lunedì 30 aprile 2012

Aikido e l'agricoltura del "non fare"


Masanobu Fukuoka è il pioniere della agricoltura naturale o del "non fare".
Istruitosi come microbiologo in Giappone, ha iniziato la sua carriera come scienziato del suolo, specializzandosi nelle patologie delle piante.

A soli 25 anni cominciò a mettere in dubbio i preconcetti della scienza dell'agricoltura. Lasciò quindi il suo posto come ricercatore scientifico e tornò nella fattoria della sua famiglia nella isola di Shikoku, nel Giappone del sud, per coltivare mandarini, iniziando a dedicare la sua vita allo sviluppo di un sistema di agricoltura biologica ed eco-compatibile.

L'obbiettivo della sua ricerca fu quello di minimizzare il più possibile gli interventi dell'uomo sulla terra... entrando in competizione con le tecniche agricole tradizionali e moderne.
Nell'essenza il metodo di Fukuoka tenta di riprodurre quanto più fedelmente le condizioni naturali.

Il terreno non viene arato e la germinazione avviene direttamente in superficie, se necessario avendo preventivamente mescolato i semi con argilla e fertilizzante.
Nel terreno intatto, dove idealmente sono state fatte crescere piante poco invadenti che fissano l'azoto (es. trifoglio) impedendo lo sviluppo di infestanti, viene coltivata simultaneamente la coltivazione voluta.

Animali antagonisti vengono introdotti per combattere infestazioni (ad esempio carpe insettivore nelle coltivazioni di riso, o anatre per combattere le lumache).


Il terreno rimane sempre coperto riducendo cosi l'impoverimento per erosione superficiale e anche la mancanza di aratura o comunque di aereazione artificiale del terreno riduce la necessità di concimazione, in quanto i batteri che fissano l'azoto nel terreno sono anaerobi.


In Giappone il metodo di Fukuoka ha prodotto rendite per ettaro simili a quelli di tecniche che si avvalgano della chimica!

Si tratta di un metodo di coltivazione essenzialmente su piccola scala, particolarmente adatto a piccoli possedimenti, che si avvale più dell'attenzione al dettaglio che al lavoro intenso, richiedendo comunque esperienza ed una notevole abilità.

Il tempo totale di lavoro viene notevolmente ridotto fino all'80% rispetto ad altri metodi.

Le tecniche agricole moderne sembrano necessarie perchè l'equilibrio naturale dell'ecosistema è stato così profondamente alterato che la terra oggi non può più farne a meno.
Questa logica non vale solo per l'agricoltura ma anche per altri aspetti della società.

Il metodo della "non-azione" è basato su quattro principi fondamentali:



1- nessuna lavorazione, cioè niente aratura, né capovolgimento del terreno.
Per secoli, i contadini hanno creduto che l'aratro fosse indispensabile per incrementare i raccolti. Eppure non lavorare la terra è di fondamentale importanza per l'agricoltura naturale. La terra si lavora da sé grazie all'azione di penetrazione delle radici e all'attività dei microrganismi e della microfauna del suolo;



2 - nessun concime chimico o compost.
Ottuse pratiche agricole impoveriscono il suolo delle sue sostanze nutritive essenziali causando un progressivo esaurimento della fertilità naturale. Lasciato a se stesso, il suolo conserva naturalmente la propria fertilità, in accordo con il ciclo naturale della vita vegetale e animale;



3 - né diserbanti, né erpici.
Le piante spontanee hanno un ruolo specifico nella fertilità del suolo e nell'equilibrio dell'ecosistema. Come norma fondamentale dovrebbero essere controllate, non eliminate del tutto;

4 - nessun impiego di prodotti chimici.
Dall'epoca in cui si svilupparono piante deboli per effetto di pratiche innaturali come l'aratura e la concimazione, le malattie e gli squilibri fra insetti divennero un grande problema in agricoltura. La natura "lasciata fare" è in equilibrio perfetto. Insetti nocivi e agenti patogeni sono sempre presenti, ma non prendono mai il sopravvento fino al punto da rendere necessario l'uso di prodotti chimici. L'atteggiamento più sensato per il controllo delle malattie e degli insetti è avere delle colture vigorose in un ambiente sano.

Anche un praticante di Aikido potrebbe in parte ritrovarsi nei quattro principi suddetti ed in generale nella filosofia che sta alla base dell’agricoltura del “non fare”: spontaneità, seguire la natura, evitare di applicare forze esterne inutili e dannose rispetto all’energia che già ci viene fornita, dal terreno o dall'attacco di uke

Proprio per questi motivi probabilmente Morihei Ueshiba trovò delle affinità tra Aikido ed agricoltura, oltre al fatto che quest'ultima risulta essere una pratica altamente istruttiva, sana ed edificante se attuata in modo corretto - esattamente come l’Aikido.

Nella targa commemorativa apposta alla statua in onore di O' Sensei ad Iwama è espressamente menzionato il desiderio del Fondatore di unire ed integrare nella sua vita quotidiana l'Aikido e la coltivazione della terra, secondo il concetto di Bu-No-Ichiyo ("unità di Arti Marziali ed agricoltura").

La sua vita ad Iwama era infatti scandita proprio dal lavoro nei campi e l'allenamento nel Dojo.
Indubbio che l'attività fisica di agricoltore non poteva fare altro che mantenerlo in una forma ottimale per gli allenamenti... ma quanto apprendimento dal lavoro dei campi è stato poi "importato" sul tatami?

O' Sensei doveva essere un attentissimo osservatore di tutti i fenomeni naturali, quindi il suo muoversi è stato senza dubbio fortemente ispirato dal contatto diretto e prolungato con la natura stessa.

Ma qualcosa di molto profondo crediamo esista ancora da apprendere dai cicli naturali, così tanto importanti ed utilizzati nella nostra amata Arte:

- la respirazione, il ciclo dei cicli per eccellenza;
- la tendenza al non spreco ed all'ottimizzazione in cui la natura è maestra;

- la capacità di "seminare" e di cogliere a tempo debito i "relativi frutti", quando maturi...

... tutto ciò potrebbe portare un importantissimo insegnamento per ciascun Aikidoka e per l'Aiki-Società nella quale è inserito!

Oltre tutto, man mano che si pratica, si ha proprio la sensazione che ogni movimento sia sempre più aderente ad un principio naturale... preesistente, cosa assolutamente ritenuta assurda da un neofita ai suoi primi passi sul tatami!


Forse stiamo semplicemente seminando qualcosa "nel campo di noi stessi", ci impegnano a prendercene cura per tutta la durata dello sviluppo e della crescita del lavoro nato dalle nostre stesse "mani" (...e piedi, e testa, e cuore...) ed a mietere una qualche sorta raccolto... ancora in noi stessi.

Che l'Aikido sia proprio la "scienza agricola" di qualcosa di interiore?
Che Morihei Ueshiba, così come altri del passato, lo avesse ben chiaro?

Sicuramente osserviamo come di frequente è accaduto che grandi personalità si siano ritirate a vite alquanto spartane a contatto con la natura: era più una fuga dal mondo o una necessità di potersi fondere in modo ancora più completo con i cicli della natura?

A questo punto il dubbio ci sfiora... ma come sempre non siamo qui per trovare risposte, quanto buone domande sulle quali riflettere.


Se ne presenterà l'occasione quindi... buona "coltivazione" di voi stessi!

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