Di colpo ci rendiamo conto che quell'atmosfera magari opprimente, quella situazione difficile era solo parte del mondo onirico... e che la realtà è fortunatamente diversa, anche molto migliore di esso.
Ecco, credo che questa sia anche la sensazione che ebbe O' Sensei e un certo numero di praticanti odierni quando si ha il CORAGGIO di svegliarsi da ciò che io definisco "incubo marziale"...
Ma in che cosa consisterebbe questo "incubo marziale"?!
Mi riferisco alla deriva che prende chi utilizza l'Aikido SOLAMENTE per la sua chiara e tracciabilissima provenienza marziale, e che ad onore può fare contemplare la disciplina fra le forme di Budo più evolute del Giappone.Tutte caratteristiche ottime, s'intende... purtroppo però INSUFFICIENTI da sole per caratterizzare l'enorme valore aggiunto che l'Aikido può rappresentare nelle vite di ciascuno di noi.
E perché affermo questo?
Forse che atterrare con efficacia un avversario, senza lederlo, non possieda già da sé un valore aggiunto piuttosto considerevole?
Credo che lo abbia, infatti, ma solo che risulti ancora ben poca cosa rispetto alla portata dell'Aikido!Essendo cresciuto nell'Iwama Ryu, ero abituato a considerare buona la tecnica che fosse in grado di sbilanciare ed atterrare anche un avversario parecchio oppositivo e fisicamente più forse di me.
Diciamo che per anni il mio mantra è stato proprio quello di ottenere quella "invincibilità marziale" che era un po' il mito di noi tutti... magistralmente rappresentata da Morihei Ueshiba e dalla sua straordinaria capacità di risolvere gli scontri fisici più impari a suo favore.
Stavo semplicemente tralasciando di considerare il punto più importante, ovvero ciò che avviene PRIMA che l'avversario cada a terra... ovvero il processo interiore che O' Sensei fece a suo tempo in se stesso: qualcosa al contempo di molto più stealth e molto più importante dei suoi uke che cadevano al suolo come birilli.
Immaginiamo che l'Aikido sia infatti una sorta di black box, nel quale c'è un entrata ed un'uscita: cosa sarebbe più interessante comprendere e conoscere... cosa c'è all'interno o cosa ne esce?
Per anni sono stato abituato a studiare solo il risultato finale di un processo che non è invece per nulla scontato e che - per giunta - è in grado di far completamente fraintendere quale sia il punto più importante da tenere sott'occhio.
Per "fortuna" però ora credo di averlo colto: il goal dell'Aikido è cosa accade IN ME quando sono attaccato da uno o più avversari, non importa come...Il "processo Ueshiba" è ciò che differenzia l'Aikido dal Ju Jutsu, ovvero che non relega il primo ad una lotta tecnica fra tori ed uke, nel quale ci si augura che sia il primo ad avere la meglio sul secondo, grazie ad un buon allenamento fatto in precedenza.
Sicuramente c'è il conflitto, ma NON c'è un tori che si difende da un uke... perché se invece così fosse ci sarebbe ancora una dualità fra attaccante e difensore: la cosa complicata, ma essenziale in Aikido, è la capacità di superare queste forme di dualità, integrando gli opposti e fornendo un risultato finale frutto di questo processo... più che di una tecnica micidiale ripetuta ed affinata milioni e milioni di volte.
E la difficoltà sapete qual è?Quella di doversi "fondere" con l'altro... che però non è un altro a caso, ma è un altro pericoloso, puzzolente, indesiderato... è un "altro" che vuole ferirti, se non addirittura prenderti la vita.
É l'"altro" che eviteresti più di qualsiasi altro, mi spiace per il gioco di parole.
É complicato NON lottare con chi vuole prenderti la vita, ma al contempo non rimanere passivi per evitare di farlo. L'Aikido non sembra affatto l'arte di "porgere l'altra guancia" per mieloso perbenismo filo cattolico, ma richiede anche di non opporre risistenza per far valere le proprie posizioni irrinunciabili.
Capite di che oggetto strano si tratti?
Se non fai niente sei passivo, se fai troppo risulti aggressivo e comunque sempre inadeguato alla situazione mutevole: quindi è necessario trovare DENTRO DI SÉ una forma di equilibrio alchemico fra queste due polarità complementari, almeno quanto fra loro divergenti.Risulta un'operazione di alchimia interiore: l'altro - l'attaccante - non centra un tubo, se non l'essere stato il trigger, la miccia che innesca questo scacco matto che ciascuno deve cercare di fare a se stesso.
É un processo personale che - se fatto, una volta fatto - in qualche modo coinvolge anche la controparte (l'attaccante)... poiché il tentativo di tori di superare la dualità fuori (quella fra lui ed uke), conduce l'attaccante ad un'operazione simile con se stesso e dentro se stesso.
L'aver superato la dualità in se stesso conduce QUINDI eventualmente uke al suolo senza utilizzare alcuna violenza o coercizione su quest'ultimo... ma questo è ciò che esce dal black box, non è il processo che ha reso possibile questo risultato notevole!
Questo è risultato per me una sorta di "risveglio dall'incubo marziale" perché ha demarcato una linea precisa fra ciò che io potevo fare sugli altri grazie al lavoro che avevo fatto su me stesso (Aikido tradizionale)... ed il lavoro che potevo fare su me stesso grazie a ciò che gli altri facevano a me ("processo Ueshiba"): ed ho compreso che la seconda parte di questa equazione è in effetti quella che mi fa venire la prima, e non viceversa.Mi sono cioè accorto che ero affogato io stesso nel buonismo mieloso, ovvero in quella condizione nella quale cercavo di "catechizzare" il prossimo vomitandogli addosso quelli che ritenevo essere validissimi principi da condividere (la non violenza, il rispetto, la compassione, la decisione, il coraggio, etc).
Non mi sbagliavo sulla bontà dei principi da condividere, SOLO non mi ero accorto di tenerci tanto a condividerli PER NON dover fare il processo interiore di superare ed integrare le molteplici forme di dualità che mi albergavano dentro (e che non hanno ancora del tutto smesso di farlo).Ed il punto più complicato e doloroso di questo processo interiore è stato quello di comprendere che non c'è un tubo da "trascendere"... come ancora spesso vedo scritto in alcuni libri o sento pontificare da alcuni maestroni (dalla "m" appositamente microscopica): è il contrario, bisogna avere il coraggio di danzare con il tuo demone, di abbracciare la tua stessa merda... se mi si concede un francesismo.
E non è per nulla piacevole, né facile da fare... per quello che faremmo qualsiasi altra cosa AL POSTO di fare questo processo profondo, intimo e delicato... persino credere che siamo i detentori di qualche forma di verità superiore e che un impegno nobile sia quello di farla conoscere al resto del mondo.
Una catechesi ("insegnamento a viva voce") che ha il perfido scopo di non farci sentire mai la voce sussurrante degli innumerevoli contrasti che abbiamo dentro, capire l'auto-manipolazione che siamo in grado di operare su noi stessi?
Ecco, se riesco in questa catarsi personale ho già ottenuto un ottimo risultato... per il quale mi viene proprio da ringraziare quell'avversario che lo ha innescato mettendomi faccia a faccia con me stesso, ancora prima che con lui.Poi, siccome l'Universo è intelligente e ciò che avviene dentro è simile a ciò che avviene fuori (non mi dilungo qui per spiegare il motivo di ciò, ma è possibilissimo farlo)... allora facilmente la mia introspezione indurrà forse anche uke a fare altrettanto: egli era venuto per combattere me, ma non trovando in me un avversario, sarà spinto a trovarlo in se stesso... e franerà al suolo con un eccesso di ricettività per bilanciare l'eccesso di aggressività che aveva avuto durante l'attacco.
Io non voglio combattere con lui, ma accetto di combattere dentro me stesso, uke non trova all'esterno avversari quindi si auto-sconfigge attraverso di me, esattamente come io mi sono auto-affrontato attraverso di lui. E palla al centro: il sistema è nuovamente in equilibrio... anzi, in realtà non ci è mai veramente uscito.Un processo esteriore per due individui (un attacco) si commuta in due processi interiori individuali (differenti fra loro), quello che prima avevamo chiamato la "black box", per poi ri-sfociare nell'oggettivo con un risultato finale (tori in piedi, uke a terra)... ma non grazie a cosa diavolo tori ha fatto ad uke, quanto specchio di cosa ciascuno dei due ha compiuto in se stesso.
Certo che qui l'efficacia marziale sembra entrare a gamba tesa sopra qualsiasi altro fattore, ma è un fraintendimento del processo che è avvenuto: è come dire che fare l'amore serve per bruciare calorie. Chi dice che non se ne brucino, ma non ridurrei il tutto ad una mera occasione di fitness!
Ecco, affermare che "l'Aikido serve ad atterrare un avversario senza utilizzare aggressività" è come dire che "facciamo l'amore con lo scopo di fare dimagrire il nostro partner". Mi pare un po parziale come prospettiva... anche se come attività potesse essere preferibile da molti alla cyclette.
Tuttavia mi rendo anche conto che queste sono solo parole scritte in un Blog, e che qui la differenza la si riesce a comprendere di gran lunga molto meglio su un tatami, specie se il proprio Sensei ha avuto - a sua volta - questo risveglio dall'incubo... e quindi può mostrarne i benefici anche a chi fosse ancora nel bel mezzo del proprio sonno rem.Marco Rubatto
1 commento:
Volevo solo fare una precisazione sul "mieloso perbenismo filocattolico": il "porgere l'altra guancia" non è da intendere come una passiva accettazione di tutto ma come una rinuncia alla legge del taglione, a quell'occhio per occhio così naturale e così istintivo in tutti noi.
Perché per è Cristo stesso che si fa "prestatore di ultima istanza" e si "mette in mezzo" tra l'aggressore e l'aggredito quando questi anela a quella che sembra essere la sua legittima vendetta. Esattamente come un padre che si frappone nella lotta all'ultima sangue tra i suoi figli spinto dal proprio amore per entrambi fino a dover soccombere lui pur di salvarli entrambi.
E allora questo aspetto c'è sicuramente nell'Aikido: io sono aggredito, colpito e offeso e avrei diritto a reagire con un jutsu che spero micidiale. Ma la violenza genera solo violenza, sofferenza e morte ed ecco che l'Aikido neutralizza l'avversario facendogli assumere la consapevolezza che il suo attacco è stato inutile, uno spreco, una fonte di soli rimpianti.
E se una volta si diceva che in uno scontro tra samurai uno sarebbe rimasto ucciso e l'altro ferito a morte, ora lo scontro vede due persone che forse non saranno amiche ma che si rispetteranno consci del valore reciproco: "perché le colonne del tempio si ergono a distanza" (G.K. Gibran).
Le tecniche allora sarà come avere a disposizione armi nucleari: c'è differenza se usate come deterrente o utilizzate in campo con tutto il corollario di morte.
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