lunedì 2 dicembre 2019

Aikido: come apprendere giocando a mettersi in difficoltà

Abbiamo già scritto molto sui processi di apprendimento, ma quest'oggi vogliamo esaminare questo tema da un nuovo ed ulteriore punto di vista.

È fondamentale affinare una tecnica per farla nostra, cosi come sapete come la pensiamo quando si esagera troppo nel farlo: ci costruiamo una rassicurante gabbia, all'interno della quale poter giudicare chi (al suo esterno) non ci sembra "bravo" come noi!

Qui l'affinamento può continuare all'infinito, ma il processo di apprendimento si arresta quando iniziamo a ribadire solo più l'ovvio... ed a percorrere SOLO più i percorsi già ben battuti (da noi stessi e/o dagli altri).

La tendenza a rendere l'Aikido iper-tecnico, porta al desiderio di liberarsi - almeno temporaneamente - di questa benedetta TECNICA, e fare altro... per esempio esercizi di connessione, di sensibilizzazione: qualcosa che non sia solo importante per il "COSA" fai... ma anche e soprattutto per il "COME" ed il "PERCHÉ" lo fai.

Ciò risulta particolarmente utile a fare un po' di varietà nelle proprie proposte didattiche... ma la TECNICA, risulta sempre e comunque polare alla NON-TECNICA!

Abbiamo quindi pensato di metterci in difficoltà, ma passando oggi per un'altra strada, ovvero fare qualcosa che conosciamo abbastanza bene, in modo del tutto nuovo ed inedito: non contrapporremo quindi la NON-TECNICA alla TECNICA, ma piuttosto rimarremo nell'ambito completamente tecnico... ma dando ad esso una veste inusuale, inedita e non tradizionale.

Per fare questo ci siamo avvalsi dei kumi jo, basati sul buki waza della tradizione di Iwama, che è quella che utilizziamo in Dojo con regolarità.

Si suppone che ogni yudansha (cinture nere) da noi abbia una certa familiarità con questi 10 esercizi: in realtà dovrebbe avercela pure abbastanza buona, visto che sono da noi programma d'esame per il 1º kyu!

l'ha già praticata molte volte, tanto da sentirsi abbastanza a proprio agio, almeno con le forme di base.
Comunque, gente più o meno capace... sta roba

Durante l'ultimo Senpai Special Class (riservato a yudansha e 1º kyu) abbiamo preso i primi TRE kumi jo e li abbiamo praticati da prima nella loro forma di base: niente variazioni, niente cose strane... una pratica che potesse risultare abbastanza semplice a ciascuno dei presenti... in modo che ciascuno potesse affermare: "Ok, fin qui è chiaro... ci sono!".

I kumi jo sono un insieme di movimenti preordinati di uchi jo (colui che attacca) e di uke jo (colui che riceve gli attacchi), che formano veri e propri "combattimenti" codificati, così come avviene in qualsiasi Scuola di armi giapponese.

Sono de "kata a coppie", nei quali se ciascuno ricorda il suo copione (i movimenti che deve compiere), non è difficile inscenare lo "spettacolo" di 3 o 4 scambi di colpi e parate ciascuno.

Per apprendere un kumi jo ci va da una decina di minuti a qualche ora, per affinarlo possono essere necessari diversi anni di pratica... ma - col il proprio ritmo - può arrivare a farli chiunque sia sufficientemente motivato, e poi iniziare pure a percepirli come PARTE della propria ZONA di COMFORT!

Ci siamo filmati, così da potervi mostrare il nostro esperimento...




Poi però siamo andati un tantino oltre a ciò che la tradizione è solita insegnare... abbiamo provato a farli nella loro versione SPECULARE.

Il jo è un'arma simmetrica, mentre il ken no: la guardia di ken - tradizionalmente - si tiene con la mano sinistra al fondo dell'arma, e quella destra circa una decina di centimetri più sopra (vicino a quell'anello che nelle spade giapponesi si chiama "tsuba").

Tolto questo punto però, ogni posizione, ogni fendente, affondo e parata può essere fatta anche nella sua posizione simmetrica... solo che non ci avevamo MAI PROVATO PRIMA!





Ed ecco, che, all'improvviso...

... tutto ciò che a destra viene con una certa sicurezza, a sinistra viene pseudo da schifo (e viceversa)!
Le piste neurali battute e consolidate da anni con un lato, non risultano minimamente comparabili con l'incertezza presente nello STESSO movimento, ma con la parte OPPOSTA del proprio corpo!

Eppure il movimento da compiere è del tutto IDENTICO, come mai che ciò accade?!

C'è una notevole differenza fra consapevolezza del movimento ed automatismo dello stesso...
Quando ripetiamo centinaia di volte uno stesso esercizio, ne acquisiamo sempre consapevolezza, o talvolta è solo automatismo?

Quando cambi le carte in tavola - come in questo caso - ci si rende bene conto di quale abisso ci sia fra queste due attitudini.

Le arti marziali sono fatte per aumentare la consapevolezza in ciò che facciamo, ed esercizi come quello descritto SVELANO che quando facciamo fatica a fare qualcosa, siamo DEL TUTTO presenti negli istanti che viviamo... mentre una ripetizione solo meccanica rischia di far sprofondare nell'ovvio il nostro agire, e quindi limitare il valore aggiunto che possiamo trarne.

Ma non ci siamo fermati qui...






Siccome ciascun praticante di un kumi jo ha una parte alla quale attenersi... che capacità abbiamo di switchare fra quello di uchi jo a quello di uke jo (e viceversa)?

Di solito impersoniamo un ruolo per 2 o 3 ripetizioni, quindi interrompiamo l'esercizio e lo riprendiamo per altre 2 o 3 volte nel ruolo opposto...

Cosa accadrebbe se dovessimo IN CONTINUAZIONE cambiare ruolo, senza poterci fermare?

Ci siamo inventati una sequenza di movimenti che lo consenta ed il risultato è stato quantomai significativo: è un assoluto CASINO oscillare in continuazione fra 2 ruoli distinti ed opposti... anche se SINGOLARMENTE li conosciamo piuttosto bene entrambi!

La mente fa resistenza, la sua duttilità risulta fortemente compromessa quando tutte le informazioni devono essere presenti allo stesso tempo... o in rapida successione.

Fa un po' lo stesso effetto scoprire che "sappiamo tutto sulla piuma, ma non conosciamo nulla del materasso", e la cosa non è piacevole, ve lo assicuriamo!

Prendiamo quindi una pratica NOTA, la cambiamo nell'esecuzione (ma non nella sostanza) e ciò che rimane di tutte le certezze accumulate in anni di esercizio è un pugno di sabbia fra le mani: SENSAZIONALE, almeno quanto scomodo!

La qualità esecutiva sotto il punto di vista tecnico può diventare imbarazzante... ma il processo di apprendimento schizza alle stelle, proprio perché abbiamo accettato di uscire nuovamente dalla nostra comfort zone, proprio come quando eravamo principianti!

Queste cose tradizionalmente NON sono previste, NON sono insegnate, non ci risulta al momento che O' Sensei le facesse, siamo pressoché certi che Morihiro Saito Sensei dal quale le abbiamo apprese NON abbia mai investito più di tanto (almeno in seminar pubblici) in pratiche simili...

Il valore aggiunto di avventurarsi su terreni poco battuti e che corrono proprio accanto a ciò a cui siamo molto abituati però ci è risultato davvero enorme: mettersi in difficoltà può essere un gioco anche molto utile e piacevole al contempo... oltre che frustrante.

Ogni volta perciò che qualcuno ci dice "questo non si può fare" chiediamoci se lo afferma per il nostro bene, perché sa che ci devierebbe dal nostro cammino di apprendimento... o lo fa perché lui stesso non ha mai messo in discussione il proprio, e teme di riscoprirsi in difficoltà...

... in difficoltà come qualsiasi PRINCIPIANTE, ovvero come chi impara al MASSIMO delle proprie capacità!



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