lunedì 20 febbraio 2023

Aikido i principianti e le cadute: un inizio col tonfo!

Una delle caratteristiche meno banali e più specifiche dell'approccio all'Aikido da parte di un profano... è che ci sono le "cadute", da imparare a fare, da far fare... e che di solito incutono un tot di paure ai principianti.

Più volte mi è accaduto che qualcuno si presentasse in Dojo e mi chiedesse se fosse possibile iscriversi al corso di Aikido MA NON fare le cadute, giusto per comprendere come questo argomento possa essere percepito in modo ostico.

In realtà, non solo sappiamo quanto sia fondamentale approcciarvisi in modo semplice, sicuro ed adeguato alla persona che entra dalla porta... ma si tratta di una pratica crucciale, sia per bambini, che per gli adulti.

Abbiamo preparato alcuni brevi tutorial sulle principali e più semplici cadute che sono inserite nei primi curriculum tecnici del nostro Dojo, e ve le proponiamo di seguito, fra un testo e l'altro.


Caduta in avanti: mae ukemi o zenpo kaiten ukemi


Le cadute sono percepite come qualcosa di "critico" per una buona manciata di ragioni, del tutto comprensibili se ci mettiamo nell'ottica di chi non le ha mai fatte.

Sono una pratica "destrutturante", ovvero ci fanno esperire una modalità di utilizzare il corpo pressoché sconosciuta, nella quale le informazioni con l'ambiente esterno arrivano per cinestesia e non attraverso vista ed udito: già solo questo può risultare parecchio scioccante.

Per capirci, è come se - dopo essere stati bendati - un cieco ci prendesse la mano e ci chiedesse di leggere i numeri scritti in linguaggio Braille (sistema di lettura e scrittura tattile a rilievo) sui tasti di un ascensore, e ci chiedesse: "Adesso portami al 4º piano"...

Sarebbe già un grande risultato beccare la tastiera sulla parete e sentire il rilievo dei vari pulsanti... ma da li alla capacità di leggere i puntini su ciascuno di essi... c'è un abisso!!!

Lui sarebbe capacissimo di leggere i numeri sulla pulsantiera toccandoli, perché ha studiato l'alfabeto tattile e si è esercitato... per noi invece sarebbe un casino e basta.


Caduta in avanti incrociatamae juji ukemi


I punti del corpo che utilizziamo in una caduta NON sono quelli che di solito usiamo di più, come le mani: vengono coinvolte le gambe (messe in modo spesso inedito), la schiena (abituata solo ad appoggiarsi agli schienali delle sedie o al letto), le braccia - dalle spalle alle dita -, bisogna imparare come non far toccare a terra la testa (luogo percepito come delicato e che non deve prendere sollecitazioni forti)... le cervicali, che sono il punto di somatizzazione dello stress di 8 adulti su 10, etc.

Il nostro corpo è interamente ricoperto da una rete di sensori tattili, ma è più che naturale trovarsi in un impasse se dovessimo utilizzarli per la prima volta: non esistono ancora le piste neurali che li collegano con il cervello... o meglio, ci sono già, ma non sono per nulla rodate.

Vanno manutenute, ampliate, corroborate, rese funzionali; questo richiede tempo ed esercizio, come accade ogni prima volta che facciamo un movimento nuovo, prima di "sentirlo nostro"... all'inizio del percorso in Aikido però questo "tempo" non è ancora trascorso, quindi si teme ciò che non si conosce e non si ha nemmeno la capacità di percepire e valutare più di tanto.


Caduta in avanti lateralemae yoko ukemi



C'è la "paura di farsi male", che è una diretta conseguenza dell'inconsapevolezza del gesto che ci viene chiesto di compiere: nella credenza comune, "cadere "è un sinonimo di grande possibilità di ferirsi, farsi male seriamente, rimanere un tot di tempo immobili a letto... nei casi peggiori andare in ospedale con qualche osso rotto, e nei casi limite rimanere invalidi a vita, o morire.

Fino da piccoli ci viene chiesto di fare attenzione a non cadere, perché è PERICOLOSO... e con gli anni questa associazione mentale si va a depositare in profondità nell'inconscio, quindi - quando poi ci viene chiesto di cadere per la prima volta - abbiamo parecchie di resistenze interne da vincere, prima di riuscire a farlo da rilassati e tranquilli.

Al principiante viene quindi chiesto parzialmente di "riscrivere" una sua prima mappa del territorio, nella quale "cadere" non è per forza sinonimo di "pericolo/danno/mutua/infermità"

Pensiamo ad un padre o ad una madre di famiglia che non può permettersi di restare a casa dal lavoro: quanto si sentirebbe in colpa se "solo per aver provato quella arte marziale li con il gonnellone... ora non potesse lavorare per un mese e mezzo, perché si è fatta male nelle capriole?"

Dobbiamo renderci conto che chiediamo una cosa più che legittima a cimentarsi con le cadute. ma non chiediamo poco, dalla prospettiva di un neofita!


Caduta in avanti con attitudine all'indietromae ukemi, ushiro kimochi



C'è poi un tema che abbiamo già trattato molte volte, che non è direttamente collegato a motivazioni muscolo-scheletriche o di tipo pratico... ma che riguarda un ambito ESCLUSIVAMENTE psicologico.

Siamo una società che rimanda l'importanza di essere "equilibrati" e quanto sia sconveniente e segno di debolezza, se non addirittura di sconfitta perdere questo equilibrio.

"Cadere" ora è associato a "perdere" qualcosa, quindi non si può vedere di buon occhio la disciplina che ci chiede di "imparare a perdere" anziché "imparare a vincere". É nuovamente una questione di capacità di modificare la propria mappa del territorio, come si direbbe nella PNL.

A cosa servirebbe mai imparare ad accettare la sconfitta, accettare di diventare degli "squilibrati"... quando noi volevamo diventare più forti ed imbattibili andando a frequentare un corso di arti marziali?

Sembra un evidente contro senso, e lo faccio apposta a calarmi nell'ottica di chi sul tatami non ci è ancora mai salito.

Vedo film nei quali l'eroe di turno conosce 1000 mosse fighissime, in grado di vincere su ogni avversità, fa salti sui muri che manco Matrix, non ha paura di nulla e vince contro tutto e tutti: mi immagino che andando a fare un corso "di quelle robe li", prima o poi anche io riuscirò ad emulare le sue gesta.

Da addetti ai lavori, forse, si direbbe che la gente ha la testa piena di spazzatura, insomma... il problema è che ancora non lo sa, e tocca al Sensei di periferia spiegarglielo, con esercizi semplici e sicuri, che mettano un neofita nelle condizioni di sentire quanto la sua mente sia riuscita - negli anni - a disallinearsi dal suo corpo.

La caduta offre un prezioso momento di "bootstrap", ovvero di "riavvio/ripristino del sistema mente-corpo" in una condizione molto prossima alle condizioni di origine, le famose "impostazioni di fabbrica", ovvero quando queste componenti fra loro funzionavano parecchio bene in armonia. Qualcosa di molto salutare ed auspicabile, quindi!


Caduta all'indietro: ushiro ukemi



Da ciò che ci siamo detti fino ad ora, possiamo quindi comprendere da un lato la necessità introdurre fin da subito il concetto di "presa di confidenza con il tatami" non solo camminandoci sopra... ma dall'altro anche le grosse tematiche e problematiche che affronta internamente un non-addetto-ai-lavori quando si sente dire che deve imparare a cadere, se vuole frequentare un corso di Aikido.

Questo risulta un passaggio STRETTO che avviene proprio all'inizio della pratica e che quindi determina una sorta di filtro naturale fra coloro che sono disposti ad affrontarlo, rispetto a coloro che ne vengono rimbalzati.

Un passaggio obbligato che è destinato a dare indubbiamente copiosi frutti nel momento in cui gli si da fiducia e credito... ma che allontana anche allo stesso tempo, che mette una importante barriera fra l'idea romantica di iniziare un percorso alla famosa "call to action" di farlo poi sul serio.

Gli Insegnanti questo lo devono sapere bene, e studiare le strategie migliori per accogliere le difficoltà di chi si approccia alla disciplina: esistono oggi didattiche molto specifiche e mirate all'apprendimento delle cadute, quindi è dovere dei docenti conoscerle e formarsi al meglio in esse.

Quando ho iniziato io, la didattica era essere presi per le spalle dal Sensei ed essere lanciati a terra un po' a casaccio... tanto che alla seconda o terza lezione, ora non ricordo, mi venne strappato il karategi che allora indossavo durante un lancio, non propriamente "didattico".

Ora non siamo più li, a dimostrazione che molte cose negli anni si evolvono e migliorano senza dubbio: abbiamo però noi oggi a che fare con persone (adulti, adolescenti e bambini) che hanno molti più problemi di connessione fra la loro mente ed il loro corpo, che sono molto meno abituate all'utilizzo consapevole di quest'ultimo... e che molto spesso risultano prigionieri delle loro stesse paure.

Nuovamente, anche di ciò bisogna essere consapevoli, altrimenti rischiamo che l'entusiasmante avventura di esplorazione dell'Aikido per alcuni termini un secondo dopo essere iniziata... con un tonfo dal rumore sordo.


Marco Rubatto








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