lunedì 22 aprile 2024

Aikido e la disciplina che non serve affatto

Spesso sentiamo dire che ai più giovani servirebbe più disciplina ed imparare il rispetto...

Molti sono i genitori che, sul panorama delle attività sportive disponibili, scelgono per i loro figli le Arti Marziali anche per insegnare loro questi valori... perché comunque sanno che in corsi come questi NON è tollerato tutto, e si insegna ai ragazzi anche a rigare diritto, in qualche modo.

L'Aikido non fa eccezione a tutto ciò: il reishiki (l'etichetta) è fondamentale e quindi lo è altrettanto che tutti i praticanti, giovani e meno giovani, lo imparino e lo mettano in pratica quanto prima....

- si arriva puntuali al Dojo per le lezioni

- si fa un inchino prima di salire sul tatami

- si lasciano gli zoori al bordo del tappeto, con il tallone verso il tatami

- si ha cura del proprio abbigliamento e della propria igiene personale

- si fa il possibile per essere collaborativi con il proprio compagno, contribuendo a creare un'atmosfera di studio serena e proficua...

E quante simili LISTE di "elementi disciplinanti" abbiamo visto nel mondo delle Arti Marziali?!

Solo che tutto ciò può non bastare per niente... e può addirittura diventare controproducente, nell'ottica del sottoporsi ad una DISCIPLINA.

Essere coerciti sotto un cappello di regole NON è darsi una disciplina... ma piuttosto farsi ammaestrare (o "auto-ammaestrarsi"), come si farebbe con una foca, un cane o una scimmia.

Se viene a mancare la scelta personale libera di aderire o meno al sistema delle regole, esse per noi possono fare praticamente solo danni, e provo a motivare questa mia apparentemente strana uscita.

Qualsiasi essere umano nasce, cresce ed ha bisogno del contesto intorno a sé per farlo... poiché viene al mondo in una condizione di completa dipendenza, in un momento di vita caratterizzato da totale anarchia ed egoismo. In questa dinamica, gli altri non esistono: ci siamo solo noi e le nostre esigenze (pappa, cacca, nanna)... pur dipendendo completamente da coloro che nemmeno sospettiamo essere fondamentali per poter esercitare le nostre esigenze primarie ed anarchiche.

Poi, ad un certo punto, un bambino viene più direttamente a contatto con la società e con gli altri suoi simili, imparando ad interagire ed introiettando diversi sistemi di regole (familiari in primis, ma quindi anche ludiche, scolastiche...) e qui qualcosa cambia, ma non è detto che cambi in meglio.

Mentre è palese che tutto ciò sia indispensabile, il bambino inizia a dare retta agli adulti di riferimento che utilizzano il sistema delle regole per 2 differenti (ed opposti) motivi:

- perché sono interessati a far crescere il più possibile in modo sano il giovane ("vatti a lavare i denti dopo aver mangiato", "prima fai i compiti e poi vai a giocare")

- perché sono interessati a rendere quel giovane sempre più manipolabile ed ubbidiente, così da arginarla sua capacità intrinseca di rompere le scatole, o di essere pericoloso per alcuni aspetti della società che non siamo disposti possano venire messi in discussione.

Sempre di regole si tratta: ma nel primo caso sono di supporto all'evoluzione personale, nel secondo caso rischiano di tarparla invece.

Purtroppo il primo luogo dove le regole vengono utilizzate per creare dei piccoli automi è proprio la SCUOLA: si sta zitti, si sta seduti, si parla solo quando la maestra ti da il permesso, se uno si comporta in modo difforme al sistema delle regole, i genitori si sentono dire che "ha un comportamento non ADEGUATO", ma esattamente non adeguato a cosa?

A sbadigliare di noia quando la maestra non è capace di catturare il suo interesse ed attenzione con la lezione che sta tenendo?

Chi decide cosa è adeguato e cosa non lo è?

É sano poter sbadigliare di noia perché la lezione ci sembra inutile e lenta (perché magari abbiamo già capito dove vuole andare a parare o ci pare un nonsenso)?

A volte sembrerebbe di si, ovvero che non sia sempre l'alunno a doversi modificare... l'Insegnante spesso dice che il suo comportamento non risulta rispettoso dei compagni che hanno bisogno di più tempo per comprendere: ma è veramente così, oppure con questa scusa si maschera l'incapacità didattica di chi insegna?

Ed anche nel caso in cui si debba imparare a pazientare, perché non possiamo imparare ad esprimere il nostro disagio emotivo? Perché dobbiamo nasconderlo o fingere che non ci sia?

Ecco che si sta iniziando l'opera di ammaestramento umano, nel quale per ADEGUARSI a ciò che il contesto ci richiede, iniziamo a rinunciare alla nostra autenticità.

Questo non avviene sempre per scopi manipolativi, a volte è necessario UNIFORMARSI anche solo per essere accettati nei gruppi umani dei quali facciamo parte.

Al Dojo arrivano diversi adulti che sono dichiarano apertamente di essere diventati "schiavi" della vita alla quale essi stessi hanno finito per ammaestrarsi da soli, una volta che alle scuole elementari hanno spiegato loro come fare.

E non si diventa solo adulti infelici, ma anche inetti: non siamo più abituati a percepire cosa sia veramente fondamentale per noi, abbiamo spento la fiamma della curiosità verso ciò che non conosciamo ed abbiamo imparato a dire un sacco di "signor si" per poter sopravvivere con meno conflitti possible, secondo la strada di minor resistenza.

Ma un guerriero non accetta di sopravvivere: lui vuole VIVERE... ed è disposto a combattere le battaglie che gli sembrano importanti, anche perché è capace di distinguere quali lo sono e quali no.

Un guerriero, proprio grazie al sistema delle regole, viene sempre più in contatto con se stesso... non diventa un dottore ammaestrato a limitarsi ad applicare unicamente un protocollo sanitario, uno scienziato che studia solo ciò che le lobby pagano, un giornalista che scrive esclusivamente ciò che non dispiace troppo al suo Capo Redattore, un politico che smentisce oggi quello che ha garantito ieri.

Un guerriero NON può fare nulla di tutto ciò, perché se lo facesse potrebbe forse guadagnare plauso e successo in mezzo ai suoi simili, ma perderebbe se stesso... e si schiferebbe di restare al mondo come un mezzo parassita.

Il sistema delle regole di una disciplina è caratterizzato dall'assenza di imposizione e di possibile manipolazione: in poche parole "è una scelta personale".

Una scelta che si può iniziare a fare inconsapevolmente, perché si segue il branco, ma che ad un certo punto richiede una presa di posizione chiara e partecipata: "Tu cosa vuoi fare di te?"

Il Dojo, e quindi i corsi di Aikido, cosa vogliono diventare: gli ennesimi luoghi creatori di "Yes Man", o nei quali si impone l'autorità del Sensei... Un luogo nel quale vige l'anarchia (nel senso più limitativo del temine) o il luogo nei quale si lascia che i praticanti scelgano chi vogliono diventare?

In questo senso, sto molto attento a quale tipo di disciplina regni durante i corsi che tengo: alzare la voce con i bambini, i ragazzi ed ancora di più con gli adulti, trovo che sia sempre una forma di sconfitta... perché quello che si vuole capire, lo si capisce anche se parlo con un tono pacato... e quello che non si ha proprio intenzione di capire, non lo si capisce nemmeno se lo urlo.

Certo, talvolta posso essere percepito anche come "duro ed intransigente" dagli allievi, quando vedo che essi non accettano la sfida della crescita e delegano le loro responsabilità personali: ma si tratta solo di una "sveglia" che do loro, nulla di più. Di meno sarebbe troppo poco, di più sarebbe troppo.

Non posso percorrere il cammino al loro posto: posso solo indicare quello che ad oggi mi pare essere il percorso più sano e ragionevole. E se qualcuno di loro mi venisse a dire che sia annoia?

Per quanto mi spiacerebbe, glielo lascerei dire e mi annoterei se è il solo che me lo rimanda o se è in compagnia: poiché in quest'ultimo caso, magari la responsabilità potrebbe essere più mia che loro!

Ho frequentato in gioventù corsi di Arti Marziali (specie Karate) che sembravano filiali del Cobra Kai:  rimproveri verbali e punizioni fisiche continue... si andava a lezione con la paura di non sbagliare nulla per non fare arrabbiare il Sensei.

Un'ottima scuola di ammaestramento per futuri "servi"... che al tempo imparavano a chinare la testa davanti a quell'autorità, quindi avrebbero passato il resto della vita a chinarla dinnanzi al capo branco, al "maschio alfa" di turno nei vari contesti della quotidianità.

Persone quindi che non riescono ad esprimersi, che sentono di non avere il permesso di farlo, né ribattere criticamente al lavoro, in famiglia, con gli amici, con i figli...

Ricordo che la fine della mia religiosità è coincisa con quando iniziai a rispondere in modo "poco adeguato" dai salesiani dai quali andavo alle medie prima ed alle scuole superiori poi. Era tutta brava gente, e sono certo che desiderassero il bene dei ragazzi, ma cavolo se erano manipolatori!

Almeno, io avvertivo che lo fossero nei miei confronti: avevano compiuto scelte radicali, e quindi avevano l'aspettativa un po' magica che gli alunni facessero perlomeno altrettanto... e tutto è andato bene fino a quando non lo ho fatto presente loro; li mi sono accorto di essere considerato un "divergente", che certe domande e certe obiezioni non potevano essere tollerabili, e che quindi divenivo un pericolo potenziale per la loro community, proprio perché di conformarmi ai desiderata altrui non ci pensavo nemmeno, se questo non coincideva pure con la prospettiva mia.

La disciplina quindi per me può essere severa e pure austera, ma o è scelta o è un fake inutile... specie se è imposta. E se questo vale per un bambino o un ragazzo, figuriamoci per un adulto... Diciamoci pure che se con una disciplina non si impara a divenire più liberi di quanto non lo fossimo senza, allora la disciplina ha miseramente fallito, perché è diventata una gabbia... una rete nella quale si rimane impigliati.

Il problema successivo che si rileva però è che per insegnare al prossimo ad essere liberi, servono persone già a loro volta in possesso (almeno parziale) di questo stesso status: i salesiani della mia giovinezza erano ottimi docenti, ma in media tutt'altro che persone libere. Erano indottrinati, e cercavano quindi di indottrinare a loro volta il prossimo, anche senza accorgersene, pur con un assoluto intento costruttivo (almeno dal loro punto di vista).

Dal mio punto di vista, invece, il solo fatto di aderire a qualsiasi forma di credo non permette a nessuno di essere libero ad un livello significativo, a meno che non si sia consci dei limiti che ciò ingenera e ci richiede: intendiamoci, rispetto molto chi DECIDE di aderirvi... ma, da qualche decennio tendo a dare il giro a chi desidererebbe impormi il suo sistema di credenze, senza nemmeno chiedermi il consenso di farlo.

Nell'Islam - ad esempio - mangiare carne di maiale è considerato “haram”, ossia proibito in quanto costituisce un peccato: se sei mussulmano quindi non sei LIBERO di magiarla; ne devi essere però conscio PRIMA di diventare mussulmano... e soprattuto non sfrangiare i cabassisi al prossimo che invece non è mussulmano e la mangia.

Se nasci in una famiglia mussulmana, fin da piccolo non mangerai la carne di maiale: per te sarà normale questa cosa e non la percepirai più come una disciplina alla quale sottoporsi... ed ecco che nasce l'ammaestramento inconsapevole di se stessi, stando dentro "una gabbia", nella quale non hai scelto di entrare che nemmeno percepisci come tale!

Forse "disciplina" come parola inerente un sistema di regole va implementata con qualcosa che ne faccia intendere la prospettiva che la anima: "questa regola serve a raggiungere quel risultato"... allora è ok.

È un contratto chiaro ed aperto che si stipula, con se stessi e con gli altri: se voglio dimagrire, devo ridurre l'apporto calorico nel mio cibo e/o fare più attività fisica. La "disciplina" della dieta in questo modo è allineata al fine che intendo raggiungere, non c'è alcuna manipolazione, né violenza nel mettere l'alto voltaggio al barattolo della nutella... per impedirci un trasgressivo raid notturno.

Un corso di Aikido non è dissimile: ad esempio frequentare le lezioni con una certa regolarità aiuta a raggiungere tutta una serie di risultati, che sono impensabili per chi viene una volta al mese.

Questo vale per tutti, ma quanti fra quei "tutti" hanno intenzione di raggiungere determinati risultati?

Chi sono io per decidere che ciascuno sia obbligato a farlo nella stessa misura degli altri?

Certo: posso far presente a TUTTI che frequentare con regolarità ha degli indubbi benefici, ma poi non posso imporre che ciò avvenga: o le persone si auto-sottopongono a quella disciplina, oppure non servirebbe a nulla frequentare le lezioni per far piacere a me, o assecondare le mie aspettative.

In questo modo starei creando dei nuovi allievi "ammaestrati" a saltare nel cerchio di fuoco quando glielo ordina il domatore... ma siamo su un tatami, non al circo!

La disciplina che siamo in grado di SCEGLIERE ci aiuta e supporta crescere, qualsiasi altra forma ci INGABBIA e, di fatto, ci allontana dal divenire persone più consapevoli del proprio valore e dei propri limiti.

I corsi di Arti Marziali tenuti dal Sergente Maggiore Hartman non credo siano più molto utili: ciò che sorprende è che in molti luoghi invece si usi ancora così, e poi ci meravigliamo che non c'è gente a sufficienza sui tatami. È ciò che serve alla società?

Le Scuole tradizionali giapponesi sono spesso molto richiedenti, e fanno bene, ma sono riservate ad un numero decrescente di persone: proprio perché non tutti solo DISPOSTI a sottoporsi ad un tale livello di ferrea disciplina.

Pensate a come devono essere ad esempio contenti alcuni discendenti di grandi Maestri per i quali si applica ancora la (folle ?) tradizione di eredità consanguinea del proprio status.

Kisshomaru Ueshiba ha SCELTO di fare Aikido ed è quindi divenuto il secondo Doshu, o si è trovato a DOVERLO fare perché il suo papy glielo chiese?

Moriteru Ueshiba, dopo di lui?

Mitsuteru Ueshiba, che si prepara ad essere il 4º Doshu?

Ed Hiroteru Ueshiba - che adesso avrà circa una decina di anni - spasima di desiderio di divenire il 5º Doshu, o magari vorrebbe fare il panettiere o il benzinaio?

Nessuno di loro sembra avere avuto (o avere ora) più di tanto scelta... quindi mi attendo che sia solo questione di tempo che un "Ueshiba", di cognome, ma di animo differente dal nostro Aiki-nonnetto, si stanchi di questa assurda impossibilità di determinare il proprio destino, e faccia saltare il banco a tutta l'Aikikai.

In fondo, O' Sensei NON ha fatto il mestiere di suo padre, non ha fatto per tutta la vita ciò che gli ha insegnato il suo Maestro Sokaku Takeda... ma ha compiuto delle scelte, si è sottoposto alla disciplina che credeva utile per lui (non di più, non di meno) e si è assunto la completa responsabilità e merito di ciò che è accaduto in seguito a tutto ciò.

Credo che ciascuno di noi debba fare esattamente altrettanto: buttare nel cestino tutto ciò che ci frena, compresa le discipline ammaestranti... ed utilizzare gli strumenti che ci servono - per quanto acuminati, pericolosi e richiedenti - per giungere dove crediamo sia sano dirigerci.

Marco Rubatto



 

lunedì 15 aprile 2024

Skrotegaeshi: utili torsioni testicolari per Aikidoka

"Un pizzico di persecuzione... può essere un ottimo segnale!"
[Padre Anthony Elenjimittam, 1915-2011]

L'Aikidoka - per sua natura - ha un certo numero di "giramenti di palle" ai quali fare fronte, diremmo comunemente... anche se è femmina, anche se nel suo percorso sembra andare tutto bene.

Essere consapevoli che le difficoltà che stiamo incontrando sono, in un certo senso, "naturali" e condivise con il resto di quelli su un cammino analogo al nostro... può forse non rendere "i giramenti di palle" una dinamica piacevole... ma crea l'opportunità di utilizzarli a nostro vantaggio e viverli nel modo più sano e proficuo possibile.

Probabilmente, il termine più adatto per un Aikidoka a queste dinamiche potrebbe essere "skrotegaeshi"... parafrasando quella famosa tecnica di solito applicata solo sui polsi, per nostra fortuna.


A - Il luogo per la pratica

Sovente si parte con l'idea di frequentare una disciplina, ma difficilmente avremo la possibilità di trovare un luogo sotto casa, che fa lezione nei giorni e negli orari nei quali siamo più liberi.

Bisogna iniziare un'opera di mediazione... fra lavoro, famiglia, amici... e le proprie passioni.
Di solito qualcuno si scontenterà, perché "da quando abbiamo deciso di giocare a fare i Samurai... le cose non sono più come una volta!".


B - Trovare nuove risorse economiche

Aggiungiamo ai "vizi" che già avevamo, pure quello di frequentare una palestra, un centro sportivo, un Dojo, acquistare l'attrezzatura che utilizziamo durante gli allenamenti, quindi ci servono più soldi di un tempo, oppure dobbiamo distribuire diversamente le risorse che utilizzavamo in precedenza: qualcosa va limitato... le sigarette, la TV streaming on-demand, le serate al pub o al ristorante.

E la cosa non accenna a risolversi dopo che abbiamo trovato le prime quadre: il Sensei magari inizierà a proporci lezioni extra, eventi, seminari, raduni che si svolgono nel week end... alcuni "domestici", altri che necessitano di piccole o grandi trasferte; tutto ciò significa ulteriori soldi da spendere e problemi di logistica familiare, lavorativa, etc.


C - Problemi durante il corso

Non sempre gli esercizi che ci viene chiesto di svolgere ci risultano "facili" da realizzare e questo genera una certa dose di frustrazione
; magari vediamo che anche gli altri compagni talvolta incontrano difficoltà analoghe (dove le troviamo anche noi, o in altri aspetti della pratica), ma intanto ciò non rende meno frustrante il sentirci non all'altezza della nostre aspettative o di quelle del nostro Sensei.


D - Problemi di relazione

Gli scambi umani che inevitabilmente avremo in occasione delle lezioni non saranno tutti uguali
: alcuni saranno da subito positivi ed appaganti, altri apparentemente indifferenti... ed altri ancora particolarmente ostici da vivere.
Persone con le quali non è facile legare, fare esercizi... che sentiamo ostili o sabotanti per la nostra attività.
Le difficoltà possono viversi dentro o fuori dal tatami (ad esempio negli spogliatoi), o magari in entrambi i contesti.


E - Tappe obbligate del percorso

L'avanzamento nella disciplina viene scandito da momenti specifici, nei quali si svolgono esami di graduazione
: questi sono importanti, ma per definizione, non sono momenti facili da vivere.
Ci sarà chi prova paura di non essere pronto, fastidio dovuto alla necessità di essere più presente agli allenamenti o doverne incrementare il numero per prepararsi al meglio.

Si tratta un periodo di intensificazione di tutto ciò che ruota intorno al mondo della nostra pratica, dalla difficoltà alla soddisfazione... però è molto più facile percepire gli impedimenti legati alla prima, poiché la soddisfazione avviene di solito DOPO che si sono superate le difficoltà.


F - Infortuni

Il fatto di praticare fisicamente ci espone alla possibilità di subire infortuni
, di solito per fortuna non molto gravi, ma in grado di tenerci lontani dalla pratica per settimane, se non per mesi (o anni).

La stragrande maggioranza delle persone ha una vita lavorativa e famigliare alla quale non può rinunciare, quindi il problema degli infortuni si specchia anche ben al di fuori delle attività sul tatami. Per un libero professionista - ad esempio - non poter guidare automobile per via di un braccio al collo può generare problemi molto seri di perdita di profitto; per una persona che accudisce i suoi figli infanti si può dire altrettanto.

Molte attività che facciamo si basano sull'essere in uno stato di salute fisica accettabile, ovvero senza grossi impedimenti... che invece emergono prepotentemente nel caso di uno stiramento, una lussazione o una frattura. Lo skrotogaeshi aumenta di brutto se ci facciamo male durante i corsi, specie se per la distrazione nostra o di qualche compagno.


G - Cambiamenti di paradigma

Anche nel caso migliore nel quale la pratica ci accompagni per lunghi anni, è talvolta necessario operare alcuni cambiamenti di paradigma non semplici da accettare: pensiamo alla fisicità che possiamo avere se iniziamo a praticare a 20 anni... e come essa non potrà essere mantenuta fino ai 60.
Il corpo invecchia, si modifica, diventa più legato: se amavamo fare grandi cadute, sentiremo sempre più come non sia possibile continuare a farle cosi anche in futuro. E quindi la nostra pratica dovrà acquisire nuove prospettive, un nuovo senso... oppure magari fermarsi ed arrendersi dinanzi all'evidenza del fatti.


I - Crisi periodiche del percorso

Qualsiasi percorso personale, se preso con serietà ed autenticità, ci porta a vivere una serie ciclica di crisi di varia natura: alcune scaturiscono dal far fronte ai "rompimenti di palle" che ho indicato fino ad ora... altre invece sono di natura più personale, per esempio ci si chiede se praticare ci risulti ancora qualcosa di utile, appropriato, sensato per noi.

Gli ostacoli che siamo costantemente chiamati a superare possono demotivarci, oppure possono nascere nuove fonti di frustrazione inedite, che non c'erano prima ed alle quali ci sembra di non essere preparati a fare fronte. In alcuni casi, si prova semplicemente disaffezione per la pratica, per il nostro gruppo, per il Maestro, etc.


Ecco...
ciò che abbiamo raccontato fino a qui non è sempre facile da vivere, specie se le dinamiche meno piacevoli durano nel tempo, e - in qualche misura - iniziano a divenire ripetitive e/o logoranti.
Un tempo però avrei dato ricette molto differenti da quelle che ho in mente ora per questo tipo di impedimenti e difficoltà.
Più o meno ogni 10-15 giorni c'è un allievo che viene da me presentandomi una di queste istanze, un po' con l'aspettativa magica che io possa trovare una soluzione al suo problema.

Ciò che è forse triste, ma anche vero - però - è che NON è possibile eliminare certe difficoltà che si incontrano: esse hanno un loro preciso senso, significato e "compito"... e la disciplina sarebbe impoverita se non si dovesse trovare il coraggio di stare dentro ad alcune dinamiche, e riuscire anche a risolvere determinati impedimenti che ci si presentano.

Ho imparato che le persone frequentano praticamente TUTTE un corso di Aikido con aspettative più o meno alte: diciamo così, le aspettative sono tutte molto alte... e quando sembra che non lo siano, è perché i praticanti non hanno il coraggio di ammettere che invece lo sono.

Si tratta forse di un'astuta auto-manipolazione psicologica, nella quale l'avere aspettative modiche ci consente di non dispiacerci troppo se poi non dovessimo riuscire a soddisfarle. Ma capite bene che tutti vorrebbero raggiungere le vette di ciò che ancora non si sentono di possedere come piacerebbe loro.

Siamo una specie abituata ad auto-ammaestrarci a non desiderare troppo il successo, a non pretendere l'auto-realizzazione, a non mirare all'abbondanza ed alla soddisfazione più autentiche.

In un certo senso, possiamo affermare quindi che la disciplina ha VALORE proprio perché si devono affrontare e superare certe difficoltà: ciò che ho notato negli anni è che più si è disposti ad affrontare e superare certe difficoltà, più la disciplina ci regala ciò che ci serve e talvolta anche che noi desideriamo.

È come se le difficoltà e gli skrotegaeshi fossero una sorta di "guardiani della soglia"... che determinano chi ha il diritto di passare oltre e chi invece si deve fermare li (sia con se stesso, che con gli altri).

Una difficoltà che si rivela qualcosa di indispensabile quindi?

SI, credo sia necessario questo tremendo cambio di paradigma... poiché dalla pratica aspiriamo ad altrettanti cambiamenti radicali. E, come dicevo prima, è onesto pensare che se desidero ottenere un risultato importante, mi sia anche richiesto di sostenere situazioni importanti a loro volta, e quindi non semplicissime da vivere.

Se così NON fosse, paradossalmente, persone poco motivate, poco costanti ed impegnate... avrebbero la stessa probabilità di raggiungere risultati simili a chi invece è molto motivato, presente ed ingaggiato in ciò che fa. Questo non si verifica, per fortuna, a beneficio del secondo tipo di persone sulle prime.

Coloro che amiamo definire "i grandi della storia" solitamente sono stati capaci di superare notevoli prove ancora prima che ottenere grandi risultati.

Insomma, mentre da tori impariamo a fare un buon kotegaeshi al polso del nostro uke... dobbiamo anche prepari a ricevere alcuni dignitosi skrotegaeshi dalla pratica e dalla vita più in generale.
Ciò fa parte di una dinamica autentica e coerente: non ci accade nulla di malvagio o di veramente ostile... ma qualcosa di completamente funzionale a ciò che stiamo allenando.

Noi stiamo allenando la nostra possibilità di conoscerci e migliorarci... cosa che implica la continua necessità di "morire" a ciò, a chi eravamo per poter "nascere" a ciò ed a chi che vogliamo diventare.

Un guerriero non ha paura delle difficoltà: le utilizza come metro per comprendere se e quanto è disposto a fare per ottenere ciò che desidera.
La disposizione ad avere pochi rompimenti di palle, mi predispone anche ad avere flebili soddisfazioni; l'essere disposto "a fare ciò che bisogna fare", mi rende TOTALE, come serve essere a chi vuole ottenere un risultato TOTALE, su di me e sulla mia vita.

Le torsioni testicolari continueranno a non essere né facili, né piacevoli... ma potranno indicarci che forse siamo molto più sulla buona strada di quanto non osassimo nemmeno immaginare.

Marco Rubatto







lunedì 8 aprile 2024

Le maledizioni dell'Aikido: 5 modi di fare DANni e di essere DANnati

Ci sono molti aneddoti che girano su quali dovrebbero essere le capacità di un praticante giunto ad uno specifico punto del proprio percorso nell'Aikido.

Ci si accorge - dal suo interno - che la famigerata "cintura nera" è tutto meno che il segno di una sedicente maestria di qualche genere... però vorrei quest'oggi tirare una linea più netta possibile su ciò che mi ha insegnato la mia esperienza in merito.

Premetto a quanto verrà che oggi - in Italia almeno - le carriere dei semplici praticanti e quelle di chi desidera fare il docente sono manifestamente e dichiaratamente SEPARATE, mentre secondo la tradizione giapponese questa cosa non avveniva, ne forse ancora non avviene, in determinati contesti.

Questo cambia un po' le carte in tavola, perché - sempre secondo la tradizione - pareva naturale ad un certo punto del proprio percorso tuffarsi nell'insegnamento, come modo di restituire alla società quanto si era appreso fino a quel momento... una sorta di "servizio" da rendere per onorare ciò che ci è stato dato e chi ce lo ha dato.

Beh, qui non è più così... quindi una persona può tranquillamente continuare a praticare per tutta la vita, giungere anche a gradi dan molto elevati, senza porsi proprio il pensiero di insegnare qualcosa al qualcun altro, o avere specifiche forme di responsabilità verso terzi. Bello o brutto che sia, giusto o limitante... è così, e quindi ne prendiamo atto.

Ciò detto, in ogni caso il proprio operato tende ad avere effetti verso terzi, fosse anche solo perché ciascuno ha dei compagni di pratica, rispetto ai quali sapremo essere (o meno) buoni kohai e/o buoni senpai.

Veniamo ora ad una rapida disamina di quali step dovrebbero (o potrebbero) caratterizzare i vari gradi... o meglio "gradini/livelli", come indica il kanji [段] "dan".


初段 SHODAN - 1º dan

Il kanji [初] "sho" indica un inizio, l'essere nuovi a qualcosa... quindi "shodan" è il grado dell'inizio... altro che della maestria!

Si finisce forse di essere "ospiti" provvisori di un Dojo, perché fino a poco prima era in sostanza quello che eravamo e si decide finalmente di entrare a farne parte della famiglia dei praticanti con tutte le scarpe (o gli zoori, o pure ancora più spesso a piedi nudi). Se alla fatidica cintura nera siamo al livello del principio, cosa possiamo dire di essere stati prima?

Technically speaking, lo shodan è il grado nel quale si dovrebbe essere in grado di mostrare un po' tutti i fondamentali tecnici della disciplina (taijutsu, Aiki ken ed Aiki jo), senza cose mirabolanti... una capacità espositiva chiara, di base, lenta e pulita. Non sono i salti che si è in grado di compiere o quelli che si fa fare al proprio uke il focus delle proprie abilità.

Al contrario, essere semplici, essenziali e puliti nei movimenti di base (ad esempio nei più semplici tai sabaki) ritengo sia un grande valore aggiunto, anche ove la pratica avesse ancora diversi aspetti STATICI. Non è questo il grado per mostrare dinamicità a tutti i costi, ma al contrario è il momento di mostrare che c'è stato una progressione strutturante nella tecnica... e più, in generale, nella disciplina.

Ho sentito dire che questo è il livello nel quale un praticante dovrebbe essere in grado di tenere a bada un aggressore NON allenato, senza troppe difficoltà. Mi pare poetica come immagine, ma ne dubito seriamente, poiché un aggressore che ha reale intenzione di ledere, può essere anche poco o niente allenato... ma è vivo, determinato e perciò parecchio imprevedibile. E, secondo me, al livello di shodan corriamo ancora il rischio che ci faccia un cesto di dimensioni bibliche, perché abbiamo a malapena finito di studiare le tecniche principali, in compagnia di un partner collaborativo.
Questo è il livello nel quale "abbiamo imparato bene una poesia" e la ripetiamo, come avremmo fatto davanti alla maestra delle elementari... un po' pappagallando.
A questo stadio ciascuno è ancora parecchio incapace di cogliere le sfumature che esistono fra i vari stili e didattiche, ed è convito di fare l'unico Aikido possibile... il migliore di tutti, ovvero quello del SUO Maestro!

Per coloro che si sentono motivati ad iniziare un percorso di supporto nell'insegnamento del proprio Sensei, la FIJLKAM rende possibile prendere la qualifica di Aspirante Allenatore (1º livello)... ovvero la prima certificazione da Insegnate Tecnico, che però non consente ancora alcuna autonomia nell'insegnamento.

Si può però diventare un prezioso supporto per il Dojo nel quale normalmente pratichiamo, dando una mano al Sensei, aiutando i nostri kohai a preparare gli esami kyu interni, magari anche sostituendo occasionalmente il Docente, in caso di sua assenza, ma senza che ciò comporti una mansione da svolgere con continuità.

Nel mio Dojo, mediamente parlando, questo traguardo richiede circa 6 anni di pratica.


弐段 NIDAN - 2º dan

Ho sempre visto questo livello come una sorta di "shodan BIS", oppure "MAXI shodan"... ovvero il momento nel quale sono sostanzialmente capace di fare ciò che sapevo fare al gradino precedente, ma ora sento tutto un po' più mio: se prima stessi recitando la poesia che qualcun altro mi ha insegnato... ora riesco a dargli anche una mia intonazione, pur attenendomi scrupolosamente al testo originario. Diciamo che conosco così bene la base, che posso permettermi il lusso di iniziare ad interpretarla un minimo, stando attento ovviamente a non snaturane le caratteristiche ed anche a non sentirmi libero di fare il poeta a mia volta.

La solidità della base ovviamente non si disdegna, ma la propria pratica può affacciarsi a livelli più fluidi di un tempo.

Questo dovrebbe essere il livello nel quale è possibile tenere a bada contemporaneamente 2 attaccanti non allenati, ma non ci credo... così come non credevo alla stessa cosa per il grado precedente.

Pur frequentando ancora una didattica specifica, questo potrebbe essere il momento nel quale ci si affacci alla possibilità dell'esistenza di tanto altro Aikido fuori dalla porta del proprio Dojo, che non è detto che sia meglio o peggio del nostro... ma sarà sicuramente DIVERSO.

Per la Federazione italiana, questo è il grado MINIMO per insegnare in modo indipendente, se accompagnato dalla qualifica di Allenatore (2º livello); è possibile iniziare quindi ad creare un proprio gruppo... ma consiglierei vivamente ogni nidan di restare legato molto stretto al proprio Sensei di origine, poiché è presto per dedicarsi SOLO all'insegnamento... la propria strada da praticante è ancora molto lunga.

Un numero indicativo di anni di pratica per raggiungere con maturità questo grado ho riscontrato aggirarsi fra i 9 ed i 12 anni.


参段 SANDAN - 3º dan

Questo è il livello nel quale deve cambiare qualcosa di sostanziale; è anche il gradino dal quale era possibile aprire ufficialmente la propria strada da docente, acquisendo la qualifica di [副指導員] "fuku shidoin", ovvero di Istruttore (relativamente inesperto). É così anche per la Federazione, che dal 3º dan in poi può rilasciare (sempre dopo avere seguito corsi ed aver sostenuto esami specifici) la qualifica di Istruttore (3º livello); a questo punto è possibile insegnare contemporaneamente in 2 Società federali, nel caso in cui fosse necessario. É l'ultimo grado nel quale la competenza per l'assegnazione può essere di tipo regionale.

Ma al di là dell'insegnamento, questo dovrebbe essere il livello nel quale la base è solidamente appresa ed il proprio Aikido incomincia a poter divenire quindi più fluido, continuo e rilassato. É possibile, forse addirittura consigliabile, addentrarsi in tutte quelle pratiche non più considerabili "di base", ma che comunque costituiscono una parte importantissima del proprio percorso. La tecnica a questo punto non può che essere uno strumento per studiare e consolidare i principi in essa contenuti.

Un conto è ripetere ciò che è importante per qualcun altro, un po' a pappagallo... un conto è fare ciò che si è compreso essere importante per sé: ecco, il sandan credo che sia il momento di lasciarci dietro il pappagalleggiamento e mostrare che l'Aikido è qualcosa, in qualche misura, di NOSTRO.

Se proprio c'è un momento nel quale vogliamo "testare" la bontà del nostro livello,  il 3º dan è un ottimo momento per andare a metterci in difficoltà, facendo visita a tatami diversi dal propio di origine, confrontarsi con altre Scuole e didattiche, e scoprire se "tutto il mondo è paese"... oppure no.

In media ci vogliono almeno una quindicina di anni di pratica per arrivare qui, nella mia esperienza.


四段 YONDAN - 4º dan

Il 4º dan credo possa essere definito il livello della maestria vera e propria, nel quale un tempo veniva concessa la qualifica di [指導員] "shidoin" (Insegnante) ed ora è possibile acquisire quella di "Maestro" (4º livello).  A questo punto la disciplina dovrebbe forse più divenire un'espressione della propria natura, oltre che ovviamente un valido supporto didattico messo a disposizione di terzi, qualora si scegliesse la via dell'insegnamento.

Secondo la tradizione, lo yondan era anche l'ultimo esame di tipo tecnico previsto dai vari curriculum, segno che ciò che di tecnico c'è da studiare... si da per fatto al raggiungimento di questo livello, ed in Aikido di tecnica ce n'è veramente tanta!

Oggi non è più così, specie qui in Italia, dove le varie organizzazioni hanno previsto esami tecnici anche per i gradi superiori (almeno fino al 5º dan).

Strano sarebbe anche se la disciplina venisse esperita SOLO fra le quattro mura del proprio Dojo: una persona può praticare con umiltà e dedizione, ma ad un certo punto tende ad incarnare lo spirito della disciplina in qualsiasi luogo si trovi.

Diciamo così: a 1º e 2º dan si portano nel Dojo i problemi del quotidiano; a 3º dan si smette di portare la propria immondizia sul tatami... ed a 4º dan si inizia a portare le proprie primizie, maturate grazie alla pratica, negli altri contesti in cui viviamo. Può non essere sempre una dinamica così matematicamente precisa, ma mi pare una buona rappresentazione del fatto che l'Aikido ci sta cambiando in meglio.

Questo potrebbe essere anche il gradino dal quale tutto sembra di facile esecuzione, ma solo per via della storicità della pratica che ci ha condotto fino a qui... fatta dalla somma di tutti i tentativi, gli sbagli, le crisi che si è stati disposti a superare. Potrebbe essere il livello al quale ci si sente, in qualche modo, consacrati alla propria disciplina, per tanto che vi avremo investito in precedenza (a livello di tempo di impegno, ma anche di energie e di risorse personali).

In Federazione non è possibile raggiungere questo traguardo prima del compiere di 27 anni, presumendo di essere già shodan a 16. A 4º dan quindi la tempistica MINIMA è di 14 anni di pratica... ma è sano arrivarci non prima dei 18-19 anni, secondo me. Per la FIJLKAM questo grado (ed i successivi) può essere conferito solo a livello nazionale.

Lo yondan è uno di quei traguardi che ti bruciano se li tagli troppo in fretta, prima di quando non si abbiano sviluppato le capacità di reggerne la responsabilità... verso se stessi in primis, oltre che verso il prossimo (sia esso anche un semplice compagno di pratica, se non un allievo).

Dal 3º dan in su, infatti, vi è un nuovo pericoloso mostro da affrontare: il propio EGO. Se infatti allo shodan ed al nidan ci si rendeva bene conto di essere Aiki-pippe, quando si sale di grado rispetto alla media, ci si può iniziare a convincere di essere i nipoti segreti di O' Sensei, e quindi si inizia a guardare il prossimo (Aikidoka) con aria di sufficienza, col mood: "Povera creatura, forse un giorno, impegnandoti ancora tantissimo... capirai!".


五段 GODAN - 5º dan

Tradizionalmente questo traguardo poteva venire raggiunto (ed è ancora così in diverse organizzazioni internazionali) solo [推薦状] "suisenjo", ovvero tramite una lettera di raccomandazione.

Ancora oggi l'Aikikai Honbu Dojo conferisce i gradi dal 5º dan in poi solo durante il Kagami Biraki di inizio anno (solitamente il secondo week end di gennaio), e li stampa in un formato cartaceo differente dai precedenti... più ampio e ripiegato su se stesso (mentre i precedenti erano arrotolabili); questa particolarità deriva dal fatto che dal godan in poi il grado non dovrebbe più essere messo in mostra, ma custodito nella confezione nella quale lo si è ricevuto, che porta sopra il [紋] "mon", ossia lo stemma di famiglia in ceralacca.

Il solo stemma dovrebbe di fungere da "garanzia" di qualità del diploma contenuto all'interno della confezione; noi qui siamo un po' diversi ed amiamo ostentare tutto... quindi esponiamo pure i gradi superiori, ma vi avverto che non sarà banale trovare una cornice dalle dimensioni adatte.

La "raccomandazione" che è necessario ricevere dovrebbe testimoniare l'impegno costante che ciascuno compie nella divulgazione della disciplina (ecco perché all'inizio dicevo che un tempo veniva sott'inteso che i dan di rango superiore fossero anche sempre degli Insegnanti; ora ci sono specifici esami tecnici che permettono il raggiungimento di questo grado anche se non si vuole insegnare). Ciò presuppone l'essere notati da gradi ancora più alti e venire "segnalati" all'Ente che emette i gradi: qualcosa di molto tradizionale, ma ben poco comune, controllabile o fattibile ad ogni latitudine del pianeta (infatti ogni anno si vedono cose improbe all'Aikikai, che ancora adotta questa metodologia, chi vuole saperne di più, legga QUI).

Di solito questo è il grado minimo per iniziare ad operare all'interno di un Ente Aikidoistico ricomprendo incarichi di interesse nazionale (in Federazione ora stiamo facendo così), in questo caso quindi è ovvio che il proprio impegno riguardi anche l'interessi di terzi e non solo il proprio.

Io pratico ininterrottamente dal 1992 e, nel mio caso il 5º dan FIJLKAM mi è stato conferito nel 2017, mentre quello Aikikai nel 2019... quindi (in media) dopo 26 anni di Aikido. In giro però si vede un po' di tutto... ci sono persone che hanno lo stesso mio grado, ma possiedono un centesimo della mia esperienza, e quello fuori scala non mi pare proprio di essere io!

Proprio per questa ragione, in generale credo che sia meglio ricevere un grado attendendo più del dovuto, piuttosto che riceverlo prima di quanto non sia congruente con ciò che si è.

Ma parlando più strettamente di Aikido, il godan per me è stato il grado al quale sono avvenute le cose più interessanti, poiché ho incominciato a darmi il permesso e l'opportunità di SPERIMENTARE alcune intuizioni, senza che ci fosse necessariamente un Sensei più titolato di me a tenermi per la manina. Mi pare il livello della completa assunzione di responsabilità rispetto alla propria pratica, nel quale devono cessare le forme di deroga a terzi della propria preparazione; attenzione, ciò non significa che bisogna smettere di avere un proprio Sensei di riferimento (io ce l'ho, e sono contentissimo di continuare ad avercelo pure il futuro)... sto dicendo che è possibile scegliere autonomamente che direzione far prendere alla propria pratica (e pure a quella altrui, nel caso fossimo anche dei Docenti).

Col senno di poi, se iniziassi la pratica oggi, NON andrei più da un Sensei con meno esperienza di quanto dovrebbe averne un godan (indipendentemente da quale certificato abbia appeso al suo muro), solo che queste sono cose che all'inizio nessuno di noi si immagina... e va benone anche così.

Non affermo questo perché ritenga che i gradi inferiori non abbiano nulla di interessante da offrire, anzi... ma solo perché mi consentirebbe di crescere molto più rapidamente di quanto poi in realtà sia avvenuto iniziando la pratica sotto la guida di una brava persona veramente, ma che aveva preso lo shodan da 3 mesi (e portava con sé anche tutte quelle ombre che lui stesso nemmeno si immaginava di possedere).

Trent'anni fa le cose non erano come lo sono adesso: pure io ho iniziato ad insegnare pochi mesi dopo avere ricevuto il nidan... e mi sono trovato "buttato li", alla direzione di un piccolo gruppo, senza ben sapere né dove volessi andare... ma nemmeno dove si potesse andare!

Ora solo mi rendo conto di quanto ho fatto pagare ai miei allievi di allora la mia notevole impreparazione e le mie considerevoli lacune di consapevolezza, nonostante vi assicuro che tentassi di dare il meglio di me ad ogni lezione.


In conclusione...

Mentre è molto complicato definire una persona (e definirsi) con un semplice numero, questa operazione invece ha senso nel momento nel quale diamo valore a chi questo grado ce lo attribuisce.

Quindi ciascuno scelga la persona o l'Ente certificatore che meglio lo specchia; nel Post ho sempre specificato cosa fa la Federazione, perché girando l'Italia vedo cose diversissime fra i praticanti ed insegnanti provenienti dai vari Enti di Promozione Sportiva o Scuole private. I prerequisiti a questo o quel grado dan sono tremendamente differenti, quando non addirittura contrastanti fra loro.

Per gli amanti del Giappone e della sua tradizione è bene sapere che i kanji utilizzati per shodan [初], nidan [弐] e sandan [参], sono differenti da quelli che si usano di solito per i relativi numeri ichi [一], ni [二] e san [三]... e questo per evitare facili falsificazioni sui certificati.

Dal 6º dan in poi non vi dico nulla, perché non è ancora nelle mie competenze farlo: magari un giorno ci arriverò pure io (appartenendo ad una Organizzazione nazionale ad una internazionale fra loro indipendenti, ogni sforzo è sempre doppio e di tempi tendono ad allungarsi in modo notevole)... ma ciò che già ora vi so dire è che non ho per nulla fretta... che credo che certe cose debbano avvenire naturalmente, oppure è meglio che non avvengano proprio...

.. e che se ci sono 6º dan di un Ente che faticherebbero ad arrivare al 3º in un altro (e viceversa) sono problemi degli altri: io vi ho dato una mia visione dei gradi, perché c'è modo e modo di fare DANni e di essere DANnato... e vista la maledizione dell'Aikido che mi ha colpito ormai 32 anni fa, per me ho scelto quella che ritengo la migliore.


Marco Rubatto