lunedì 7 giugno 2021

Sensei, il guardiano del tempio

Chi è un Sensei?

Per quanto possa sembrarci strano, la traduzione in "Maestro" non è forse la più azzeccata, anche se la più frequente dalle nostre parti.

O meglio... non se lo intendiamo con l'etimo "magister", derivato da "magis" ("più"), col significato di ‘superiore’. Alle elementari abbiamo il Maestro o la Maestra che, in realtà "ammaestrano" sempre più spesso gli alunni... ovvero danno loro delle nozioni nelle varie materie di base.

Il Sensei non è qualcuno che si limita a dare delle nozioni di base di Aikido...

Se volessimo invece storpiare l'etimo in "colui che mostra", ovvero "fa vedere"... forse saremmo più vicini al significato più autentico del termine giapponese.

Egli "fa vedere", tecniche, esercizi, pratiche di vario tipo... ma questi sono stratagemmi ed occasioni per mostrare sé ed il lavoro che ha compiuto su se stesso.

Si, perché la traduzione letterale dei due kanji 先生 è "nato/giunto prima"... ed essendo arrivato prima degli altri, è da più tempo sulla Via, quindi ha avuto modo di sperimentarne più a lungo le caratteristiche, le difficoltà, e le opportunità di crescita che essa offre.

Ne segue che un Sensei NON può essere unicamente un distributore automatico di tecnica, per quanto essa risulti elaborata e sopraffina: fra qualche anno potremo avere automi della Boston Robotics in grado di muoversi e mostrare esattamente cosa un corpo umano è in grado di performare, con una memoria tecnica praticamente infinita, beh... ma non avremo per questo di certo più Sensei al mondo!

In realtà, chiunque insegna mostra al prossimo un po' di se stesso, in una sorta di "esempio vivente" di cosa si può fare se ci si ingaggia con costanza ed impegno in un campo specifico. Mostra sia i suoi traguardi notevoli, che le sue prospettive, che i suoi limiti.

Già solo questo ci consente di considerare inappropriata l'adorazione pseudo fanatica di questo o quel Sensei. Sono tutti uomini, che hanno dato del proprio meglio per sviluppare "maestria", molte volte riuscendoci, altre un po' meno.

In Aikido c'è un po' l'abitudine adulatoria di questo o quel personaggio, specie del passato. Ecco erano tutti uomini come noi: se vogliamo onorare la loro memoria, cerchiamo di fare la nostra parte al meglio delle nostre possibilità, esattamente come hanno provato a fare loro!

Poi c'è un altro aspetto che è bene sottolineare: in occidente, luogo nel quale siamo abituati ad analisi di tipo logico, siamo indotti a scindere due differenti propensioni, ovvero quella dell'Insegnante e quella dell'Educatore.

L'Insegnante "insegna", ovvero lascia il segno, da fuori cioè cerca di introdurre alcune nozioni nei suoi discenti... mentre l'Educatore "educa/educe", cioè si impegna a far emergere le qualità specifiche di chi ha dinnanzi, anziché tentare di fargli assumere le caratteristiche proprie.

L'uno fa un lavoro dall'esterno dell'alunno verso il suo interno, l'altro fa un lavoro dall'interno di questi diretto alla presa di consapevolezza di ciò che gli è peculiare.

Nella tradizione orientale questa divisione non emerge così nettamente: "dentro" e "fuori" sono considerati semplicemente specchi l'uno dell'altro, facce distinte di una stessa medaglia, quindi è comunemente accettato che ogni nozione insegnata abbia un impatto sulla personalità peculiare dell'allievo, così come ci sia un valore intrinseco nell'agevolare che ciascuno faccia emergere la sua natura e caratteristiche più autentiche.

Quindi il Sensei è sia un Insegnante, che un Educatore... contemporaneamente.

Volete vedere chi è un buon Sensei e chi millanta solo di esserlo?

Notate chi - fra i grandi nomi della storia - ha creato varietà espressiva nei suoi allievi e chi ha creato solo suoi cloni, ovvero gente che si muove e pensa come "il gran boss" e per tutta la vita sente di avere continuo bisogno delle dritte di quest'ultimo per migliorare ancora di un'anticchia (direbbero in Giappone).

O' Sensei, in questo senso, fu davvero un grande Sensei... e non solo per la traduzione del suo nome: ha insegnato cose diverse a persone differenti ed ha lasciato che ciascuno investisse sulla sua natura peculiare, creando la "propria corrente" della disciplina.

Era un educatore, ed in tal senso non aveva alcun bisogno di tenere sotto controllo e manipolare le espressioni personali dei suoi allievi, anche quando queste risultavano differenti dalla propria.

Altri super guru del passato, ma anche moderni, sembrano più interessati a creare "stampini" di se stessi, segno che all'Insegnante ci sono arrivati, all'Educatore un po' meno.

Altro punto importante: un Sensei conosce il proprio valore, ragione per la quale non ha alcun bisogno di imporre che gli venga portato rispetto per esso; ci sarà chi gli riconoscerà valore, ed allora verrà portato spontaneamente a rispettarlo, chi non lo comprenderà, lo sottovaluterà e cambierà strada.

Quando quest'ultima cosa accade, ci si guadagna tempo in 2: l'allievo perché non crede di poter apprendere nulla da chi non sente competente/affine/meritevole, ed il Sensei perché non sprecherà il suo tempo con chi ha già deciso di essere docile ai propri insegnamenti.

Un Sensei non impone, ma PROPONE se stesso... ovvero si mette davanti, in prima linea, per mostrare a chi lo segue come camminare sul Do.

In questo senso forse potremmo affermare che il ruolo principale del Sensei è essere una sorta di "guardiano del tempio"... non in senso necessariamente religioso, quanto attento alla congruenza con ciò che ritiene "sacro".

E cosa è sacro per un Aikidoka?

Il proprio corpo, la propria mente ed il proprio spirito in primis: il Sensei veglia che questi 3 domini differenti di se stesso siano in una buona relazione ed allineamento reciproco.

Veglia sulla SUA congruenza fra dentro e fuori, fra ciò che di sé è materiale e cosa non lo è: può fare solo quello... e non ha il potere, né l'aspettativa o il delirio di onnipotenza di insegnare al prossimo come fare altrettanto.

Gli altri proveranno a comprendere il suo lavoro alchemico frequentandolo... ciascuno con la sua capacità e limite nel farlo.

Questo rende evidente la ragione per la quale avere un buon Sensei NON è assolutamente una garanzia di arrivare a risultati notevoli con la disciplina e con se stessi. LUI è/è stato un figo nei confronti di se stesso, ma noi sappiamo/abbiamo saputo fare altrettanto?... non è per nulla detto!

O' Sensei crediamo che abbia anche avuto allievi veramente pessimi, cosa che non squalifica lui e non dovrebbe consentire di adulare per forza loro.

Il Sensei veglia sul Dojo, perché questo è il luogo nel quale egli compie l'alchimia su se stesso, insieme a coloro che hanno scelto di condividere questo spazio e questo tempo. Gli allievi faranno altrettanto?

Forse il Sensei se lo augura, forse ha smesso di perdere tempo nel cercare di cambiare il prossimo, poiché è completamente concentrato ed immerso nel provare a far cambiare ed evolvere se stesso.

Questa è forse la ragione per la quale gli insegnamenti che si possono avere da un Sensei sono anche funzione del periodo nel quale lo si frequenta: anni prima o anni dopo possono essere molto differenti, poiché ciò che sta cercando di sviluppare per sé potrebbe (dovrebbe?) essere molto differente.

Di solito negli anni della giovinezza un Sensei tende ad essere più fisico e manifesto nelle proprie azioni, quindi vira verso una ricerca più interna e sottile: chi pensa quindi di andare ad apprendere da un Maestro non appena avrà modo di farlo, non ha compreso che potrebbe essere destinato ad incontrare una persona molto differente da quella che aveva scorto tempo prima.

Delusione? NO, conferma che non è possibile attendere per fare certe cose o farsi attendere da chi le ha già fatte: o si salta sul treno alimento opportuno, o quel treno va perso e basta.

Se incontri un Sensei che 30 anni dopo sembra non essere cambiato di una virgola, hai la più lampante dimostrazione che non hai incontrato sul serio un Sensei!

Il Sensei è anche il guardiano della visione che ispira se stesso, e sicuramente anche alcuni dei suoi allievi. Diciamo questo perché spesso in passato c'è stata la tendenza/tentazione di creare dei Dojo "Sensei-centrici", che però si sono rivelati un buco nell'acqua alla lunga.

La pratica non può e forse non deve ruotare tutta intorno al Sensei, poiché ciascuno è responsabile della propria anche quando questi non c'è. Ne segue quindi che si sceglie insieme una direzione di lavoro e poi ciascuno ci lavora sopra e condivide traguardi e difficoltà con gli altri.

Il Sensei è il custode che ciò avvenga, non che gli altri presenti camminino sul suo Do: quello è il suo e solo il suo. Egli si rende il facilitatore che ciascuno trovi il proprio e lo approfondisca, grazie alle attività che si svolgono insieme.

Il tempio, in un certo senso, siamo noi... sono i nostri pensieri, le nostre azioni: il Sensei è li a ricordarsi di non dimenticarlo e a fare di tutto ciò un'azione integrata, più armonica possibile. E fa da esempio vivente/specchio al prossimo di questo importantissimo processo.

Il Sensei non insegna solo quando "fa", ma sopratutto in qualità di chi/cosa "è".

Poi questa cosa è faticosa, ma è una delle uniche occupazioni nelle quali vale la pena ingaggiarsi fino in fondo... almeno, questo è quanto al momento ci è parso di comprendere.






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