lunedì 30 giugno 2014

Quando i piaceri e i doveri dell'Aikido sono al bivio

Chi si iscrive ad un corso di Aikido è convinto che ciò sia meglio che non farlo... altrimenti non avrebbe investito i propri soldi: lo considera forse una sorta di investimento!

Le motivazioni possono essere le più disparate, lo abbiamo detto molte volte: mantenersi in forma, imparare a difendersi, abbracciare una disciplina spirituale, filosofica, un'attività sociale... ce n'è per tutti...

... ma il risultato non cambia: se uno lo fa è convinto che sia meglio così!

La bilancia fra ciò che si spera di poter ottenere ed i sacrifici che sarà necessario fare propende sicuramente per la prima area che abbiamo menzionato.

Poi uno inizia ad allenarsi, e si accorge che le cose pian piano cambiano...

Non potevamo sapere QUANTA passione, sudore, costanza ed intensità ci sarebbero state richieste, prima di provarlo sulla nostra pelle...

In questi casi torniamo a chiederci se abbiamo fatto la cosa giusta ad iniziare a praticare, siamo cioè disposti a mettere in discussione le nostre stesse scelte.

Ciò che avverrà di seguito è solo funzione di quanto ci sentiamo realizzati nell'ordinarietà dalla pratica!

Intendiamo dire: ovvio che con il tempo adeguato e molta costanza potremo giungere a tappe importanti del nostro percorso Aikidoistico, ma quanto è importante sentirsi semplicemente sulla giusta strada giorno per giorno?

La vita dell'Aikidoka è fatta di alti e bassi - come quella di tutti - ma sempre di più abbiamo occasione di constatare come la frustrazione ripetuta semplicemente al oltranza sia una degli elementi che maggiormente fanno abbandonare il tatami: è come se molte persone ad un certo punto sentissero semplicemente che la strada intrapresa non appartiene più loro...

Non è sempre questione di mancanza di voglia o costanza: è proprio qualcosa di legato all'intimo, esattamente come quella scintilla che ci ha fatto iniziare ad allenarci.

È una cosa buona provare PIACERE dalla pratica dell'Aikido?
(non intendiamo nulla di zozzo, intendiamoci bene  ^__-)

Sentirci REALIZZATI nel "qui ed ora" durante e dopo un qualsiasi allenamento dovrebbe essere qualcosa di possibile o bisognerà sempre attendere "quel giorno in cui riscopriremo che tutto aveva un suo senso"?

Molti si perdono perché svanisce in loro il SENSO di quello che fanno e non sono più disposti a percorrere una strada che non sentono più confacente a loro stessi.

L'Aikido richiede molto: disciplina, determinazione, passione, disponibilità a mettersi in gioco.... ma questi sono tutti elementi che siamo disposti a mettere in campo se intuiamo che ha un SENSO giocare questa partita!

Prendiamo ad esempio i seminar o raduni: ci sono eventi ai quali un allievo è invitato a partecipare... altri ai quali egli è SUPPLICATO dal proprio Insegnante di frequentare ed altri ai quali - talvolta - è OBBLIGATO ad esserci.

I motivi potrebbero essere quanto mai vari anche per questo: 

1) se i praticanti non vengono, non riescono a comprendere il valore di frequentare situazioni al di fuori dell'ordinarietà del loro Dojo;

2) se i praticanti non vengono, il Sensei non riesce a coprire le spese dell'organizzazione dell'evento;

3) se i praticanti non vengono, non fanno la marchetta necessaria con il Mega-Sensei XY, che poi gliela farà pagare agli esami...

Tutta roba nota e talvolta pure buona, ma l'interrogativo ora è: "Quand'è che le persone frequentano un seminario perché si RENDONO semplicemente CONTO che esserci per loro è meglio di non esserci?"

Questo fatto è determinante, perché se accade è segno che la gente una volta uscita dalla porta riconosce che ha fatto bene ad entrarci!

Vediamo invece sempre più seminari che non "parlano" più ai presenti... che sono fatti "perché si devono fare", perché lo richiedono i programmi tecnici, perché sono stati resi obbligatori da qualcuno... ma non ci rendiamo conto che gli unici obblighi che ci possiamo imporre vengono dal di dentro di ciascuno di noi... non di certo da qualche Maestro o da qualche Ente!

"Vuoi che veniamo al tuo seminario? Vedi di fare una cosa che abbia senso e che ci faccia sentire che ne è valsa la pena, altrimenti ci freghi una volta sola!"

Sempre più gente ragiona così - e per le lezioni regolari nel Dojo vale la stessa cosa - e forse questo è tutt'altro che un male.

Un tempo bisognava stare ai dettami del Maestro, in quanto egli era un'autorità indiscutibile: ora sempre più se facciamo bene INSIEME, è perché siamo veramente INSIEME in tutto ciò che facciamo, non 'è più chi dispone solo e chi accetta supinamente!

Se i praticanti non riescono a sposare - giorno per giorno - piacere, realizzazione e ingaggio necessario alla pratica SMETTONO, dobbiamo farcene una giusta ragione!

Questo è un autentico segno di evoluzione della disciplina, se ci pensiamo: l'Aikido non prevede un "io" ed un "tu", ma solo un "noi"... invece per anni c'e stato un "io Maestro" ed un "voi cacche di allievi... che devono fare una marea di strada prima di essere fughi come me".

Non ovunque è stato così, ma spesso lo è stato...

Non che oggi tutti sappiano cosa è meglio per loro, intendiamoci: solo che questo matrimonio alchemico fra esterno ed interno, fra diversi ruoli ed aspetti della disciplina è qualcosa di inedito... che sta potentemente modificando il modo in cui ciascuno vive l'Aikido, il tatami, il Dojo.

Chi non si uniforma a questo nuovo paradigma (intendiamo ora i Maestri "vecchio stampo", che sanno loro cos'è meglio per le giovani reclute, o gli allievi anarchici di ultima generazione) si trova fuori gioco in poco tempo: chi è capace di "fare Aiki", lo deve poi fare sul serio... sia con se stesso che con gli altri!

La realizzazione di un percorso e la fatica che richiede il percorrerlo sono infatti due fenomeni interconnessi, quindi desiderare solo l'una cosa a discapito dell'altra inizia ad essere evidentemente contro natura.

I corsi quindi sono pieni da quei Sensei che riescono a far rimanere viva la motivazione interna dei propri allievi, e non a chi li massacra di pipe mentali su quanto loro siano ancora inadeguati nei movimenti delle falangi delle dita durante ikkyo ura... o su quanto ancora serve lavorare per raggiungere i loro buddici livelli.

Chi si sente realizzato è disposto a lottare con se stesso per esserlo ancora di più: è disposto al "sacrificio" di cosa non gli è comodo perché sa sperimentalmente che in esso vi è un senso ed un significato... che - DA SOLO - può dare valore alle esperienza!

Chi si sente realizzato è in grado di attendere in momenti di sconforto poiché ha sperimentato come è inappagabile quando poi il proprio goal viene raggiunto, è disposto ad affrontare e superare crisi per ciò in cui crede, proprio perché CREDE ancora in qualcosa...

Ma allora vogliamo far si che gli Aikidoka credano ancora nel lavoro che sono in grado di compiere con loro stessi ATTRAVERSO la pratica dell'Aikido, o li vogliamo decelerati e "spenti" burattini al servizio di qualche Sensei feudatario, che li "amministra" come si faceva un tempo con la bassa plebe?

Sta molte volte agli Insegnanti questa ardua scelta: ardua perché poi - una volta scelto - devono accettare le conseguenze di ciò che arriva:

1) vuoi "amministrare" le cose secondo i vecchi paradigmi ("io sono la luce, non avrai altro Maestro al di fuori di me... ti dico io cosa è meglio per te e se non ti sta bene te lo impongo"...)?

Ok, allora estinguiti, così come stanno facendo i lungimiranti tuoi colleghi!

2) vuoi cooperare alla costruzione compartecipata di una comunità Aikidoistica sana e numerosa?

Ok, allora devi essere disposto realmente a continuare a metterti in discussione, così come chiedi ai tuoi studenti... devi a tua volta avere in equilibrio la tua realizzazione personale ed il tuo piacere di fare ciò che fai con i doveri che ciò comporta!

In questo caso ci sentiamo di essere categorici: una terza via ci sa di compromesso o edulcorazione di una scelta veramente radicale nei confronti di se stessi... in quanto se talvolta le parole ATTIRANO... l'esempio di sicuro SPINGE!

In attesa quindi di vedere più senso nelle competenze, nelle lezioni e nei seminari di chi ha più responsabilità che ciò avvenga, ci auguriamo che l'Aikidoka medio (che brutto termine: per noi nessun Aikidoka è medio, ma è sempre superlativo!) senta più rapporto diretto ed integrazione fra quello che gli viene chiesto di fare per l'Aikido ed il nutrimento personale - di qualsiasi natura esso sia - che riceve man mano dalla disciplina che pratica.

lunedì 23 giugno 2014

Quell'alchimista di nonno Morihei...

L'alchimia è quell'antico sistema filosofico ed esoterico che si diceva capace, fra le altre cose, di trasformare il metallo vile in oro.

O' Sensei si è svariate volte espresso in termini alchimistici con l'Aikido, quasi che questa pratica fosse effettivamente capace di una qualche sorta di trasformazione profonda e radicale di coloro che la frequentano.

Che cosa avrà inteso?!

L'alchimia è la capacità di mettere insieme elementi distinti che sembrano talvolta anche incompatibili nello stesso spazio e nello stesso tempo... due diverse realtà - entrambe convincenti e sensate - che però faticano ad essere viste come complementari o integrabili...

... il piombo e l'oro, la salute e la malattia, l'attaccante e l'attaccato... la marzialità e la relazione: poli opposti che è perlomeno insolito far dialogare in modo costruttivo e proficuo.

Ci occupiamo tuttavia quest'oggi di approfondire il rapporto che c'è fra essi e l'Aikido... o - ancora meglio - il rapporto che c'è fra ciascuna persona che lo pratica e questi importanti aspetti duali dell'esistenza.

Solitamente viene detto che la pratica dell'Aikido può risultare trasformativa per alcuni individui che la vivono con intensità... Come avviene tutto ciò e perché quest'alchimia talvolta sembra accedere ed altre volte no?

Di sicuro l'evoluzione personale (intesa qui ora come "cambiamento nel tempo" e non come "miglioramento") si basa sulla capacità di esplorare dinamiche prima sconosciute, allo scopo di espandere i propri orizzonti e la propria capacità di definire la realtà che ci circonda.

Nella vita, ciascuno di noi possiede una sorta di "comfort zone", ossia un'area nella quale ci sentiamo a nostro agio (nel lavoro, nel tempo libero, nelle relazioni, nei confronti della salute, del danaro...): solitamente le persone passano la maggior page del loro tempo a fare di tutto per mantenersi all'interno dei confini di quest'area, per grande o piccola che essa risulti.

Uscirne significa andare incontro ad esperienze NON NOTE e quindi potenzialmente anche spiacevoli.

Il problema è però anche che all'interno di quest'area conosciuta è di fatto impossibile ogni forma di cambiamento ed evoluzione/crescita, poiché la sentiamo già "nostra"... abbiamo già fatto tutto ciò che era in nostro potere per integrarla nel nostro vissuto.

La nostra teoria - e siamo in buona compagnia nel formularla - è che l'Aikido possa servire per valicare questa area di comfort alla scoperta di quell'universo sconosciuto che si cela al di là delle Colonne d'Ercole di noi stessi.

Un luogo inesplorato, forse pieno di nuovi tesori di cui gioire o di nuovi pericoli dai quali stare in guardia: non lo sapremo fin che non saremo là.

Nel caso ciascuno di noi - tramite l'Aikido - volesse partire per questo viaggio alla Indiana Jones, non potrebbe contare che su se stesso, sulle sue doti di versatilità difronte all'ignoto e sugli strumenti che l'Aikido stesso fornisce a tutti coloro che ne colgono il messaggio a questo livello di profondità.

L'Aikido ci insegna a cadere senza farci male ed a rialzarci immediatamente, talvolta addirittura utilizzando l'energia che ci ha scaraventato al suolo: che paura dovrebbe ancora avere una persona di affrontare situazioni ignote ed impreviste, se avesse veramente fatto sua questa capacità di cavarsela anche nelle situazioni peggiori?

L'Aikido ci mostra come integrarsi con l'energia cinetica aggressiva che il nostro partner ci scaglia contro: se siamo presenti nel "qui ed ora" a ciò che accade, abbiamo l'unica, vera e sola possibilità di fare la differenza in una simile situazione... tramite l'illuminante esperienza di tramutare un evento potenzialmente molto pericoloso in innocuo, se non addirittura... divertente!

L'Aikido ci insegna a fare un po' di spazio "nell'io" perché nelle tecniche che realizziamo ci sia sufficiente posto alla nascita di un "noi", che include attaccante ed attaccato in un unico sistema, che prende una vita propria: si tratta di perdere parte di sé per consentire a qualcosa di più grande di manifestarsi... questo richiede coraggio estremo, così come fiducia nella direzione che abbiamo abbracciato.

I precedenti sono solo 3 esempi semplici e noti di come l'Aikido - come un catalizzatore - possa favorire una trasformazione personale di chi accetti il viaggio avventuroso alla Indiana Jones... fuori dalla nostra abituale zona di comfort, ossia di fatto unico luogo in cui trasformazione e cambiamento sono ancora possibili.
Certo bisogna essere disposti ad accettare qualche rischio perché ciò avvenga...

Non sarebbe quindi l'Aikido a trasformarci profondamente, ma noi che lo utilizziamo come strumento  a tal fine: saremmo/siamo noi i protagonisti di tale processo!

E perché talvolta ciò non accade?

Semplice, perché ci sono molte persone che utilizzano l'Aikido per difendere i confini della propria zona di comfort, anziché per varcarli...

I fissati con l'efficacia marziale, ad esempio, sono i primi che cercano sempre di esprimere come le cose funzionino o meno a seconda del loro giudizio, come loro sarebbero più/meno efficaci di qualcun altro se messi di fronte alla situazione XYZ.

Ma questo non è andare oltre alla propria zona di comfort, anzi: è piuttosto cercare di far rientrare tutte le situazioni inesplorate al suo interno!

Se siamo disposti a metterci realmente in gioco, anche a livello marziale, a che pro pensare se saremmo o meno "efficaci" nel caso XYZ?!
Se ci trovassimo a viverlo, lo sapremmo subito e per via esperienziale, cosa sarebbe servito "pre-occuparsene" (leggi: "occuparsene prima")!

Solo che ci vuole un gran coraggio marziale a non avere certezze solide!

Forse questo consente una qualche forma di trasformazione interna, ma solo se prima avremmo accertato la tipica condizione di incertezza e dubbio generata dall'esserci andati a cercare una condizione sconosciuta da vivere e sperimentare in prima persona!

L'Aikido secondo noi è alchemico a livello personale nella misura nella quale con esso tentiamo di risolvere i NOSTRI conflitti irrisolti, non quelli che ci sono nel mondo!

Certo, questo richiede di andare a riesumare i PROPRI scheletri nell'armadio, di affrontare le NOSTRE paure... è vi assicuriamo che questo è definitivamente FUORI dalla nostra abituale zona di comfort!

Chi accetta però di esplorare queste dimensioni selvagge ed anche tabù per molti... rischia anche (fra le altre cose) di scoprire nuovi tesori, di espandere le proprie frontiere personali di esperienza e consapevolezza della vita.

Ma in ciò il proprio avversario è SOLO un tramite, uno strumento di crescita nella misura di quanto è capace di renderci il cammino ostico.

Imparare a cadere da una posizione scomoda o pericolosa è la misura di quanto rischio abbiamo voglia di correre per trasformare noi stessi...

"No pain, no gain" (nessun dolore, nessun guadagno), recita un noto detto.

Cosa accade allora talvolta a coloro che raggiungono un grado elevato o una posizione prestigiosa all'interno di una realtà Aikidoistica?

Sporadicamente c'è qualcuno che ricorda che solo con la reale possibilità di perdere tutto ciò che ha fin li guadagnato egli ha ancora possibilità di una qualche forma di crescita ed evoluzione: negli altri casi queste persone "tirano i remi in barca" e si trincerano DENTRO la zona di comfort che si sono creati, quindi di fatto smettono di essere esempi viventi di "alchimia dell'Aikido"!

Per trasformare, sintetizzare, integrare realtà che "fanno apparentemente a botte" fra loro deve esserci la possibilità di perdersi e fallire in questa operazione, ecco cosa la rende di indiscusso valore!

Ma come realizzare tutto ciò senza voler rischiare niente?

Come trasmutare il piombo in oro se ci teniamo così tanto a rimanere zavorrati con il nostro lucidissimo piombo?

Nonno Morihei forse lo sapeva bene e quindi ha molto scritto e parlato sull'argomento... conscio che esso sarebbe stato qualcosa di notevolmente più ostico da comprendere ed accettare rispetto a come realizzare fisicamente la tecnica X o quella Y.

"Se non vorrai
allacciare te stesso
al Vero Nulla
mai potrai comprendere
il sentiero dell’Aiki"

"Via del guerriero
non ha voce né forma
e neanche ombra:
chiedi agli Dèi quanto vuoi
ma non risponderanno"

"Ricorda sempre
che vita e morte avrai
sotto i tuoi occhi.
Forse vorrai fuggire
ma non sarà concesso"

Sono tre doka di Morihei Ueshiba, nei quali si fa particolare menzione al "vedi di cavartela da solo!" in una condizione sicuramente fuori dalla propria zona di comfort!

Ma perché non ha spiegato meglio questa dinamica?

Perché - se la cosa era così importante - ha affidato questi insegnamenti ad equivocabilissimi e fraintendibili versi poetici?

Che il Nonno fosse un vero alchimista e che la sua arte sia stata coniata anche per questa nobile dinamica personale ed interpersonale?

"Vedete di capirlo da soli!"  ... lui sapeva che se ci fosse stato qualcuno in grado di spiegare tutto per bene ed in modo definitivo, chi mai si avventurerebbe più fuori dal proprio piccolo recinto di certezze? ^___^

lunedì 16 giugno 2014

Smettila di nikyare, e dai sto kakkyo di esame!

Alla fine della stagione di pratica solitamente si concentrano anche molti esami di graduazione in Aikido.

Ogni gruppo che si rispetti ha però al suo interno - oppure ha avuto - qualche persona che si ostina a fare di tutto per evitare a tale esperienza, si ritiene impreparata o comunque non intenzionata a sottoporvisi per alcuni suoi specifici motivi personali.

Crediamo nella libertà di azione, ma ugualmente dedichiamo questo Post a molti di quesiti eterni indecisi.

"E dai sto kakkyo di esame!!!"

C'è sempre qualcuno che ha una difficoltà tutta particolare a farsi giudicare dagli altri, e ciò e più che comprensibile. Diventa però anche interessante comprendere quali siano le dinamiche (ed anche le scuse) più frequenti...

Il perfezionista: NON MI SENTO ANCORA PRONTO

Questa tipologia sostiene di non avere ancora maturato sufficiente esperienza per sottoporsi all'esame: intende sostenerlo in futuro, non appena saprà "bene" le cose...

Chi si comporta così o e molto responsabile o è un perfezionista incallito, e con questa scusa si radia quasi a vita dalla possibilità di testare la sua preparazione senza concedersi una "seconda chance".
Nel Budo è "buona la prima": questo è un insegnamento che è bene fare proprio!

Tutti noi potremmo SEMPRE prepararci meglio per un esame, quindi se aspettassimo di essere "perfetti", questa condizione non arriverà semplicemente mai... Ad un certo punto quindi bisogna buttarsi, magari dando ascolto ai Senpai o al Maestro che ci sprona a fare il grande passo: dopo tutto se abbiamo fiducia e rispetto verso di loro, dovremmo anche lasciarci aiutare dai loro consigli qualche volta!

L'introspettivo: I GRADI NON MI INTERESSANO, LO FACCIO SOLO PER ME STESSO

"Non mi interessano gli esami, non ho niente da dimostrare a nessuno, perché studio Aikido solo per migliorare me stesso": bene, allora credete veramente che tutto ciò contrasti con il sostenere un esame insieme ad altre persone (alcune che vi aiutano, altre che vi giudicano)?

L'endo-Aikido (ogni riferimento al famoso Sensei è puramente casuale!) è qualcosa di veramente importante, secondo la nostra visione, ma cosa ne sarebbe se ci limitassimo solo a quello?

Sarebbe meditazione solitaria forse, mentre noi pratichiamo con altre persone, in un gruppo, sotto la supervisione di un Maestro: allora come mai ci sta bene questa condizione comunitaria solo fino a quando ci viene richiesto di studiare, ma non quando sarebbe necessario mostrare e condividere il livello al quale siamo giunti?

Nuovamente, oltre che un iper-responsabile, dietro a questa figura di Aikidoka endonauta si poterebbe nascondere anche un codardo!... Così nel "suo" mondo, se la può suonare e se la può cantare come meglio crede di essere diventato illuminato...

Non è facile accettare il giudizio altrui - lo sappiamo , quindi è più importante imparare ad accettarlo o crearci un nostro mondo nel quale nemmeno chi ha più esperienza possa entrare per permettersi di dire se dobbiamo aggiustare qualche tiro?

La seconda ci sembrerebbe l'esperienza più complessa, quindi anche quella che ci costringe ad una maggiore maturità: nessuno con un esame impedirà di studiare Aikido per il solo piacere di farlo. D'altronde accettare una promozione non è mica segno di praticare solo per il raggiungimento dei gradi, anzi... è ciò che sarebbe sempre bene evitare!

Quindi nemmeno il "lo faccio solo per me stesso" ci convince definitivamente...

Il polemico anticonformista: GUARDA CHE SCHIFO CHE C'È IN GIRO, NON VOGLIO ESSERE COME QUELLI!

Questa è la posizione di chi - talvolta giustamente - si lamenta di quanta impreparazione si può riscontrare in persone che di esami ne hanno fatti pure tanti: impreparazione tecnica, filosofica, umana, etica... e chi ne ha più ne metta.

Se abbiamo visto fare ad una cintura nera una marea di kakyate, ovvio che ci sentiremo offesi a giungere al suo grado... rischiando potenzialmente di essere presi per gente "così facile". L'impreparazione dei gradi elevati SVALUTA sicuramente la qualità degli stessi, se non si sanno fare i giusti distinguo...

Quindi stare lontani dalle promozioni è la prima ricetta per prendere distanza da un metro di giudizio che non approviamo, che consentiamo nostro. non vogliamo mischiarci agli altri, perché ci sentiremmo svalutati nel farlo...

Non ci convince di nuovo!

Sotto il punto di vista formale, è chiaro che tante promozioni del passato sono state elargite talvolta troppo superficialmente, sancendo gradi che meritavano di non essere attribuiti, ma siamo sicuri che estraniandoci da questo sistema lo faremmo cambiare?

Se ci sentiamo pronti e capaci, questo potrebbe essere un motivo in più per sostenere un esame così come esso avrebbe sempre dovuto essere: serio!

Se quelli in gamba e coerenti si defilano perché vedono lo schifo che a volte accade agli esami, si lascia il campo libero agli impreparati ed immeritevoli: ma deve essere il contrario... sono questi ultimi che dovrebbero sgomberare il campo!

Se siamo gente preparata DOBBIAMO sostenere gli esami per creare precedenti di esami ben fatti, rispetto ai quali gli altri risultino ridicoli e quindi emergano nella loro incoerenza.

Altrimenti facciamo come in politica: siccome in Italia abbiamo tutti la sensazione che i politici siano corrotti, ce ne infischiamo di sporcarci le mani con la politica... con il risultato che tutto gli onesti ne sono fuori a lamentarsi, mentre quelli corrotti sul serio utilizzano questo fenomeno per continuare a sguazzare nei loro intrallazzi poco chiari!

E no! Sono quelli meritevoli che devono stare DENTRO il sistema, per agevolarne il funzionamento!

Sostenere a spada tratta la realtà dell'anticonformismo sugli esami potrebbe essere solo un altro modo per emergere, per farsi notare, con un atteggiamento opposto a quello delle consuetudine: se lo facciamo solo per questo, faremmo meglio forse ad essere così umili da uniformarci alla massa...

In realtà in Aikido sperimentiamo alcuni paradossi interessanti, primo fra tutti quello della coerenza fra interno ed esterno...

Chi cerca solo il dentro si sta dimenticando di metà del lavoro, esattamente come chi è interessato solo al fuori!

Gli esami sono un'attività esterna e sociale, che dovrebbe rispecchiare un grado di maturazione interna: esimersi da questa pratica potrebbe essere una scusa per non affrontare qualche nostra paura, una dimostrazione di non dare vera fiducia alle persone più esperte che ci reputano pronti/e (una sorta di micro-delirio di onnipotenza, quindi), o più semplicemente l'incapacità di cogliere il momento opportuno per segnare una svolta nella nostra pratica.

Gli esami sono come una boa luminosa... un punto fermo che aiuta ad orientarsi...

Non è che se diventiamo 3 kyu, saremo perfetti negli esercizi rispetto alla sera prima, quando eravamo ancora 4 kyu.

Ma certamente l'esporci al giudizio altrui ci aiuta a metterci a nudo anche con noi stessi... ed è forse questa la funzione più importante dell'esame:  l'Insegnate o la commissione servono solo per creare il "setting" più adatto perché una certa alchimia in noi possa avvenire.

Da un esame all'altro - infatti - più che i miglioramenti tecnici, sarebbe meglio apprezzare la maturazione globale che un allievo ha auto rispetto alla pratica (tecnica, filosofica, mentale, l'atteggiamento, l'etica, l'impegno, l'ingaggio, la continuità...).

Un anno fa eravamo in un certo modo, oggi spiamo differenti: sanciamo con "un giro di boa" chiamato "esame" questa differenza che abbiamo saputo fare con noi stessi e con gli altri nostri compagni di pratica.

Vi consigliamo di darli gli esami (scusate l'anacoluto!)... e di filmarvi: noi nel Dojo lo facciamo da tempo!

Filmarsi... non permette solo di rivedersi da un'altra angolazione per esaminare meglio i punti di forza e gli errori da correggere... consente soprattutto nel tempo di avere sotto mano un "archivio" della nostra intera storia Aikidoistica.

"Ma come, 10 anni fa mi muovevo così goffamente!?!... non mi riconosco più!".

BENE: si vede che da allora c'è stata un'evoluzione (non intesa come "miglioramento", ma come "cambiamento nel tempo")!... e quei "punti fermi" - chiamati esami - ti permettono ora di rendertene coscientemente conto!

OVVIO che no ci si presenta ad un esame solo perché uno deve "bollare l'Aiki-cartolina"... perché teme di "perdere il treno" delle promozioni, o perché è appena scaduto il periodo minimo che solitamente ogni Scuola prevede che si passi da un test a quello successivo.

Quello è un tempo minimo standard: le persone poi hanno ciascuna bisogno dei LORO tempi... quindi diffidate da Insegnanti che vi incitano a esaminarvi non appena avete raggiunto il tempo minimo di pratica perché ciò possa avvenire... perché vi vogliono far correre?!

Gli esami sono una cosa seria e quindi come tale va presa: ciò NON significa né che bisogna sostenerli azzardando, né che siamo costretti a starne alla larga... c'è anche una TERZA VIA, quella che dovrebbe volere percorrere un Aikidoka...

... si può semplicemente farli quando siamo veramente disposti a metterci in discussione, sia all'interno, che all'esterno di noi stessi... in un modo profondo, serio ma non serioso: ricordiamoci che una sana auto-ironia è un elemento irrinunciabile in questi casi!

Si sarà capito: noi ad un Aikido senza esami crediamo poco! Non è detto che si abbia per forza ragione, ma vi abbiamo con onestà esposto il nostro pensiero.

Della nostra disciplina accettiamo tante cose: gli indumenti, l'etichetta, le tecniche... non si capisce perché dovremmo fare eccezione per le dinamiche legate agli esami.

Fra l'altro, un test per essere tale, deve VERAMENTE prevedere la possibilità che si posa fallire e che quindi sia necessario sostenerlo di nuovo successivamente!

Questo non significa viverre ed allenarsi SOLO con l'idea in testa del superamento degli esami e l'avanzamento nei gradi...

Riconferiamo agli esami il loro forse ossidato valore, ed avremo allievi che si sottoporranno con gioia a questa importante prova!

lunedì 9 giugno 2014

I limiti dei compagni troppo consenzienti o non per nulla collaborativi in Aikido


In Aikido lavoriamo necessariamente con un partner nella maggior parte degli esercizi.

Il nostro uke è colui che ci consente, in qualche modo, di crescere ed apprendere via via sempre più sulla disciplina che pratichiamo.

Esistono però molti differenti modi di lavorare insieme: quest'oggi vorremmo vocalizzarsi insieme in particolare su due atteggiamenti estremi - e come tali particolarmente infruttuosi - di interazione.

Il primo di essi è quello che giocosamente chiamiamo nei corsi junior "l'uke mozzarella"... 

Questo straordinario individuo nasce per agevolare ogni scambio con i compagni, in quanto egli tende ad auto-abbattersi da solo, senza di fatto far lavorare adeguatamente il proprio tori per fare si che ciò avvenga con cognizione di causa.

Chiamatela "paura di quello che potrebbe accadergli", chiamatela "eccesso di premura verso il suo compagno", l'uke mozzarella è di consistenza flaccida ed estremamente malleabile, sempre ed in ogni caso.

Casca, casca sempre... pure prima di ciò che servirebbe, forse per portarsi avanti con il lavoro!

Sta di fatto che a parte i primi 5 minuti in cui ciascuno si sente veramente un incrocio fra l'Incredibile HULK e ODINO nel lavorare con loro... poi comprende che il proprio contributo è minimale e quindi anche la possibilità di apprendere qualcosa da questa interazione.

Un uke morbido ed agevolante può essere gran cosa, soprattutto per un principiante, in modo da poter lavorare in rilassamento, senza frustrarsi subito per le troppe cose che non vengono come si vorrebbe. Diciamo che agevolare l'altro può avere aspetti educativi piuttosto importanti, e ne converrà sicuramente chi fra voi è abituato ad insegnare.

A volte cadere NON perché le cose siano ben fatte da parte del compagno, ma perché lo si vuole MOTIVARE, risulta piuttosto utile ad indicargli una via, ad suggerirgli  che ce la può fare a perseguire i suoi obiettivi: l'uke ora non può più essere definito solo "mozzarella", ma almeno "mozzarella per un nobile fine".

Certo che non siamo sul tatami per vendere o comperare illusioni, quindi agevolare il compagno o venire agevolati ha senso fino a quando non si diventi - via via - capaci di camminare con le proprie gambe ed a metterci qualcosa di nostro in ciò che facciamo.

Ma c'è anche la tendenza diametralmente opposta: l'uke non collaborativo a priori che si crede tale per farti un piacere...

Costui è generalmente un personaggio che se fa della resistenza ed ostruzione alla proposta di lavoro indicata dall'Insegnante è perché crede fermamente che la bontà di ciò che si realizza insieme sia una funzione della fatica che si fa per ottenerlo e della possibilità che questo studio fallisca.

Non si può dargli tutti i torti, in quanto se siamo nel Dojo per imparare, ciascuno dovrebbe avere sempre chiara la sua posizione di persona che deve ancora terminare di apprendere... e quindi la relativa sua possibilità di non arrivare subito a tutti i goal che vengono proposti nell'allenamento.

Tuttavia il non collaborativo a priori fa molto di più...

Egli ostacola sempre e comunque qualsiasi azione, pensando che "nella realtà" nessuno verrebbe a credere nell'Aikido di sua spontanea volontà, specie se riscoprisse il ruolo di chi deve cadere.

Evidentemente questo signore vede ancora la caduta  ed il ruolo di uke come due ingredienti che risuonano con il perdere ed il perdente...
Non ci risulta però che in Aikido sia esattamente così.

L'ostruzionista a priori però, volendo far rivivere una situazione pseudo-realistica al proprio compagno, si impegna a fargli trovare più duro possibile l'allenamento con lui, sulla base del comuni pensiero: "Se ti riesce ora che è difficile, ti riuscirà anche quando sarà più facile".

Nemmeno questo di per sé sarebbe suo motivo di errore, secondo noi: il problema è non esagerare però!

Chi fa prese da energumeno dicendo: "Se esci di qui sei veramente ganzo!", dovrebbe prima chiedersi se il compagno ha avuto modo e tempo di sviluppare le capacità per rispondere ad un simile stimolo, senza frustrarsi troppo... o perlomeno "frustrandosi SOLO il giusto".

Invece no: "più gli uke sono non collaborativi, più è segno che il nostro Aikido è figo"... ma chi lo ha detto?!

Ci andreste mai a ballare con una persona che ha già deciso di non ballare con voi?
Ed a cena con chi vi ha già manifestato la sua antipatia per tutto ciò che gli rappresentate?

Sarebbe un po' un comportamento da Tafazzi...

E in Aikido noi stiamo andiamo in "guerra", cioè tocchiamo aspetti conflittuali dello scambio energetico, ma è altrettanto vero che tutto ciò lo facciamo con il fine di apprendere qualcosa in più su noi stessi... non tanto per dimostrare a qualcun altro che siamo bravi a "sconfiggerlo".

Se il vostro uke vi ostruisce a priori per darvi la possibilità di confermarvi che siete capaci ad affrontare quella frustrazione ed uscirne "vincitori"... è semplice segno che invece lui crede ancora che ci sia qualcosa che è bene dimostrare al mondo (o a se stessi) e che crede ancora nella dualità "vittoria/sconfitta"...

Ci spiace, ma in questo caso è un suo ENORME problema, che non ha il diritto di inficiare il nostro lavoro!

"Vai a ostruire il lavoro dei tuoi simili, in quanto non starai aiutando noi, ma solo riversandoci addosso parte della tua insicurezza esistenziale!"

Capite bene che però il confine è piuttosto sottile: se si è troppo accondiscendenti si impedisce al compagni di lavorare seriamente, mentre se si è troppo "contro" è bene stare attenti di non farlo per qualche tarlo nella nostra testa, che poi volentieri chiamiamo "utile servizio che facciamo per il bene dei compagni"...

La proporzionalità e la coerenza dovrebbero essere i due principali temi di lavoro di ciascun uke: se cadiamo senza avere fatto lavorare al top delle sue potenzialità il nostro tori, non gli avremo reso merito... ed - in qualche modo - lo avremmo svalutato, agendo noi per lui.

Ma anche se continuiamo a voler essere per lui la prova del 9 della sue capacità... indipendentemente da chi egli sia, dalla sua esperienza, dal momento che sta attraversando.

Il nostro atteggiamento dovrebbe essere più commisurato a tutte queste variabili, piuttosto che ad uno stereotipo fisso... facciamo alcuni esempi:

- siamo in una dimostrazione e ci esibiamo per mostrare ad un pubblico di non-addetti-ai-lavori cosa sia l'Aikido: "Che cavolo cadi prima che ti tocchiamo, così tutti penseranno che sia una buffonata?", oppure "Che cavolo fai resistenza all'inverosimile, rischiando di non farci venire l'esercizio? Non puoi farlo a lezione sta cosa e non qui davanti a tutti?";

- siamo ad un esame: uke abbia cura di far si che il proprio compagno possa esprimersi in tutta la padronanza che ha acquisito della sue capacità... se lo agevoliamo troppo, il Maestro o la Commissione vorranno cambiargli uke... se resistiamo troppo, potremmo inficiare (ad una Commissione distratta!!!) il risultato del test;

- siamo al Dojo e siamo i senpai: abbiamo spiegato 1000 volte al nostro compagno che la sua tecnica non funziona... ora è il momento di mostrarglielo con i fatti, non per svalutarlo, ma per fargli toccare con mano ciò che pare egli non voglia comprendere tramite consiglio;

- siamo al Dojo e siamo i senpai: lavoriamo con una persona visibilmente incapace di fare sue le nostre indicazioni... se gli facessimo ostruzione per fargli comprendere gli errori, faremmo bene o spareremmo sulla croce rossa? Nel secondo caso, allora meglio essere accondiscendenti e rimandare ad un altro momento un comportamento che verrebbe non capito, se non addirittura frainteso;

E come si fa a capire quando è "il momento giusto di fare che cosa"?

Bisogna avere esperienza, e forse avere anche sbagliato molto sull'argomento, così da sapere sulla propria pelle cosa si prova ad incontrare qualcuno che ti impedisce di lavorare (perché è troppo accondiscendente o perché è in grado di impedirti tutto per forza o esperienza maggiori).

In questo caso avremmo la possibilità di fare agli altri ciò che ci hanno fatto in passato, o decidere di comportarci con gli altri come avremmo voluto che si fossero comportati con noi: alla coscienza di ciascuno la scelta... l'esperienza indicherà a voi (ed ai vostri compagni!) qual è la scelta più appropriata.

Come uke agevoliamo i compagni perché con questa operazione li aiutiamo sul serio o solo perché non abbiamo voglia di serietà a nostra volta?

Come uke facciamo resistenza sempre e comunque perché ciò può aiutare il compagno a comprendere dove sbaglia o perché siamo incapaci di rimanere morbidi e ce la facciamo addosso di cadere con fluidità ed energia?


Una cosa è certa: "il troppo stroppia" si dice dalle nostre parti, e l'equilibrio e la coerenza non è di certo una caratteristica media di chi pratica Aikido... altrimenti che bisogno avrebbe di essersi immerso in questo studio di armonia ed equilibrio?