che ci si para dinnanzi: è così che vogliamo fare anche noi praticanti?

Sarebbe un peccato... e segno che non abbiamo veramente compreso un tubo da quanto espresso dal nostro benamato O' Sensei... In Aikido impariamo ad AGIRE consapevolmente, creando uno stimolo nell'avversario... e non a limitarci a REAGIRE ad uno stimolo esterno.

In quest'ultimo caso, si arriva sempre in ritardo e si paga cara la lacuna di presenza con la quale abbiamo (magari inconsciamente) deciso di vivere il conflitto stesso.
Come facciamo col coronavirus?
Lo lasciamo agire e ne subiamo le conseguenze o diveniamo pro-attivi e stabiliamo una condotta consapevole dei nostri atti nel quotidiano al fine di limitarne il contagio?

La nostra disciplina ci sprona a prendere la natura come insegnante: fluire come il ruscello d'acqua, bruciare come il fuoco, essere stabili come il suolo o volteggiare come un vortice d'aria.

Un virus è qualcosa di naturale: nel nostro sistema corporeo i batteri, i funghi ed i virus sono più numerosi delle cellule: 50 mila miliardi contro 30 mila miliardi, lo occupano silenziosamente e ci conviviamo per anni senza neanche accorgercene.
Essi invadono la nostra pelle, i denti, lo stomaco, e sono capaci di formare ecosistemi completi... di essere causa di malattie, ma anche responsabili della nostra digestione e della buona salute in generale.

E con questo Covid-19 come la mettiamo? Lo facciamo rientrare fra i suoi colleghi con i quali abbiamo stretto un patto di mutuo supporto o gli vogliamo fare una guerra senza quartiere... nella quale "le città" siamo noi?

Esiste perciò una pratica... un'immensa pratica, che chiunque fa con se stesso PARALLELAMENTE a quella che facciamo con gli altri: la pratica relazionale è una sorta di specchio, nel quale testare le consapevolezze che crediamo di avere raggiunto a livello personale e quindi individuale.

Questo periodo sarà proprio quello nel quale ogni praticante sarà chiamato a farsi domande non banali, ed a cercarne le relative risposte: se qualche settimana di sospensione dal Dojo favoriranno poltronaggine e desiderio di non tornarci più nemmeno ad emergenza sanitaria terminata...

... beh, in questo caso noi eravamo i virus dell'Aikido, e lui - mettendosi in quarantena da noi - sarà GUARITO!

Se invece saremo ulteriormente invogliati a riprendere a confrontarci con il prossimo sul tatami, sarà perché ci sarà del lavoro individuale... fatto proprio in questi giorni, da testare.

Cosa ci spaventa di più: i rapporti umani con i quali di solito abbiamo 100 mila tipi di casini e conflitti... o l'isolamento ed il guardarci dentro, che ci farebbe/farà vedere che li i casini sono a milioni?

Nel Dojo abbiamo lanciato una sorta di "challenge", ovvero di sfida: ci siamo muniti di un quaderno ed abbiamo stabilito che ciascuno di noi vi annotasse i principi dell'Aikido che vede emergere dagli accadimenti del suo quotidiano: è interessantissimo cosa stiamo notando, soprattutto il notare come certe dinamiche Aikidoistiche possano avvenire GRAZIE a noi, o NONOSTANTE noi!!!

Presto ci incontreremo on-line, in un Dojo virtuale, per condividere i risultati di questo daily training.

"La mia pratica mi aiuta a vivere le difficoltà del quotidiano in modo migliore che se essa non ci fosse?"

"Quali sono le prospettive ed i principi dell'Aikido che possono essere applicati in una giornata nella quale non ho un allenamento fisico?"

"Può la filosofia della disciplina che pratico (magari da anni) darmi qualche strumento in più per affrontare in modo costruttivo ed integrante la situazione che stiamo vivendo a livello collettivo a causa del Covid-19?"

"Mi lascio vittimizzare dal mio avversario, dalla situazione che sto vivendo? Ne approfitto per cercare di diventare il giustiziere del Covid-19? Oppure cerco di trasformare questa esperienza in qualcosa di utile per me e per il mio futuro?

La capacità di vivere questo periodo "monacale" in modo proficuo sarà uno dei più evidenti segni di maturità o meno nella disciplina che diciamo di amare.
Un Aikido che non ci da nulla su cui riflettere ora che non facciamo più ikkyo e kotegaeshi potrebbe essere una disciplina che avrà poco senso frequentare pure quando tutta questa l'emergenza sarà rientrata.

Viceversa, potremmo mettere la "corona" ad una disciplina che ci ha positivamente CONTAGIATO la vita: a noi la scelta!

Marco Rubatto





lunedì 9 marzo 2020

Non usare la forza non vuole dire non fare fatica

È piuttosto risaputo che in Aikido un utilizzo troppo massiccio della forza fisica può essere sinonimo di cattiva comprensione dei suoi principi ed incapacità di trovare gli angoli migliori, a livello tecnico.

Questo non solo è vero per la nostra disciplina, ma lo è per le arti marziali in genere... in quanto una delle leggi comuni, sulla quali tutti concordano, è che un movimento "buono" è quello che ottimizza il rendimento fra risultato ed energia impiegata per ottenerlo.

La natura ottimizza ogni suo processo, cercando di minimizzare l'impiego di energia e massimizzando i risultati: più sappiamo essere "naturali" quindi... più il nostro Aikido saprà portare frutto.

Tuttavia il precedente assunto si presta ad essere interpretato anche in modalità più estrose ed apparentemente convenienti: sapete qual'è la più ricorrente?
"Non bisogna usare troppa forza" diventa "non bisogna fare troppa fatica"... che è una cosa molto differente invece!

Quando intraprendiamo il nostro percorso sul tatami forse non lo sappiamo, ma dobbiamo sicuramente essere molto distanti da quella "naturalezza" che tanto tutti agognano, nei gesti, nelle relazioni, nei movimenti.

Se così non fosse, saremmo già "l'Aikido" e non avremmo bisogno di alcun corso per studiare e migliorare.
Nessuno nasce già "imparato" insomma... e se veniamo al mondo in modo naturale (ma inconscio), spesso necessitiamo decadi di impegno per essere naturali in modo scelto e consapevole.

Quindi la naturalezza - che di per sé richiede di non usare più energia di quanta ne occorre - è appannaggio di coloro che si impegnano per ottenere un tale stato... non per i lavativi che lo fraintendono con "scegli sempre la strada di minima resistenza"!

Abbiamo notato più e più volte nel mondo degli Aikidoka una certa propensione ad accontentarsi facilmente e di risultati piuttosto mediocri: questo atteggiamento però non fa molto onore alla disciplina, perciò abbiamo deciso oggi di rifletterci un po' insieme.

Le gocce d'acqua quando cadono seguono il percorso di minima resistenza... Gli allievi, quando è ora di impegnarsi, sanno molto bene fare come l'acqua, ma questo non è un segno del fatto che hanno già raggiunto un elevato grado di naturalezza... bensì che sono immaturi.

Sovente vediamo in giro per l'Italia (ma anche all'estero) persone che si presentano agli esami "tentando la sorte"... nella speranza che venga suggellata loro una posizione di fronte alla comunità (con un grado, una qualifica), ma non perché essi SONO CERTI di meritare questi riconoscimenti.

Desiderano averli (e già ciò la dice lunga di come loro "non specchino" tali posizioni), ma non sono disposti ad affrontare il viaggio serio ed impegnativo che li porterebbe a MERITARLI senza ombra di dubbio per alcuno.

Un grado tecnico, infatti, presenta dei requisiti MINIMI, ma non dei requisiti MASSIMI: ergo, chiunque può presentarsi agli esami quando ha appiccicato "il minimo del minimo sindacale" come un post-it, o lavorare - magari anche di più di quanto richiedibile - ma per assicurarsi di essere ciò che ritiene di pretendere dagli altri come riconoscimento.

Non ci si può presentare ad uno shodan impreparati, su!
É molto triste iniziare il proprio percorso da yudansha con l'esaminatore che deve chiudere entrambi gli occhi come atto di misericordia per promuoverci, non credete?

Ma pazienza uno shodan, che non ha elementi preesistenti per valutare bene forse... giacché non ha mai sostenuto esami DAN, ma cosa dire di un 3º, un 4º, se non un 5º dan che ti dicono: "Io vorrei fare l'esame", e tu sai per certo che stanno SOPRAVVALUTANDO le loro consapevolezze?

Forse che l'abitudine a scegliere sempre la via facile ed in discesa è ciò che fa ritenere ad alcuni che sia idiota impegnarsi sul serio per ottenere ciò che uno desidera!

Ma non è così, purtroppo... o per fortuna.

In effetti, se ci impegnano a fondo ed un percorso ci costa vero ingaggio, passione e fatica... saranno anche molto più pregnanti e significativi i riconoscimenti che ne trarremo: se invece questi ci cascano dal pero, rischiamo di essere persone come prima, ma con un pezzo di carta giapponese in più appeso al muro.

Più che cresciuti, diventiamo pataccari, insomma.

E che dire di quegli allievi che magari si accostano a noi provenendo da altri percorsi, che sembrano molto entusiasti della via che hanno intrapreso - che magari consente loro di esplorare aspetti dell'Aikido che non erano compresi nel percorso precedente - ... ma che appena si accorgono che però questo costa fatica, dedizione ed impegno... fuggono via a gambe levate?

Raggiungere determinate abilità costa tempo, risorse, costanza... talvolta pure frustrazioni di varia natura: però che bello quando poi ci arriviamo in modo naturale e maturo.
Crescere sarà sempre un processo "faticoso", ma questo è ovvio: quando si studia chimica si sa bene che gli stati energetici degli atomi sono quantizzati. Ciò significa che per passare da un livello energetico al successivo è necessario aggiungere un surplus di energia capace da farci fare "un salto" di qualità.

Questo accade quando sei neofita assoluto, 4º dan o la reincarnazione stessa di O' Sensei!


Poi, una volta passato dallo stato "A" (quello prima dell'impegno ampio e costante) a quello "B" (quello dopo l'impegno ampio e costante)... è facile che riconosceremo che B sembra più naturale di A.

Ora forse lo riconosciamo, ma in A questa possibilità ci era negata e ciò che è stato necessario, ovvero "il costo" di questa consapevolezza è stato appunto una dose di impegno, costanza, dedizione e FATICA.

Per riscoprirsi di essere naturali è quindi necessario un momento nel quale ci appare di NON esserlo per niente, in quanto ogni centimetro di avanzamento ci sembra lungo e difficile come un chilometro!

In questo frangente ci potrebbe sembrare di fare un botto di fatica per ottenere risultati tutto sommato parecchio scarsi: cosa che pare CONTRARIA al principio che abbiamo enunciato in apertura.

Questo processo si chiama "apprendimento" e funziona nello stesso modo in tutte le discipline!

Per questa ragione abbiamo ritenuto importante scrivere queste righe, poiché i principi sono una cosa importantissima, ma la loro interpretazione dipende (purtroppo?) dal livello di consapevolezza di chi li osserva.

Siamo forse tutti in viaggio verso una condizione di maggiore naturalezza, spontaneità ed efficacia... ma questo viaggio non può esimersi dall'essere irto di insidie, ostacoli ed avversità: per paradosso il valore di ciò che otterremo sarà proporzionale alla quantità e qualità di insidie attraverso le quali decideremo di avventurarci.


"Be water, my friend" raccomandava Bruce Lee... e crediamo avesse ragione, però egli non ci pareva fosse uno che si accontentasse dei requisiti minimi per passare un esame!




lunedì 2 marzo 2020

Aikido, decenza, eleganza e puzza sotto il naso

In Aikido si suda: bella scoperta Aikime, complimenti!!!

In Aikido ci si tocca: quest'oggi ci piace vincere facile...

In Aikido ci facciamo parecchie idee sul prossimo: basta, questo Post è già fin troppo ardito e saggio, inutile proseguire!

E invece lo continuiamo...

Quando ci relazioniamo con qualcuno, ci piacerebbe che avesse sempre i vestiti lindi e l'alito fresco: pure se la relazione si spende in manipolazioni articolari al prossimo non è che le cose cambino molto.

L'alito di ciascuno spesso non è una scelta... a meno che non si mangi la bagna càuda prima di andare al keiko: in questo caso è DOLO e si può venire processati per crimini contro l'umanità!

Come ci presentiamo a lezione però spesso invece è una scelta bella e buona, specie se siamo adulti e vaccinati.

La decenza del vivere civile imporrebbe di fare del nostro meglio per non puzzare di sudore come dei bisonti all'equatore, specie se poi teniamo - come nel nostro caso - una prossemica piuttosto stretta con i nostri compagni di pratica!

Ci sono tecniche in Aikido che particolarmente si prestano a comprendere quanto i nostri compagni tengano all'igiene personale: iriminage - per esempio - è anche detta "la proiezione dell'ascella pezzata", perché la faccia di uke tende ad essere proprio in prossimità di questa particolare parte anatomica del corpo... non sempre rinomata per il profumo di gelsomino...

Cadremo quindi per via di un buon sbilanciamento?
Per un ottimo colpo d'anca del nostro partner?
O per avere dato una sniffata intensa alla discarica pelosa che tori conserva sotto la spalla?

In quest'ultimo caso, già che tecnica di proiezione, sarò una tecnica di asfissiamento... proibita - fra l'altro - dall'epoca della Convenzione di Ginevra!

E come ricordavamo poc'anzi in Aikido si suda, le ascelle di solito non ritrovano freschezza da ciò... e se poi lasciamo la giacca del keikogi in borsa da una lezione all'altra, senza nemmeno farle prendere un po' di aria... capite bene che è un attimo uccidere il prossimo anche senza una tecnica così micidiale...

E parliamo ora de PIEDI... questi simpatici aggeggi grazie ai quali ogni giorno ci spostiamo, spesso all'interno di scarpe da ginnastica lavate un decennio fa...

Se dopo una giornata di scuola/lavoro, nella quale i piedi sono entrati nelle scarpe alle 8:00 di mattina, li tiriamo fuori alle 8:00 di sera e li facciamo salire sul tatami... dovremmo sorprenderci della fioritura spontanea di muschi e licheni dove si poggia il nostro plantare?!

Lavarsi i piedi PRIMA della lezione è un'atto di imprescindibile civiltà che non è compito di un Blog ricordare di sicuro!

Esiste un codice comportamentale, il reishiki (del quale abbiamo più volte fatto menzione negli anni), che richiede decenza e decoro per un praticante, e che rimanda che la cura con la quale ci risentiamo agli allenamenti parla molto di noi, di chi siamo e di quali possibilità avremo di procedere nello studio.

Per esperienze personali sappiamo che:

- i bambini fino ai 5/6 anni talvolta sanno ancora del borotalco con le quali le mamme ed i papà li profumano;

- i ragazzini, nella fascia 10-15 anni...nei quali gli ormoni sono a palla e l'igiene intima deve essere ancora scoperta; loro possono essere un problema per l'olezzo, ma dovrebbero essere un fenomeno transitorio;

- gli adulti invece riescono a mostrare talvolta sia come abbiamo appreso la lezione del vivere comune, sia come non lo abbiano mai fatto, ma non ci siano più alle spalle i genitori a profumarli di borotalco.

Senza esagerare, ricordiamo che la pelle andrebbe pulita, magari con una doccia PRIMA dell'allenamento: il sudore è odoroso se avviene sullo sporco... ma se prendiamo l'abitudine di arrivare al Dojo 10 minuti prima e ci facciamo una bella doccia, avremo 2 benefici in 1:

- ci laveremo via lo stress della giornata e saremo pronti ad immergerci nella lezione;
- riusciremo a "sudare sul pulito", ed un po' di ammoniaca non ha mai ucciso nessuno.

Gli indumenti andrebbero puliti: d'inverno avere più keikogi è indispensabile, specie per chi si allena 2, 3, 4 o anche 5 volte a settimana: il bucato non sempre riesce ad asciugare, quindi avere cambi puliti diventa veramente importante.

Le unghie andrebbero curate (quindi pulite e tagliate): non è raro essere dilaniati da fendenti da unghiolo di T-Rex sul tatami... cosa piuttosto spiacevole e quindi da evitare.

NO alle unghie colorate: oggi si tralascia molto questo particolare per non dover far sloggiare la maggior parte delle signorine... ma il reishiki vieta pure di tingersi le unghie.

I capelli andrebbero puliti, in ordine e legati se lunghi.

Niente trucco sul tatami, né monili... che corrono il rischio di incastrarsi negli indumenti altrui e recarci ed arrecare danni fisici piuttosto dolorosi (punture, graffi, strappi).

Questi non sono che consigli legati al buon senso che ciascuno dovrebbe adottare con se stesso PRIMA, e con gli altri POI.

Accade talvolta di partecipare a seminar nei quali si utilizza la stessa giacca del keikogi per più allenamenti intensi e che quindi qualche olezzo in più nella pratica si possa sentire... ma non può essere la norma una cosa del genere.

Diciamo che se "L'omo, pe' esse omo, a 'dda puzzà".. "l'Aikidoka, pe' esse Aikidoka, a 'dda non fa schifo"!

Meglio essere ricordati per la propria centralizzazione del movimento che per gli arbre magique spontanei che si formano nelle proprie parti intime.

Ma se fino ad ora abbiamo parlato di gente che non si lava... esaminiamo anche il trend completamente opposto: esiste un problema nel lavarsi troppo???

Forse no, ma può comunque accadere una certa famigliarità con l'avere la puzza sotto al naso anche quando si è molto profumati.

Ci riferiamo a quei praticanti che indossano SOLO keikogi lindi ed appena stirati, vestono solo hakama griffate: quelli un po' chic, che si vestono SOLO con la marca che utilizza il proprio maestro... la migliore che c'è sul mercato, ovviamente!

Ecco crediamo che ci sia un po' di puzza pure in questi casi diametralmente opposti: c'è odore di ego e di sovra-attenzione all'esterno per carenza di introspezione. Di certo non è una regola aurea, ma gli estremi opposti hanno sempre qualcosa in comune di malato.

Lo sapete che parecchi detersivi cosiddetti "sbiancanti" fanno utilizzo di molecole otticamente attive che - letteralmente - non lavano gli indumenti, ma li colorano di bianco sopra lo sporco?


Chi cura troppo "il fuori" è come se si mettesse una maschera che impedisce (a sé ed agli altri) di vedere com'è fatto sul serio dentro.

L'umiltà non impedisce a nessuno di stringere una mano sudata o toccare un keikogi sudato: è un momento di intimità molto importante forse... perché in un attimo abbatte alcune delle barriere sociali più potenti.

Ci va cura per sé, ma non maniacale: "mania" è infatti uno dei modi che si ha in greco per descrivere un "amore malato".
Chi puzza non si ama, come non si ama nemmeno sul serio chi si fa 8 docce al giorno.

Fateci caso: statisticamente, un tot di praticanti assidui smettono di fare utilizzo di deodoranti... sapete perché?

Nella nostra società, abbiamo l'abitudine sociale di coprire la PUZZA con il PROFUMO: se ci alleniamo abbastanza assiduamente, altrettanto tenderemo a lavarci, perché sudiamo.
In questo modo però non facciamo in tempo a puzzare, perché teniamo i pori della pelle aperti e la sudorazione si omeostatizza.

Non saremo senza odore, ma saremo senza puzza: avremo il NOSTRO odore naturale... un'essenza che troppo pochi sono ormai in grado di apprezzare.
La scienza sa che il nostro odore è una sorta di "impronta digitale"... non c'è da vergognarsi di essa, ma delle sue degenerazioni: quella trascurata puzzolente e quella perfettina coprente.