lunedì 21 luglio 2014

Imporre il proprio Aikido: la ricetta migliore per svalutarlo

Si rifletteva insieme in questi giorni sul tema "imposizioni": quanto esse risultino di fatto utili, quanto invece dannose... e ci è venuto istintivo estendere e comprendere in questo discorso anche l'Aikido.

Ci sono molti "obblighi" per un praticante, se ci pensiamo bene...

Egli di solito NON sceglie il tipo di abbigliamento (che è imposto dalla disciplina), gli orari ed i luoghi degli allenamenti (ai quali si deve attenere), le regole vigenti nel Dojo, la tipologia di relazione senpai-kohai che trova sul tatami, il rispetto e l'attenzione che deve ai ragguagli ricevuti dal suo Insegnante, e così via...

Diciamo che - una volta che scegliamo un corso, una Scuola di riferimento, uno stile ed una guida - parecchie cose vengono di conseguenza e vanno accettate per quelle che sono, senza possibilità da parte dei singoli di orientarsi rispetto alla proprie preferenze, secondo le propensioni personali.

Ma questo non ci pare tanto "Aikido imposto", quanto "Aikido AUTO-imposto".

Un conto infatti è sentirsi coerciti in una strada che sembra non rappresentarci più, un altro invece è percepire che le limitazioni che viviamo ce le siamo scelte, perché fanno parte anch'esse delle possibilità di crescita che aneliamo.

Ma quest'oggi non volevamo riferirci a questo aspetto "ruvido", forse scomodo, ma sano della nostra disciplina, quanto alla ancora relativamente attuale tendenza ad imporre sul serio il proprio Aikido al prossimo da parte dei praticanti in genere, ma anche di alcuni Insegnanti.

È una posizione forse antinomica rispetto a ciò che ci si aspetterebbe di vivere in un corso, ma capita sovente e intendiamo oggi rifletterci insieme, tramite alcuni esempi.

Il Maestro ci mostra una tecnica: noi proviamo a ripeterla con il nostro partner, ma le cose non sembrano così facili come quando l'abbiamo vista poco prima... sentiamo resistenza, il corpo non trova subito gli angoli migliori, facciamo un po' di fatica (del resto se fossimo perfetti fin da subito, che ci staremmo a fare in un corso in cui si impara qualcosa?!)...

... quindi ci viene la brillante idea di sopperire a tutto questo imbarazzo con quell'innocuo rabboco di forza fisica che in un istante fa cascare a terra il nostro uke. Qualcuno ha visto qualcosa?

Noi non abbiamo visto niente e voi?

È cascato... QUASI come quando la tecnica è stata mostrata dal Maestro: ce l'abbiamo fatta!

"Ni", ci verrebbe da dire: ce l'abbiamo fatta perché l'Aikido che non siamo stati capaci di proporci, siamo stati in grado di "imporlo" al compagno!

Tutto da fuori sembra ok, ma sia noi che lo sventurato/a che avevamo fra le mani si è accorto di quel "di più" che è stato passato nella relazione: l'imposizione non deve essere eclatante per essere reale!

Così imponiamo molte volte ai compagni l'Aikido che non abbiamo ancora ben compreso o integrato nel nostro sistema, anche perché NON farlo ci darebbe subito un idea chiara del nostro livello... quindi per non imbarazzarci dinnanzi a noi stessi, meglio far pagare il conto più o meno salato a qualcun altro: non molto etico come atteggiamento, vero?

Eppure accade molto spesso: succede quando utilizziamo i muscoli più del dovuto, ma anche solo quando chiudiamo una leva più del necessario per proiettare o per immobilizzare il partner.

Il surplus di dolore che gli facciamo provare era veramente tutto utile (e quindi anche per lui rappresenta una opportunità di crescita), oppure è solo un riflesso incondizionato della nostra goffaggine?

Se al momento di una proiezione il nostro uke si irrigidisce, è più che normale che senta più dolore (le leve fanno più male se applicate ad una struttura rigida), ma il dolore che prova è dovuto a lui che si è irrigidito o noi che temevamo non cascasse?

Nel primo caso, fatti suoi: imparerà che è meglio essere rilassati quando si riceve una tecnica, quindi il dolore avrà avuto un senso educativo...

... ma nel secondo caso, ci troviamo di fronte ad un'imposizione, dovuta ad una nostra insicurezza forse, magari nemmeno conscia o i cui frutti erano voluti, ma sempre di un'imposizione si tratterà!

E questo è quanto avviene a livello FISICO fra due praticanti: cosa dire di ciò che avviene ad altri livelli?

Il senpai ad esempio sul tatami sarà quello che tiene il "riga" il gruppo, farà da riferimento ai neofiti, sarà capace sia di attenzioni e consigli, così come di essere fermo in alcuni rimandi, se percepisce che ciò è la cosa migliore per i suoi kohai.

Ma, nuovamente, la sua fermezza... la piccola leadership che prevede il suo ruolo, la capacità di zittire sia tecnicamente che a voce coloro che dovessero meritarlo... saranno utilizzate per il bene suo e del gruppo di cui fa parte o per dare sfoggio di un ego gonfio a causa della posizione di rilievo che occupa?

E se i suoi atteggiamenti fossero dettati da alcune sue insicurezze, che egli potrebbe tranquillamente non voler affrontare, nascondendosi dietro un: "Zitto, io sono il senpai e si fa come dico io!"?

Nell'ultimo caso, saremmo ancora in presenza di una forma imposta di Aikido, cioè ad un qualcosa che non aggiunge plusvalore all'autorevolezza, facendola scadere nell'autoritarismo.

E l'Aikido imposto lascia subito dietro a sé sensazioni di incomprensione e malcontento che scarsamente si tollera... e con il tempo può anche essere la causa di eccellenti abbandoni da parte di chi non le regge più.

Molti Maestri poi, forse irresponsabili, insicuri già da allievi... che sono diventati senpai iniziando ad imporre ciò che non riuscivano a proporre... continuano poi la triste dinamica "dall'altra parte del bancone", cioè nel ruolo di chi offre rimandi e linee guida, ma non di certo per far risplendere agli occhi degli altri la sua immagine personale!

Ecco allora il proliferare di Insegnanti-santoni, il cui volere è incontrovertibile e la cui opinione non può e non deve essere MAI messa in discussione: gente con la quale fa paura anche solo parlare e confrontarsi... perché la loro severità miete spesso vittime.

Saranno buone guide coloro che sapranno essere fermi ed anche severi per una ragione valida... ma di certo non per mantenere inalterata la loro sensazione di potere e controllo sul prossimo!

"Sei obbligato a venire a lezione... venire al mio stage... pensarla come la penso io... muoverti come mi muovo io...": strumenti importanti per far crescere un allievo anche quando magari questi si è scordato di averne dato il mandato al proprio Maestro. Si sa che tutti gli allievi vogliono crescere fino a quando il Sensei non è in grado di metterli dinnanzi alle proprie Aiki-miserie personali!



Ma cosa accade quando l'allievo è veramente disposto a crescere attraverso le indicazioni del proprio Insegnante, ma il problema è che questi gliele fornisce per altra ragione?

Un'ennesima forma di "Aikido imposto".

Poi gli Insegnanti si raggruppano in Associazioni ed Enti patrocinanti... e come crediamo che siano le atmosfere al loro interno, se diversi dei singoli membri vivono ancora senza aver risolto l'enigma dell'Aikido che è possibile imporre solo a se stessi e non al prossimo?

Saranno luoghi dove vigeranno più imposizioni che altro, ma nuovamente purtroppo non tutte create per il bene dei propri associati.

Questa è la storia dell'umanità: da un'incomprensione personale vengono generate le fila di chi è in grado di far salire ai vertici gerarchici queste lacune, facendone utilizzo regolare anche in ambienti in cui esse sono antinomiche rispetto ai valori che si vorrebbero veicolare.

Se avessimo bisogno di un'Arte Marziale SOLO efficace, in grado di sbattere a terra anche chi non VUOLE andarci, non sarebbe bastata qualche forma raffinata di Ju Jutsu?

L'Aikido è più complesso, perché fa andare a terra anche chi non avrebbe voluto andarci prima, ma solo perché ora comprende come ciò sia la cosa migliore per entrambi... non perché a male o glielo imponiamo!

Capiremo quindi l'enorme difficoltà di applicazione di tutto ciò, senza "regredire" alla mera tecnica di sopraffazione e contemporaneamente senza incorrere nella possibilità di essere inconcludenti...

Entrambe le possibilità devono rimanere vive ed attuali, in modo da farci comprendere cosa significhi trovare un equilibrio fra avere e partecipare a ciò che si condivide, fra fare ed essere.

Secondo la nostra opinione un Aikido solo imposto dal di fuori è un Aikido malato: può solo esistere un Aikido imposto dal di fuori solo perché non ci ricordiamo più che ce lo siamo imposti dal di dentro... è quella temporanea coercizione ci aiuta a crescere, ci limita esattamente come un vaso è il terreno ideale per fare crescere una pianta o gli argini solo il luogo migliore per lo scorrere di un fiume.

Però solo in quest'accezione accettiamo imposizioni.

Tutte le altre servono a fini meno nobili, ci verrebbe da dire che sono inversamente proporzionali in numero ed intensità a quanto questo discorso sulla gratuità sia stato ben compreso, digerito e fatto proprio.

"Se ami qualcuno lasciamo libero. Se torna da te sarà per sempre tuo, altrimenti non lo è mai stato"... ci ricorda Richard Bach, e spesso Morihei Ueshiba - reo confesso - confondeva quel "AI" di "armonia" [合], con quello di "amore" [愛]

Sembra quindi proprio che la libertà (l'opposto della coercizione) sia uno degli ingredienti fondamentali per vivere l'Aikido al meglio ed al massimo delle sue potenzialità. 

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