lunedì 26 ottobre 2015

Sono utili le ripetizioni dei movimenti in Aikido?

Assolutamente SI: ripetere un movimento in Aikido è importantissimo!

... non sarà mica un caso che la tradizione ci ha consegnato un metodo di apprendimento basato sul copiare e ripetere un movimento visto prima fare dall'Insegnante...

Ma cerchiamo di capirne i motivi: ogni volta che impariamo qualcosa di nuovo, tutta la nostra attenzione è catturata dalla cosa nel suo insieme...

... la prima volta che vediamo eseguire una tecnica, la nostra mente deve memorizzare la posizione dei piedi, delle mani, il movimento delle anche... c'è veramente una grande complessità di sfumature di cose da notare.

Le volte successive che ripeteremo il movimento però, potremmo soffermarci via via su particolari differenti della stessa azione: una volta la compiremo con piena vigilanza sulle posture corporee, quindi sulla qualità dell'atto respiratorio... poi avremo modo di dedicare qualche ripetizione soffermandoci maggiormente sulle distanze ed il timing...

Di ripetizione in ripetizione - man mano che il movimento diverrà automatico - avremo l'occasione di entrare sempre maggiormente nel merito dei particolari, che ben sappiamo quanto costituiscano il lato meno visibile di quella essenzialità che rende i movimenti veloci, fluidi, potenti.

I "kata", le forme cioè, potrebbero quindi essere il modo migliore di auto-apprendere l'Aikido, poiché non lasceremo solo all'Insegnate il compito di correggerci, ma inizieremo noi stessi a valutare ed indagare cosa in ciò che facciamo è ancora migliorabile: funziona come una sorta di specchio...

In realtà, anche se ripetiamo all'infinito un movimento, non lo ripeteremo mai nello stesso modo se saremo in grado di guardare con nuovi occhi la stessa esperienza!

Ed inutile sottolineare quanto ciò sia importante per la propria crescita, tecnica, quanto personale...

L'Aikido: una disciplina che auto-apprendiamo dall'affinazione perpetua di una forma... una sorta di forgiatura, che come nella lama di una spada, è sufficiente da sola ad irrobustire ci vi si sottopone, facendolo ad un certo punto "sublimare" la forma stessa e facendo approdare il praticante ai principi che la sottendono.

L'Aikido, una disciplina che basa sulla ripetizione le sue risorse per aumentare la consapevolezza corporea, l'umiltà e ridimensionare la spocchia di chi crede di volere tutto e subito: l'esperienza arriva dal fare... e rifare, e rifare... senza un limite ultimo, se comprenderemo come questo "ripetere" in realtà significa dare nuova vita a vecchie cose, mai perfezionate del tutto!

Quindi in Aikido la ripetizione è utile?

Assolutamente NO!

Ma veramente vogliamo illuderci che ripetendo ad libitum un movimento sapremo poi armonizzarci con un attacco che per definizione sarà imprevisto e fuori da ogni schema?!

Sarebbe come dire che è sufficiente studiare i grandi classici della poesia - La divina Commedia, per esempio - per diventare automaticamente poeti a livelli danteschi: la maggior parte degli studiosi diventerà diverto molto erudito, ma i nuovi Dante scarseggiano parecchio, rispetto ai suoi attuali fan...

Ripetere non serve, perché trasformare un movimento in automatismo è quanto di più lontano dall'approccio marziale, che farà di tutto per sorprenderci e non aderire ad uno schema.

Come attacchereste una persona, tramite katate dori?

Resistereste qualche centesimo di secondo senza un occhio nero: noi Aikidoka invece ci massacriamo così tanto di Aiki-pippe mentali da iniziare a credere che katate dori sia un attacco sul serio! Parlatene con un praticante di MMA... e non prendetevela, se si mettesse a ridere...

E poi ci meravigliamo se, a forza di ripetere, non ci troviamo a nostro agio nell'imprevisto?

Tutta una vita a concordare: "Io ti faccio questo, così tu poi mi fai quello"... e poi come bonus dovremmo avere imparato per magia a fare tutto ciò che serve quando l'altro si sente libero di attaccarci come vuole ed in modo sempre inedito?

Paradossale, diremmo...

L'abitudine di stare nell'imprevisto, genere a capacità di gestire al meglio l'imprevisto.

Ma l'imprevisto non si celerà mai in una forma della quale sappiamo tutto già prima di agire.
La ripetizione rischia di renderci schiavi delle certezze che ci siamo costruiti grazie ad essa: la realtà ha la capacità di spiazzare quasi sempre i nostri piani e più cerchiamo di rinchiuderla in uno schema ripetitivo, di controllarla... più di fatto ci allontaniamo da essa.

Quale sarebbe quindi una valida alternativa alla ripetizione?

L'abitudine alla presenza, l'aumento della qualità nello stare nel "qui ed ora", giacché ogni attimo è irripetibile: perché volerci artificialmente illudere di poterlo clonare a nostro piacimento?

... Sarà mica che non siamo capaci di viverlo fino in fondo?

La presenza rende inutile la ripetizione, perché consente di trarre il massimo da ogni esperienza - anche se questa è unica - e ci consente di aprirci alla più incontrovertibile delle verità... ossia che OGNI esperienza è in effetti unica e sarebbe inutile raccontarsi il contrario!

Se proviamo a ripetere la stessa tecnica, nello stesso modo, con la stessa persona...in realtà non sarà più veramente "la stessa", perché le condizioni si modificano in continuazione, sempre... mentre il passato non torna più.

Ogni tecnica è unica ed anche solo la presunzione di poterla ripetere esattamente è qualcosa di non molto concepibile, se si ha chiara la matrice che costruisce la realtà: "perfettamente" rispetto a che cosa?

"Rispetto al contesto"? Ma questo contesto dinamico, quindi non potremmo mai parlare sul serio di ripetizione, ma di un più o meno consono adattamento ad esso.

Poi se ci lasciamo abbagliare dalla possibilità dei miglioramenti futuri che trarremo dal ripetere sempre uno stesso movimento, siamo certi che daremo il massimo mentre lo eseguiamo?

Potremmo pensare: "Beh, quello che non ho compreso oggi, lo potrò fare in una prossima lezione!". Questo pensiero potrebbe far prendere sotto gamba quel famoso "qui ed ora", specie a chi - fra noi - tende a procrastinare gli appuntamenti con se stesso e la propria crescita!

O' Sensei sembra che spesso affermasse: "Impara e dimentica, impara e dimentica"... forse propio al fine di non consentire la fossilizzazione su un dettaglio che rischia di divenire del tutto inutile in una situazione realistica, appunto caratterizzata dall'unicità, oltre che dall'imprevedibilità.

La ripetizione che rende automatico un movimento va nella direzione opposta dal creare consapevolezza sul movimento: un computer processa una grande quantità di calcolo in modo automatico, ma non chiediamogli di esserne cosciente dei risultati ai quali giunge, perché faremmo un buco nell'acqua!

Automatismo è l'opposto di consapevolezza, perché possiamo ripetere una cosa senza essere presenti a noi stessi mentre ciò avviene.

Avete presente quando alla mattina ci alziamo, ci laviamo il viso, i denti e siamo un po' in coma?
Arriviamo con l'auto al lavoro, ma sinceramente non sappiamo nemmeno come abbiamo fatto a giungere fin lì: è stato un automatismo, semi-conscio, se non del tutto inconscio.

Porta consapevolezza alle nostre azioni?
No, ovviamente no.

Allenarci a ripetere il noto e farlo diventare "automatico", un giorno ci preparerà ad affrontare ciò che è fuori dagli schemi... che sono l'unica cosa che abbiamo contattato fino ad ora?

Forse - più verosimilmente - implementare la nostra capacità di percepire noi stessi e l'ambiente che ci circonda ce lo potrebbe consentire: più siamo consci delle infinite variabili di cui siamo costituiti e nelle quali ci muoviamo, più l'imprevisto diventa un compagno di viaggio costante, ma che non fa più troppa paura...

... nemmeno nel caso in cui questo imprevisto fosse un pericoloso conflitto, magari un'aggressione fisica.

La vita è nuova istante per istante: due situazioni possono essere simili, ma mai uguali a loro stesse e questo dovrebbe saperlo bene un praticante di una disciplina che insegna ad armonizzarsi con quanto c'è intorno.

Ma noi impariamo ad armonizzarci con quanto c'è intorno o a quanto pensiamo o fingiamo ci sia intorno?

La ripetizione è una gabbia nella quale è comodo richiudersi per non incontrare mai quella realtà ricca di sfumature e continuamente in mutamento nella quale siamo immersi.

Per ogni musicista fare solfeggio può essere importante nell'impratichirsi con le note e le scale ma per tutta la vita?
musicali,
Fino a quando all'improvviso ci riscopriremo talentuosi come Mozart o Beethoven?

Occhio quindi a non cadere nella comoda trappola della ripetizione, strumento che diventa facilmente padrone di chi gli lascia troppo campo...


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Nello scrivere questo Post non abbiamo sofferto di nessuna sindrome da personalità multipla - anche se potrebbe sembrare il contrario: allora, le ripetizioni in Aikido sono utili o no?

Sono pericolose o no?

Già parecchi anni fa abbiamo scritto fiumi di parole per mostrare quanto la nostra disciplina fosse razionale (le trovate QUI)... e poi anche quanto fosse irrazionale (le trovate QUI): ma allora com'è fatta?

Abituiamoci a farci una nostra opinione, senza aspettare che qualcun altro ci consegni una comoda verità alla quale aderire.

Quest'oggi è proprio questo il nostro compito, far riflettere.

Abbiamo dato alcuni buoni motivi per fare della ripetizione un must, così come alcuni pessime ragioni per utilizzarla regolarmente: cose giuste, sbagliate, parziali?

Fate voi, prendete ciò che vi serve e lasciate il resto...

E ciò se avete ulteriori idee alle quali non abbiamo pensato, fatecele avere... così da ampliare ulteriormente il panorama "dei sinonimi e dei contrari".

L'Aikido è un processo interiore, non intendiamo disturbarlo, ma favorirlo con domande che lo stimolino: per noi non è nemmeno importante addivenire ad una verità ultima ed incontrovertibile... quanto siamo piuttosto interessati al processo in cui essa tenta di venire alla luce.

Buon parto (gemellare???)




1 commento:

Valentino Traversa ha detto...

Letto qualche giorno fa: "l'esperienza non è fare le stesse cose nello stesso modo".
Per ripetere correttamente, dovremmo conoscere perfettamente la tecnica, solo che a quel punto non ci sarebbe più bisogno di ripeterla.
Allora il nostro è un lavoro di scoperta, pensando ogni volta che forse non abbiamo capito nulla della tecnica e provare quindi a vedere cosa succede nel fare la tecnica.
Morihei diceva di imparare dalla Natura, o dagli Dei, ma come avrebbe potuto mai imparare qualcosa se fosse stato convinto di sapere già tutto?
Per cui, quando i nostri insegnanti ci invitano alla pratica di una tecnica, dovremmo prenderlo come un invito a guardare in una direzione, come attraverso un telescopio, o un microscopio, per vedere aspetti del reale che prima ignoravamo.
E come insegnanti, dovremmo sempre essere coscienti che i nostri allievi potrebbero arrivare a trovare cose che noi non abbiamo mai visto, pronti ad imparare da loro.