lunedì 23 giugno 2014

Quell'alchimista di nonno Morihei...

L'alchimia è quell'antico sistema filosofico ed esoterico che si diceva capace, fra le altre cose, di trasformare il metallo vile in oro.

O' Sensei si è svariate volte espresso in termini alchimistici con l'Aikido, quasi che questa pratica fosse effettivamente capace di una qualche sorta di trasformazione profonda e radicale di coloro che la frequentano.

Che cosa avrà inteso?!

L'alchimia è la capacità di mettere insieme elementi distinti che sembrano talvolta anche incompatibili nello stesso spazio e nello stesso tempo... due diverse realtà - entrambe convincenti e sensate - che però faticano ad essere viste come complementari o integrabili...

... il piombo e l'oro, la salute e la malattia, l'attaccante e l'attaccato... la marzialità e la relazione: poli opposti che è perlomeno insolito far dialogare in modo costruttivo e proficuo.

Ci occupiamo tuttavia quest'oggi di approfondire il rapporto che c'è fra essi e l'Aikido... o - ancora meglio - il rapporto che c'è fra ciascuna persona che lo pratica e questi importanti aspetti duali dell'esistenza.

Solitamente viene detto che la pratica dell'Aikido può risultare trasformativa per alcuni individui che la vivono con intensità... Come avviene tutto ciò e perché quest'alchimia talvolta sembra accedere ed altre volte no?

Di sicuro l'evoluzione personale (intesa qui ora come "cambiamento nel tempo" e non come "miglioramento") si basa sulla capacità di esplorare dinamiche prima sconosciute, allo scopo di espandere i propri orizzonti e la propria capacità di definire la realtà che ci circonda.

Nella vita, ciascuno di noi possiede una sorta di "comfort zone", ossia un'area nella quale ci sentiamo a nostro agio (nel lavoro, nel tempo libero, nelle relazioni, nei confronti della salute, del danaro...): solitamente le persone passano la maggior page del loro tempo a fare di tutto per mantenersi all'interno dei confini di quest'area, per grande o piccola che essa risulti.

Uscirne significa andare incontro ad esperienze NON NOTE e quindi potenzialmente anche spiacevoli.

Il problema è però anche che all'interno di quest'area conosciuta è di fatto impossibile ogni forma di cambiamento ed evoluzione/crescita, poiché la sentiamo già "nostra"... abbiamo già fatto tutto ciò che era in nostro potere per integrarla nel nostro vissuto.

La nostra teoria - e siamo in buona compagnia nel formularla - è che l'Aikido possa servire per valicare questa area di comfort alla scoperta di quell'universo sconosciuto che si cela al di là delle Colonne d'Ercole di noi stessi.

Un luogo inesplorato, forse pieno di nuovi tesori di cui gioire o di nuovi pericoli dai quali stare in guardia: non lo sapremo fin che non saremo là.

Nel caso ciascuno di noi - tramite l'Aikido - volesse partire per questo viaggio alla Indiana Jones, non potrebbe contare che su se stesso, sulle sue doti di versatilità difronte all'ignoto e sugli strumenti che l'Aikido stesso fornisce a tutti coloro che ne colgono il messaggio a questo livello di profondità.

L'Aikido ci insegna a cadere senza farci male ed a rialzarci immediatamente, talvolta addirittura utilizzando l'energia che ci ha scaraventato al suolo: che paura dovrebbe ancora avere una persona di affrontare situazioni ignote ed impreviste, se avesse veramente fatto sua questa capacità di cavarsela anche nelle situazioni peggiori?

L'Aikido ci mostra come integrarsi con l'energia cinetica aggressiva che il nostro partner ci scaglia contro: se siamo presenti nel "qui ed ora" a ciò che accade, abbiamo l'unica, vera e sola possibilità di fare la differenza in una simile situazione... tramite l'illuminante esperienza di tramutare un evento potenzialmente molto pericoloso in innocuo, se non addirittura... divertente!

L'Aikido ci insegna a fare un po' di spazio "nell'io" perché nelle tecniche che realizziamo ci sia sufficiente posto alla nascita di un "noi", che include attaccante ed attaccato in un unico sistema, che prende una vita propria: si tratta di perdere parte di sé per consentire a qualcosa di più grande di manifestarsi... questo richiede coraggio estremo, così come fiducia nella direzione che abbiamo abbracciato.

I precedenti sono solo 3 esempi semplici e noti di come l'Aikido - come un catalizzatore - possa favorire una trasformazione personale di chi accetti il viaggio avventuroso alla Indiana Jones... fuori dalla nostra abituale zona di comfort, ossia di fatto unico luogo in cui trasformazione e cambiamento sono ancora possibili.
Certo bisogna essere disposti ad accettare qualche rischio perché ciò avvenga...

Non sarebbe quindi l'Aikido a trasformarci profondamente, ma noi che lo utilizziamo come strumento  a tal fine: saremmo/siamo noi i protagonisti di tale processo!

E perché talvolta ciò non accade?

Semplice, perché ci sono molte persone che utilizzano l'Aikido per difendere i confini della propria zona di comfort, anziché per varcarli...

I fissati con l'efficacia marziale, ad esempio, sono i primi che cercano sempre di esprimere come le cose funzionino o meno a seconda del loro giudizio, come loro sarebbero più/meno efficaci di qualcun altro se messi di fronte alla situazione XYZ.

Ma questo non è andare oltre alla propria zona di comfort, anzi: è piuttosto cercare di far rientrare tutte le situazioni inesplorate al suo interno!

Se siamo disposti a metterci realmente in gioco, anche a livello marziale, a che pro pensare se saremmo o meno "efficaci" nel caso XYZ?!
Se ci trovassimo a viverlo, lo sapremmo subito e per via esperienziale, cosa sarebbe servito "pre-occuparsene" (leggi: "occuparsene prima")!

Solo che ci vuole un gran coraggio marziale a non avere certezze solide!

Forse questo consente una qualche forma di trasformazione interna, ma solo se prima avremmo accertato la tipica condizione di incertezza e dubbio generata dall'esserci andati a cercare una condizione sconosciuta da vivere e sperimentare in prima persona!

L'Aikido secondo noi è alchemico a livello personale nella misura nella quale con esso tentiamo di risolvere i NOSTRI conflitti irrisolti, non quelli che ci sono nel mondo!

Certo, questo richiede di andare a riesumare i PROPRI scheletri nell'armadio, di affrontare le NOSTRE paure... è vi assicuriamo che questo è definitivamente FUORI dalla nostra abituale zona di comfort!

Chi accetta però di esplorare queste dimensioni selvagge ed anche tabù per molti... rischia anche (fra le altre cose) di scoprire nuovi tesori, di espandere le proprie frontiere personali di esperienza e consapevolezza della vita.

Ma in ciò il proprio avversario è SOLO un tramite, uno strumento di crescita nella misura di quanto è capace di renderci il cammino ostico.

Imparare a cadere da una posizione scomoda o pericolosa è la misura di quanto rischio abbiamo voglia di correre per trasformare noi stessi...

"No pain, no gain" (nessun dolore, nessun guadagno), recita un noto detto.

Cosa accade allora talvolta a coloro che raggiungono un grado elevato o una posizione prestigiosa all'interno di una realtà Aikidoistica?

Sporadicamente c'è qualcuno che ricorda che solo con la reale possibilità di perdere tutto ciò che ha fin li guadagnato egli ha ancora possibilità di una qualche forma di crescita ed evoluzione: negli altri casi queste persone "tirano i remi in barca" e si trincerano DENTRO la zona di comfort che si sono creati, quindi di fatto smettono di essere esempi viventi di "alchimia dell'Aikido"!

Per trasformare, sintetizzare, integrare realtà che "fanno apparentemente a botte" fra loro deve esserci la possibilità di perdersi e fallire in questa operazione, ecco cosa la rende di indiscusso valore!

Ma come realizzare tutto ciò senza voler rischiare niente?

Come trasmutare il piombo in oro se ci teniamo così tanto a rimanere zavorrati con il nostro lucidissimo piombo?

Nonno Morihei forse lo sapeva bene e quindi ha molto scritto e parlato sull'argomento... conscio che esso sarebbe stato qualcosa di notevolmente più ostico da comprendere ed accettare rispetto a come realizzare fisicamente la tecnica X o quella Y.

"Se non vorrai
allacciare te stesso
al Vero Nulla
mai potrai comprendere
il sentiero dell’Aiki"

"Via del guerriero
non ha voce né forma
e neanche ombra:
chiedi agli Dèi quanto vuoi
ma non risponderanno"

"Ricorda sempre
che vita e morte avrai
sotto i tuoi occhi.
Forse vorrai fuggire
ma non sarà concesso"

Sono tre doka di Morihei Ueshiba, nei quali si fa particolare menzione al "vedi di cavartela da solo!" in una condizione sicuramente fuori dalla propria zona di comfort!

Ma perché non ha spiegato meglio questa dinamica?

Perché - se la cosa era così importante - ha affidato questi insegnamenti ad equivocabilissimi e fraintendibili versi poetici?

Che il Nonno fosse un vero alchimista e che la sua arte sia stata coniata anche per questa nobile dinamica personale ed interpersonale?

"Vedete di capirlo da soli!"  ... lui sapeva che se ci fosse stato qualcuno in grado di spiegare tutto per bene ed in modo definitivo, chi mai si avventurerebbe più fuori dal proprio piccolo recinto di certezze? ^___^

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