lunedì 28 maggio 2012

Aikido con uno "sconosciuto"

Quando il nostro "avversario" ci attacca, non lo può fare che toccandoci... a meno he non si limi a prenderci a sputi o parolacce...

E quando ci tocca, nel modo che egli probabilmente considera più efficace e lesivo, stabilisce suo malgrado una "relazione".
Il conflitto è infatti un caso veramente estremo ed interessante di relazione "sui generis", ma non per questo meno degno di questa definizione.

Teniamolo presente!

E' necessario non scordare ciò, poiché la prima reazione di chi viene attaccato solitamente è quella di volersi togliere dal pericolo, o sbarazzarsi dello scocciatore di turno... e se quindi agiamo in questa direzione, tenderemo ad interrompere noi stessi quella strana relazione che l'attaccante ha creato con il suo contatto.

"Eh, ma ha incominciato prima lui, che vuole da noi!?!"

Appunto: che vuole una persona che è spinta a intraprendere un'azione che la collega ad un'altra attraverso la violenza?

Cerca consensi? Difficile che ne trovi, insistendo su questa strada...

Tuttavia egli "attacca", termine non tando da intendersi come "lede" o "aggredisce"... quanto ciò che la parola stessa indica "SI ATTACCA", nel senso di "connette", "stabilisce un legame".

Lo fa con la violenza e non è da approvare un simile atteggiamento, ma probabilmente egli non vede al momento altre modalità per rapportarsi.

Solitamente chi è spinto da un raptus di aggressività ha la sensazione di vivere un momento nel quale si sente preda degli eventi - che probabilmente crede siano anche molto dannosti della sua identità o sicurezza - e che crede erroneamente di poter far terminare facendo esplodere un conflitto, magari anche fisico (ciò però è valido per ogni tipo di conflitto).

Il soggetto in questione si trova in una situazione di frustrazione che vede senza uscita e quindi pensa che facendo rumore, alzando la voce e le mani... in qualche modo la sua condizione possa cambiare o almeno evolvere... possa essere "ascoltato" nel suo bisogno...
Chi aggredisce, spesso lo fa secondo lo sciocco presupposto "mors tua, vita mea" ("la tua morte significa vita per me").

Ha ragione, evolve... ma non nel modo più costruttivo.
Troverà sulla sua strada chi si sente minacciato e vorrà rispondere "pan per focaccia", trincerandosi dietro al già visto motto: "Ma ha incominciato lui!".

Oppure troverà delle anime più succubi, che pur di farlo chetare, si piegheranno alle minacce o ai soprusi ricevuti.
Inutile dire che sia la capacità di gestire lo stress del nostro "aggressore modello", che la capacità di dare parola alle cause che lo hanno portato allo sbotto... non miglioreranno, né se lo si stroncasse di brutto con altrettanta aggressività, o lo si lasciasse agire indisturbato in modo troppo passivo!


Si può dire, in qualche modo, che egli stia "chiedendo aiuto"... e lo facccia in modo particolarmente difficile da comprendere: usando appunto un conflitto per manifestare il suo disagio.
Quindi "attacca" e stabilisce - a suo discutibilissimo modo - una connessione con noi.

Come ci poniamo nei suoi confronti a questo punto?

Sta vivendo una sorta di "incubo", nel quale ha la falsa sensazione che facendo la "guerra fuori da sé", potrà trovare pace alla sua incapacità di fare i conti con se stesso e con la frustrazione che lo tormenta.

E noi che facciamo se vediamo che una persona ha un incubo e si dibatte convulsamente?

Probabilmente cercheremo di svegliarla, piuttosto che ucciderla perché smetta di soffrire!

Anche perché se decidessimo di "stroncarlo" con una tecnica segreta del medioevo giapponese ("tanto ha incominciato lui"... e ciò ad un bambino dell'asilo pare dia notevoli diritti di reagire altrettanto stupidamente!) dovremmo anche riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni sul nostro futuro e sulla nostra serenità personale.

Dormiremo sonni tranquilli con la coscienza di ciò che abbiamo fatto?
Gireremo serenamente per le strade temendo vendette dai suoi amici e parenti?

La violenza contro la violenza ci pare non essere la soluzione più adatta alla trasformazione di un conflitto in qualcosa di più costruttivo, ma semmai l'ennesima dinamica di amplificare ancora più il problema iniziale.

E quindi cosa fare?!
Lo "sbarellato/frustrato/stressato" ci attacca e vuole farci passare un brutto quarto d'ora in preda al suo incubo/delirio ("meglio io che te"): dobbiamo forse assecondarlo?

Anche questa non sempre si rivela essere la soluzione migliore: se un pazzo viene assecondato, gli viene data l'ennesiama autorizzazione a procedere nella direzione distruttiva per sé e per gli altri nella quale solitamente un pazzo si muove.

Ma una soluzione sembra esserci però: è quella appunto favorita e propagandata dall'Aikido.

Quando l'avversario ci "tocca", dobbiamo ricordarci che - per un principio di transitività del contatto - anche noi lo stiamo toccando!

Non è quindi solo lui che tramite il LINK che si viene a creare è in grado di riversare nel nostro sistema tutta la sua aggressività repressa.

Noi possiamo utilizzare lo stesso canale di comunicazione per TRANQUILLIZZARE, BLOCCARE, RENDERE INOFFENSIVO il suo atteggiamento svalutativo o pericoloso.

Ma che questo non lo leda!
Se gli specchiassimo semplicemente addosso l'energia della sua stessa follia, probabilmente ciò potrebbe ferirlo o autodistruggerlo.

Ma così staremmo "sparando sulla crocerossa": uno viene da noi in preda ad un raptus perché incapace di gestire la sua stessa aggressività, e noi gliela riversiamo addosso!

"Le persone più difficili da amare di solito sono quelle che ne hanno più bisogno" [Dan Millman]


Ovvio che ci sta più simaptico chi si presenta con gentilezza ed un mazzo di fiori... eppure... eppure...

.. in un certo senso, è come se il nostro aggressore ci facesse un grande atto di fiducia nell'attaccarci: "Tieni, ti offro la mia energia, perché io non so gestirla ed è in grado di distruggere".

Quale migliore occasione educativa per mostrargli che con essa è invece possibile anche CREARE!

E come?!

Non ripagandolo con la stessa inutile moneta, ma nemmeno cedendo sconsideratamente alle sue assurde richieste: con il dono della presenza, insomma... pura, trasparente, profonda e partecipata ma non giudicante presenza.

Se dovessimo essere in grado di veicolare questo grazie alla bizzarra "relazione" che l'aggressore ha voluto stabilire con noi, avremmo fatto realmente Aikido, e del migliore che si vede in circolazione!

Nessun giudizio, piena presenza e capacità di guidare il suo impeto distruttivo in un luogo in cui esso non possa ledere né a lui, né a noi...



Non può che ringraziare chi riceve questo trattamento, ben improbabile che torni all'attacco!

Sono cose che si sentono e che vengono veicolate proprio da quella stranissima forma di relazione, di contatto, chiamato conflitto.

In quest'ottica non si può fare Aikido con qualcuno ritenuto troppo "sconosciuto"... per ignoto che sia, l'avremo trattato come la parte più nobile di noi stessi, accogliendolo, non giudicandolo ed aiutandolo a "svegliarsi" dal suo incubo.

Il contatto è capace di veicolare tutto ciò: e noi... cosa veicoliamo nel contatto che ci lega al nostro uke?

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