lunedì 24 marzo 2025

In Aikido, cosa viene prima?

All'inizio del mese, abbiamo ospitato l'Evolutionary Aikido Seminar, ed abbiamo avuto modo di riflettere, insieme a Patrick Cassidy Sensei, su alcune aree tematiche della pratica.

La domanda che ci siamo posti, e che volentieri giro a voi tutti è la seguente: in Aikido quali sono le 3 aree/cose più importanti da apprendere? Ed in quale ordine prioritario?

Ci sono le varie forme da rendere proprie, ma anche alcune qualità da acquisire per consentire alla propria pratica di essere sana, proficua e duratura... ecco quindi ciò che è emerso: tenetevi forte e preparatevi a notevoli inversioni di paradigma rispetto a cosa si è abituati a considerare...


1) UKEMI

Non solo intese come "cadute", ma piuttosto come "arte di ricevere con il proprio corpo", qualsiasi cosa... dall'energia del compagno al terreno mentre cadiamo, all'aria che respiriamo: più l'ukemi è sviluppata, maggiore sarà la nostra possibilità di ricevere e gestire attacchi potenti (mentre siamo tori), e più elevata sarà la probabilità di non ferirsi quando riceviamo una tecnica energetica (mentre siamo uke).

Le cadute sono di certo il primo ostacolo da superare per un principiante, quindi è abbastanza comune che vengano affrontate sin dagli inizi, però non tutte le Scuole e stili di Aikido conferiscono la stessa importanza allo studio di "ukemi": l'IwamaRyu, ad esempio, non ha una vero e propria didattica estesa e specifica su questo argomento... propone qualche esercizio per imparare le cadute più semplici, poi lascia al singolo praticante l'onore e l'onere di studiare il miglior modo di ricevere l'energia del partner in modo esperienziale... il che vuol dire talvolta apprendere come NON SI FA, dopo che ci siamo presi qualche randellata in faccia.

Ed è fuori dubbio che una volta si imparava praticamente SOLO in questo modo: quelli che sopravvivevano potevano portare avanti il movimento, con il dovere di rappresentare anche tutti quelli che erano caduti sul campo nel tentativo di fare la stessa cosa.

Oggi - per fortuna - non siamo più li: esistono metodologie molto ben sviluppate e didattiche distinte per OGNI tipologia di ukemi, ed in questo si vede come la tradizione può benissimo (forse DEVE!) sposarsi con l'innovazione; il tradizionalismo invece lascia fermi al palo, infatti fra le fila del'Iwama Ryu c'è anche molta gente che cade come un gatto di piombo e si fa malissimo!


2) BUKI WAZA

Le tecniche con le armi di solito vengono ritenute (a torto) qualcosa di collaterale da moltissime Scuole di Aikido, mentre rappresentano un vero e proprio CARDINE della pratica: suburi, kata, awase, kumijo, kumitachi, ken tai jo... sono mattoni essenziali per la comprensione delle tecniche a mani nude, un qualcosa da approcciare sin dall'inizio della propria esperienza.

Questo argomento (invece molto ben trattato nell'Iwama Ryu... vedi a volte il contrappasso!) è scarsamente considerato invece con l'importanza che merita: essendo però i movimenti del taijutsu praticamente TUTTI derivati da tecniche a mano armata, comprendete bene come lo studio di bokken e jo risulti fondamentale... e non qualcosa da fare a latere, quando si è già in possesso di una certa esperienza in Aikido (come invece molti tenderebbero a fare).

Esistono principi, come l'awase (armonizzazione), il timing, il ma-ai (spazio-tempo), l'irimi (entrata), il kime (decisione), la rilassatezza della parte superiore del corpo, la mobilità della parte inferiore dello stesso, l'integrazione del movimento fra centro/hara ed arti... che si studiano e si apprendono addirittura PRIMA nel buki waza che nel taijutsu.

Di certo è mancata storicamente una grossa opportunità di studiare questo aspetto direttamente dal Fondatore, che dal 1942 si ritirò ad Iwama e si dedicò proprio allo studio ed alla pratica dei riai (l'armonizzazione) fra buki waza e taijutsu. Ne abbiamo già parlato insieme molte volte...

Tuttavia, se questa possibilità non ci fu in passato, ORA è completamente a disposizione di chi vuole formarsi in modo completo (tradizionale, ma no tradizionalista), senza andare a scomodare strane koryu (scuole antiche) per imparare a tenere in mano un pezzo di legno!

Questo è un altro egregio esempio di come la nostra disciplina sia in grado di migliorare, completarsi ed integrarsi nel tempo: come la scienza dell'ukemi non fu sviluppata un tempo, ma lo è adesso... così il know-how del buki waza che è stato sviluppato un tempo, ma non fu facile accedervi ed era appannaggio di pochi, ora è a disposizione di CHIUNQUE voglia approfondire queste tematiche con dovizia di particolari!


3) TAI JUTSU

Sembrerebbe la parte dell'Aikido che lo ha reso celebre e diffuso nel mondo, ovvero le tecniche a mani nude, caratterizzate da movimenti ambi, eleganti, spiraliformi... con questi gonnelloni volanti che prima o poi hanno affasciano sicuramente sia chi scrive, che chi legge.

Ma il taijutsu è solo al 3º posto delle TRE aree che abbiamo messo in discussione quest'oggi... come mai?!

É strano che la maggior parte delle Scuole e degli stili di Aikido consideri quasi questo aspetto come il PIATTO UNICO della pratica, mentre ad un'analisi più accurati non lo risulti affatto!

Iniziamo proprio a considerare il 1º punto, ukemi: questa attitudine di solito viene sviluppata SOLO in funzione del taijutsu, come mediatico del non ferirsi durante le leve e le cadute... ma niente di più che questo.

Ukemi invece è qualcosa di molto più ampio: l'arte di ricevere è anche quella di permanere in buona salute fisica e poter quindi praticare a lungo, garantendo al corpo un buon invecchiamento ed il mantenimento di una buona tonicità e flessibilità.

L'Aiki taiso (ne abbiamo parlato QUI) punta nella stessa direzione di ukemi, e - tenendo conto del fatto che molti praticanti conducono vite sedentarie - risulta molto importante approcciarsi alla pratica nel modo migliore... altrimenti non possiamo lamentarci che la pratica ad un certo punto venga interrotta o che ci siano fasce d'età che sembrano non essere interessate all'Aikido.

Potrebbe dipendere dal fatto che - collettivamente parlando - non abbiamo ancora compreso l'ampiezza di ukemi? Io la butto li...

Ultima riflessione in merito: se proprio fosse solo questione di imparare a cadere, si cade nel buki waza esattamente quanto si cade nel taijutsu... poiché i riai (le armonizzazioni) consentono sempre di terminare gli esercizi con leve e proiezioni... ma si pratica così poco il buki waza che per la maggioranza dei praticanti questo aspetto è un vero tabù.

La preminenza data al taijutsu credo sia legata all'esigenza RELAZIONALE che sta emergendo dalla nostra società: la cinestesia generata da corpi che si toccano è forse considerato il tramite più semplice per canalizzare e veicolare una moltitudine di sensazioni reciproche, che altrimenti resterebbero sconosciute ed inesplorate.

Non essendo abituati a "toccarsi" in modo proficuo (pensate quanto è difficile ciò proprio per il popolo giapponese!), ovvio che questo aspetto della pratica è forse parso come ciò che mancava... ma il Fondatore credo sia stato un tantino più lungimirante di così.

Non credo abbia creato una disciplina che tappa i buchi e colma i bisogni più urgenti della società, ma che consente di sviluppare una nuova consapevolezza sull'essere al mondo ed occupare il proprio posto in mezzo agli altri.

In questo senso sarebbe quindi necessario riscoprire le reali preminenze dell'Aikido, prima di buttarsi a capofitto a studiare unicamente un suo aspetto, solo perché la maggioranza dei praticanti ha fin ora fatto così: forse questo ci imporrebbe di cambiare le modalità con le quali pratichiamo questa disciplina.

Raramente la maggioranza degli individui è stata il veicolo principale di saggezza e lungimiranza nella storia dell'umanità!

Sotto certi versi, secondo me con l'Aikido è come se avessimo confuso una macchina da corsa con un monopattino: abbiamo appena iniziato a scalfire la superficie di ciò che questa disciplina è in grado di donarci, ecco perché la pratichiamo così poco, così in pochi, e così "male"...

Per "male" intendo "senza coglierne le reali potenzialità", che non sono certo quello di far cascare a terra un'altra persona stortandogli un polso!

Facciamo ora l'ipotesi di lavoro che l'ordine di importanza dell'Aikido fosse realmente:

1) UKEMI

2) BUKI WAZA

3) TAI JUTSU

Quanto ne risulterebbe toccata la tua pratica?

Quanto dovrebbero cambiare le abitudini che hai sul tatami?

Quanto dovrebbero modificarsi le consuetudini più radicate nel tuo Dojo?


Sarebbe interessante che ciascuno si facesse questo esame di coscienza...


Marco Rubatto




lunedì 17 marzo 2025

Il 4º kumi jo, il jo che avanza e l'allineamento che manca

É ora di proseguire il nostro viaggio nel buki waza... e nello specifico con lo studio del 4º kumijo.

Un esercizio abbastanza semplice (almeno in apparenza), costituito di 3 soli movimenti, nei quali emerge con prepotenza l'applicazione di katate toma uchi, ovvero del 12º suburi di jo.

Sarebbe bene sempre avere esercizi applicativi di qualsiasi cosa studiamo, così da poter comprendere l'utilità di ciò che facciamo, specie in un confronto armato.

Vediamo innanzi tutto la sinossi dell'esercizio...

1-A) Uchijo attacca il suo compagno con uno tsuki chudan (partendo da hidari tsuki no kamae);

1-B) Ukejo si defila da questo attacco, spostandosi alla sua sinistra (partendo da hidari jo no kamae), e caricando il jo sulle spalle;


2-A) Ukejo esegue katate toma uchi, con l'intenzione di colpire la tempia sinistra del compagno;

2-B) Uchijo indietreggia e si para la tempia sinistra; ma si sposta così abbondantemente da far si che il fendente passi davanti a lui e non collida con il suo jo.

2-C) Ukejo avendo eseguito un colpo a vuoto, nasconde il jo dietro di sé, sulla parte sinistra del corpo (waki kamae)


3-A) Ora è uchijo a prendere l'iniziativa, poiché scorge un'apertura frontale del compagno, ed attacca con chudan tsuki;

3-B) Ukejo avanza diagonalmente con tsugi ashi e controlla il petto del compagno con jodan tsuki.


... tutto qui, ma guardiamolo in video che si fa prima!



Quali sono le caratteristiche MOLTO interessanti di questo esercizio?

Sono ALMENO 3... e provo a dettagliarle qui nel seguito.


Punto interessante nº 1

Il katate toma uchi che esegue ukejo è l'applicazione esplicita di un suburi di jo (il 12º come abbiamo detto poc'anzi), tuttavia vediamo un'apparente discrepanza nella sua modalità di esecuzione: quando l'esecuzione è un esercizio solitario, che serve a prendere manualità con il jo, è importante che questo venga afferrato al fondo dalla mano destra, infatti la traduzione letterale è "con una mano colpo lontano".

Ne segue che più la mano destra impugna il jo all'estremità, più lontano andrà il nostro fendente.

Lo vedete qui di seguito nel tutorial preparato a suo tempo per apprendere i movimenti di base...



Nel kumijo, tuttavia il jo non va afferrato all'estremità, ma occorre lasciare un piccolo spazio vuoto fra la mano destra e la fine del bastone: come mai?

Questa è una delle tipiche differenze che emergono quando si è consapevoli della differenza e della distanza che corre fra la teoria e la pratica!

Un po' la stessa differenza che passa fra come ci insegnano a guidare all'autoscuola e come invece si guida in mezzo al traffico di una città metropolitana...

Se infatti uchijo indietreggia parecchio - come previsto nella forma di base -, il nostro jo non andrà mai a collidere con la sua parata, quindi sarà sempre in grado di mantenere la traiettoria del suburi di base, che finisce dietro di noi, dopo essere stato ricevuto dalla mano sinistra.

Ma se il comportamento di questi fosse differente (e non non siamo mai in grado di saperlo a priori) ed indietreggiasse di meno, in questo caso il jo andrebbe a collidere con la sua parata, per effetto della quale verrebbe sbalzato verso l'alto e non riuscirebbe più a raggiungere la mano sinistra dietro a noi.

Questa comportamento di uchijo in combattimento può essere SCELTO, per far si che - mentre il nostro jo viene deflesso e svolazza - egli possa "toglierci un tempo" ed affondare lo tsuki al nostro fianco. In questo caso si parlerebbe di "kaeshi waza", ovvero di uchijo che approfitta di una nostra apertura per prendere il sopravvento su di noi.

A questo punto però ci viene in aiuto il piccolo pezzo di jo che "avanza" dalla nostra impugnatura: questi ci permette di riprendere la traiettoria del jo deflesso verso l'alto ed indirizzarla nuovamente verso uchijo (facendo nel mentre anche uno spostamento verso sinistra, che ci consente di evitare il suo tsuki al fianco), ed evitare il suo kaeshi waza.

Lo potete vedere rappresentato in questo video (al sec 45)...


Il fatto di "avanzare" un pezzo di jo nell'impugnatura - e quindi accettare il compromesso di poter colpire ad una distanza minore - ci offre la possibilità di fare fronte ad una eventuale risposta differente del nostro compagno, ed una marzialità matura dovrebbe SEMPRE prevedere che il nostro partner non si comporti secondo le nostre più rosee aspettative!

Ecco che un esercizio eseguito in un contesto di base (i suburi) prevede una cosa di poco differente rispetto a quando diventa uno strumento di connessione con il centro del nostro attaccante: la differenza fra "teoria" e "pratica" che si diceva prima, oppure lo scostamento fra pratiche di base (suburi) e pratiche più avanzate (kumijo).


Punto interessante nº 2

Al termine di ogni esercizio, in Aikido, si tende ad avere il proprio hanmi orientato con il piede avanti verso l'asse centrale del nostro compagno: si tratta di un principio, visto che la direzione del nostro piede avanzato indica dove stiamo mandando la nostra attenzione ed energia.

Ed ovviamente la nostra attenzione ed energia è tutta meritata nel centro del nostro partner.

Nel 4º kumijo tuttavia NON sembra così: l'hanmi finale diverge leggermente, quasi ad indicare un punto nella diagonale posteriore destra di uchijo... come mai?

Con estrema probabilità, O' Sensei ha coniato questo esercizio immaginandosi di non terminare l'azione al 3º movimento, ma di proseguirla con una proiezione del partner: questo negli anni è diventata una variante parecchio studiata, sebbene la forma di base si fermi all'esercizio esposto nel video sopra.

Potete vedere ciò che ho appena descritto nel video qui sotto (a 2 min e 05 sec)...



Un principio di base (l'hanmi verso il centro del compagno) non viene quindi disatteso, e sembra non esserci SOLO perché l'azione è interrotta, ma torna ad essere presente se invece viene portata fino al termine: sapevate questa cosa?


Punto interessante nº 3

Il 5º kumijo (che esamineremo nel dettaglio in futuro) è l'esercizio nel quale si vede applicato il suburi nº 11, ovvero katate gedan gaeshi (da perte di uchijo); abbiamo visto ora che il 4º kumijo è il luogo nel quale applicare il suburi nº12 (da parte di ukejo)... quindi la domanda spontanea è: dove si può vedere applicato il suburi nº13 (katate hachi no ji gaeshi), per completare lo studio - anche applicativo - di katate san bon?

Risposta... esiste una variante del 4º kumijo, che ho imparato frequentando per alcuni anni la Scuola di Hitoira Saito Sensei (Iwama Shin Shin Aiki Shuren Kai) che offre proprio questa possibilità.

Non so se sia una sua elaborazione nuova o se fosse qualcosa di antico "lasciato in soffitta" da Morihiro Saito Sensei, o addirittura da O' Sensei stesso... ma poco importa, poiché risulta in qualche modo sia geniale, che utile a parere mio.

Si tratta di eseguire katate hachi no ji gaeshi e quindi lo stesso finale del  kumijo, ma speculare rispetto alla sua forma di base; anche per uchijo si aggiungono 2 movimenti alla forma di base che abbiamo studiato poco sopra.

Trovate questa variante nel seguente video (a 1 min e 48 sec)...



Ed ecco che i nostri 3 semplici movimenti del kumijo diventano sempre meno banali, è possibile scriverli e riscriverli in un sacco di modalità differenti... ed infatti nei video su citati troverete almeno una DECINA di variazioni, sia jo no riai, (armonizzazioni con il jo), sia taijutsu no riai (armonizzazioni del corpo)

Cosa dire se proviamo poi ad unire il 4º kumijo con TUTTI gli altri kumijo codificati: trovate tutto in questo video...



Qui forse termina il ruolo che può avere un Blog ed i VIDEO, per quanto abbiamo cercato di renderli esplicativi... ed inizia il compito di trovarsi un Sensei che queste cose PRIMA le abbia studiate... e quindi sia in grado di spiegarle NORMALMENTE ai suoi allievi durante le lezioni al Dojo. Non è possibile prescindere da una buona guida!

E vedrete che, nel panorama Aikidoistico attuale, non sarà una cosa così banale trovare una simile figura... poiché è l'Aikido stesso a non essere banale, almeno così come alcuni Insegnanti lo vorrebbero.


Marco Rubatto







lunedì 10 marzo 2025

Aikido: l'8 m'arzo... e le 9 me risiedo?

É appena passato l'ennesima festa della donna e, visto il prolificare di eventi "marziali" di ogni tipo, dedicati alla difesa della donna, contro la violenza di genere, al diritto delle donne di fermare le violenze subite, etc... sento l'esigenza di fare alcune considerazioni su questo tema, ad oltre 17 anni dalla volta in cui ne abbiamo parlato insieme (trovate QUI il Post).

DISCLAIMER: siccome esprimerò un parere molto personale, comprendo bene che non sia facile che siano tutti d'accordo con me, tuttavia non siamo qui per "concordare", ma per crescere... quindi se ciò che scrivo vi fa troppo male, potrete sempre cliccare altrove, oppure chiedervi il perché generi in voi questa reazione...

Trovo veramente stomachevole, ipocrita ed assurdo che ai nostri giorni debbano ancora esserci occasioni per ricordarci l'importanza del gentil sesso, l'esigenza di non mancarle di rispetto, di evitare ogni forma di violenza su di esso... e così via!

Ed altrettanto stomachevole che il mondo cosiddetto "marziale" approfitti di un'occasione simile per riciclarsi in nuovo corsi acchiappa-citrulli ("citrulle", in questo caso).

Se la donna ha una sua sacralità, non dovrebbe essere un giorno del calendario a farcelo tenere a mente: preferirei un anno solare nel quale per 354 giorni si onora lo yin e chi si è fisicamente vestita di questa specifica polarità, pure sotto il punto di vista fisico... ed un giorno - l'8 marzo - nel quale non se ne parli proprio!

In questo caso, questo concetto sarebbe divenuto CULTURALE: nel caso in cui invece abbiamo bisogno del calendario per ricordarci di qualche valore... allora è segno che siamo distanti dall'averlo fatto veramente nostro.

Ma la stessa cosa dicasi per Natale, la festa dei defunti, San Valentino... ed altre amenità simili, che per me in una civiltà matura dovrebbero semplicemente SCOMPARIRE.

Che senso ha avere un giorno particolare in cui "siamo tutti più buoni", in cui "ricordiamo chi ci ha preceduto su questa terra", in cui "celebriamo l'amore verso il nostro partner"... se ciò fosse già la routine quotidiana? 

Buoni oggi e torniamo carogne domani?

Rispettosi oggi, per tornare oltraggiosi domani?

Capite l'assurdità dell'incoerenza e della manipolazione che facciamo su noi stessi? Stiamo ammettendo così il nostro infantilismo...

Abbiamo pure un giorno all'anno per celebrare valori importanti, come l'8 marzo, cosa volete di più: sono ben 24 ore, 1440 minuti, 86400 secondi all'anno per condannare qualsiasi sopruso che viene fatto su una donna.

Invece, negli altri 31.500.000 (trentun MILIONI e cinquecentomila) secondi all'anno facciamo un po' ciò che ci pare, vero?!

Per quanto concerne le iniziative prettamente "marziali" dedicate alla donna, temo di intravvedere lo stesso rischio di manipolazione ed inconcludenza.

La violenza (di qualsiasi genere) nasce SEMPRE quando non si hanno modalità più costruttive di esprimere un disagio: sotto questo punto di vista, il violento è la prima vittima di se stesso... prima ancora di essere il carnefice di qualcun altro!

Se poi questa violenza viene fatta a terzi, uomini o donne che siano, è segno che mentre qualcuno non è capace di esprimere il suo disagio in modo più costruttivo... c'è qualcun altro che crede di dover essere lo sfogo del disagio altrui, salvo poi lamentarsi di come questo impatta negativamente sulla propria esistenza.

Questi sono i prodromi.

Una donna che è vittima di violenza (di qualunque genere) è una persona che non ha chiaro il proprio valore ed il suo diritto a non essere il cestino dell'immondizia dei problemi altrui; e la stessa cosa accade quando la vittima di violenza è un uomo. Non ci sono quindi "colpe", ma precise responsabilità da assumersi.

Chi se ne frega del sesso di chi riceve soprusi?! Se sono da eliminare, sono da eliminare, NON solo una certa loro tipologia!

I luoghi comuni vedono le donne "più deboli" e quindi più facilmente vittimizzabili, ma questa è una storiella risibile almeno quanto falsa: le donne sono MUSCOLARMENTE forse più deboli degli uomini, ma psico-fisicamente molto più resistenti di questi ultimi, per mero esempio.

E se fossi più debole per via dei miei bicipiti NON andrei mai in un luogo nel quale mi insegnano a farmi rispettare contraendo o GONFIANDO i miei bicipiti!

Non è diventando "mascolina" che una donna può trovare rispetto dall'altro sesso, quanto comprendendo qual' è il suo posto nel mondo, il suo valore, significato e scopo. Insegnano queste cose i famosi "corsi di auto-difesa femminile"?

Direi di no (ne avrò visti una ventina negli ultimi 10 anni): insegnano come scappare ad una presa, come chiedere aiuto durante una violenza, quali punti dolorosi colpire al proprio aggressore.

Dal mio punto di vista, cioè, insegnano come asciugarsi i capelli per non prendere freddo... dopo che uno è semi affogato nel Mar Glaciale Artico. NON colgono nel punto, e non per mancanza di volontà, ma di strumenti specifici e del tempo necessario.

OGNI volta che una persona ha voluto fare una qualche forma di differenza con se stessa è dovuta ricorrere ad una disciplina, un percorso, spesso della durata di ANNI (se non decenni), grazie al quale è stato/a in grado di andare ad esaminare quegli aspetti (di natura perlopiù psico-fisica) che facevano scattare delle trappole dalle quali poi era complicato uscire (come quella della violenza).

Duro da accettare, ma la violenza SUBITA è una "malattia" paragonabile alla violenza INFERTA, non è meno grave, non implica meno responsabilità... ma questo è un aspetto che - per mero buonismo - facciamo fatica a considerare ed accettare. Ci pare che "accada", senza alcuna volontà da parte della vittima, ma perché abbiamo una scarsa consapevolezza del fenomeno che osserviamo.

Ed oltretutto NON è diventando VIOLENTI a nostra volta che si può eliminare la violenza: essa non va lasciata agire sin dell'inizio, non va "contrastata".

Noi siamo "contro" un sacco di cose al giorno d'oggi: la violenza, il cancro, l'immigrazione, il governo, l'obesità, i dazi... ma cosa accade quando mi metto CONTRO qualcosa?

O sono più forte io di ciò a cui mi metto contro, e - con un po' di prepotenza - lo BATTO, lo SCONFIGGO, lo ASFALTO (diventando però l'aggressivo che dico di voler "combattere"), oppure avrò la peggio: leggi questa cosa come "o perdo" o "vinco" in modo indegno, servendomi degli stessi metodi che desidererei vedere eliminati e che non approvo.

Evidente che si va incontro ad una falsa soluzione, no?

Devo invece andare alla RADICE del problema e chiedermi COSA veicola la violenza e quale incomprensione di fondo (di me e dell'altro) non è stata onorata a dovere: così si può rispondere alla violenza in modo nuovo, proattivo e - soprattuto - NON VIOLENTO a nostra volta.

E questa cosa non la si fa in una lezione di auto-difesa gratuita in occasione dell'8 marzo, ma in un percorso SCELTO, mediamente non breve, pure impegnativo, supervisionato da professionisti che vedo poco operare nei corsi di Arti Marziali più comuni.

Ci sono Insegnanti di Aikido (e di Arti Marziali, più in generale) che promuovo questi corsi dai quali non mi lascerei nemmeno allacciare la cintura bianca... da tanto che sono grezzi, ignoranti, incasinati per primi loro con loro stessi!

Poi il colmo è un corso di difesa per la donna diretto da un UOMO: ma mettici una DONNA che ha già imparato a farsi rispettare... così sarà un buon esempio e potrà insegnare ad altre come lei, no?!

Se mi venisse detto che questa cose servono a "sensibilizzare" sull'argomento - nuovamente - risponderei che la toppa è peggio del buco!

Se c'è da "sensibilizzare", significa che c'è ancora POCA consapevolezza... e se è così, è segno che queste cose è ancora necessario che accadano (per quanto sia tremendo): le cose essenziali ci vengono da dentro, non perché guardiamo il telegiornale (che risulta mediamente più una cozzaglia di pattume che altro).

Prendiamo ad esempio un altro ambito: è intelligente mettere un banchetto che pubblicizza cibo sano di fronte ad un MC Donald? Forse è possibile, ma pure INUTILE... perché se entri in un fast food è segno che il cibo sano non è esattamente la tua esigenza più impellente (almeno quel giorno)!

Un altro ambito ancora: è intelligente combattere la prostituzione arrestando di notte le ragazze nelle strade di periferia... senza agire sul vero problema, che è costituito dal numero ingente dei loro clienti? NO clienti, ZERO prostituzione... tanti clienti, di sicuro qualcuno troverà il modo di far spendere i loro soldi!

Analogamente: a cosa serve pubblicizzare, sensibilizzare la cultura del rispetto (su uomini o donne, il rispetto non ha sesso, né età) in una società che non sente ESIGENZA di rispetto, ma - anzi - si lascia volentieri irretire da abitudini che con il rispetto non hanno nulla a che fare?

Serve il femminicidio per far "svegliare" la popolazione al fatto che ci stiamo muovendo verso l'orlo di un precipizio sociale?

Così ci indigniamo tutti 10 minuti e poi ci giriamo dall'altra parte e ricominciamo a fare la vita di prima, senza nessun vero cambiamento sostanziale?

Sembrano domande sceme, ma se provassimo a rifletterci un attimo, comprenderemmo quanto sia imbecille offrire corsi che non servono a persone che non hanno ancora compreso di avere un problema...

Quindi forse non dovremmo fare nulla? C'è una soluzione? 

Si potrebbe iniziare da SCUOLA, dall'asilo forse addirittura... ed instillare una CULTURA del rispetto, che però è difficile, quanto scomoda: complicata perché va nella direzione opposta alla tendenza competitiva e materialista della nostra società... e scomoda perché se le persone avessero più cultura del rispetto - per primo quella del rispetto verso se stessi - sarebbero molto difficilmente manipolabili.

Ed a nessun Governo interessa avere cittadini poco manipolabili, anzi, più imbecilli sono e meglio si pascolano le proprie pecore. I Governi attuali (tutti) NON sono li per esprimere la volontà dei loro cittadini, ma per far si che i cittadini esprimano la volontà di chi li governa, così da avere l'autorizzazione a fare ciò che si vuole sulla pelle di questi ultimi. Ovvio che servano persone manipolabili!

Prendiamo ad esempio la pandemia: voi credete davvero che una persona che ha la cultura del rispetto (di sé) si lascerebbe vaccinare per legge (come è successo da noi agli over 50), essendo però anche obbligata a firmare un consenso che manleva da ogni responsabilità lo stesso Ente che l'ha obbligata?

Se è facoltativo le responsabilità me le devo assumere io, ma se mi obblighi le responsabilità te le becchi tutte tu. Noi siamo stati prima ricattati, poi lasciati soli nelle eventuali conseguenze: vi pare un modus operandi "rispettoso"?

Credete davvero che una società che ha la cultura del rispetto acconsentirebbe alla dinamica che per acquistare un telefonino o qualsiasi device si debba accettare incondizionatamente le policy della ditta costruttrice se poi si vuole essere in grado di usarlo?

Pensate sul serio che una persona che ha la cultura del rispetto (di sé) diverrebbe cliente di una banca o di una compagnia telefonica in grado di modificare a suo piacimento ed unilateralmente il contratto che è stato sottoscritto?

Questi sono tutti esempi presi dai campi più disparati, che però hanno in comune l'abuso di potere di una parte su un'altra, conseguente all'abitudine diffusa a non rispettare ed a non pretendere di essere rispettati: la violenza (sulla donna, sull'uomo, sugli animali o sulle piante) nasce da qui... dal diritto che si arroga qualcuno di poter ingerire su un altro essere senza farsi SCHIFO da solo... e senza che chi gli è attorno gli rimandi quando faccia schifo!

E si concluderebbe se l'altro essere gli dicesse un semplice "NO", con gentilezza, fermezza e determinazione allo stesso tempo: tutte le altre cose risultano un orpello.

Ma per avere FERMEZZA, GENTILEZZA e DETERMINAZIONE allo stesso tempo è necessario avere le idee ben chiare su cosa si può accettare e cosa ci risulta inaccettabile... ovvero avere CONSAPEVOLEZZA: ed è propio questa ora a mancare, e non il know how di uscire da una presa ai polsi!

E se propio vogliamo vederlo relativo ai sessi,  il problema risulta duplice e concatenato: le donne devono imparare a farsi rispettare e gli uomini ad essere rispettosi... è sciocco affrontarlo solo da un versate!

Al momento quindi non se ne esce, secondo me, anche perché non se ne vuole veramente uscire, collettivamente parlando: certo che veicolare messaggi relativi al rispetto fa di certo più bene che male, ma occhio a non fare la goccia di acqua pura in un oceano di immondizia... e poi lamentarsi che i propri sforzi non mostrano grandi risultati!

Il mio contributo è diverso, non so quanto significativo, ma sicuramente DIVERSO: porto avanti corsi per chiunque 365 giorni all'anno (o poco meno), nei quali la cultura del RISPETTO e la possibilità di esplorare se stessi va ben al di là di una giornata di attività gratuita, o del sesso di chi vi partecipa.

Ovvio che posso lavorare solo con chi è fortemente motivato a farlo, visto che ci vanno tempo, energie e risorse da dedicare... ma tanto con gli altri sono certo che funzionerebbe poco nulla...

Se poi i corsi di Aikido NON sono frequentati da donne, chiediamoci collettivamente il perché, oltre che fare degli open day glitterati rosa e fuxia, con pizzi e merletti...

Basta quindi "l'8 marzo = lotto e ti ammarzo", anche "l'8 m'arzo, e le 9 me risiedo": questa ginnastica non è mai stata utile a chi vuole affrontare sul serio il problema, ed anche rischiare di risolverlo.

La cultura del rispetto NON ha sesso e la consapevolezza si crea nell'ordinario, non un giorno all'anno e per una determinata fetta della popolazione.


Marco Rubatto



lunedì 3 marzo 2025

Evolutionary Aikido: il punto della situazione

É da un bel po' che non vi parlo più di un tema che ha cambiato profondamente la mia visione, la mia pratica e il mio modo di insegnare Aikido... correva infatti l'anno 2015 in cui sul Blog avevamo provato a descrivere il movimento al quale avevo scelto di appartenere fin dal 2003 (potrete leggere QUI l'articolo).

A 10 anni precisi da quel Post, sono in grado di portarvi l'esperienza maturata nel mentre e rimandarvi con più chiarezza di qualcosa che è iniziato nel passato, ma che ora sono ben cosciente che non finirà di occuparmi fino a quando mi dedicherò a questa disciplina... sto parlando dell'opportunità di crescere ed evolvere tramite la pratica dell'Aikido.

Apprendere attraverso le esperienze che facciamo sembrerebbe qualcosa di lapalissiano in qualsiasi disciplina praticata nel mondo... dalle Arti Marziali allo scopone scientifico, dalla matematica all'Ikebana... ma dedicarsi anima e corpo allo studio, alla pratica ed all'insegnamento dell'Aikido in modo tale che questa esperienza possa massimizzarsi è qualcosa di ancora troppo raro, secondo me.

L'Evolutionary Aikido è proprio questo: esiste una Community di Insegnanti internazionali Aikikai e di praticanti che si dedicano a studiare e promuovere ogni pratica utile ad acquisire consapevolezza sulla disciplina, sia utilizzando le metodologie più tradizionali, che attingendo a mani basse alle novità emergenti e più interessanti delle neuroscienze, della psicologia e di ogni altra attività umana volta alla scoperta si sé.

Questo può essere visto come un "tradimento" delle sacre tradizioni nipponiche, da parte di alcuni... ma vi posso testimoniare di prima pelle che funziona maledettamente!

Un tempo ero più impegnato a sentirmi parte di un movimento specifico, ad uno stile specifico, ad una Scuola o Ente ben definiti: ora invece sono più preoccupato che ciò che faccio possa risultarmi utile alla mia crescita personale e possa agevolare il cammino di tutti coloro che accanto a me hanno deciso di fare altrettanto.

"Evolutionary Aikido" è si un gruppo ben definito di persone, ma è anche un modo di organizzare una lezione o di condurre un Seminar, ad esempio.

Da ben 19 anni, organizziamo un evento internazionale a Torino, nel quale coinvolgo più che volentieri il mio Insegnante, Patrick Cassidy Sensei,dan Aikikai, il primo week end di ogni marzo.

Il fatto che questo processo sia in continua crescita è - ad esempio - testimoniato dalla rara dinamica di overbooking dei partecipanti già 2 mesi prima dell'evento stesso, nonostante NON lo pubblicizzi praticamente per nulla.

Quanti sono i Seminar di Aikido che fanno il "tutto esaurito" da quasi 2 decenni e richiamano ogni anno partecipanti da diverse nazioni estere?

Quest'anno, ad esempio, abbiamo avuto partecipanti provenienti da diverse regioni italiane... svizzeri, francesi ed irlandesi: la preparazione dell'evento parte già un mesetto prima, con la raccolta delle quote interne, la decisione delle pulizie e dei turni comuni durante quei giorni: è un bel lavoro di team, che di anno in anno ha aiutato molto a formare e forgiare una squadra di una ventina di persone, che ora sarebbe in grado di organizzare senza problemi persino il matrimonio del futuro Doshu...

Il Seminar è filato liscio come l'olio: certo... per molti potrebbe suonare strano un evento che non sia di carattere esclusivamente tecnico, ma in realtà è proprio questo l'enorme potenziale legato ad un simile e specifico tipo di ritrovo.

Ciascuno di noi è "fermo" in un luogo ed un tempo determinati e, oltre a prendere nuovi strumenti per lavorare su di sé (quelli prettamente di origine tecnica), è bene che possa esternare le proprie esigenze e tendenze nella pratica, in modo personale e non mediato.

Un Seminar che quindi preveda una notevole parte ESPRESSIVA di chi vi partecipa consente proprio questo processo individuale, che ovviamente è differente ed unico per ciascuno.

In quest'ottica si esce dall'esigenza di copiare il movimento dell'Insegnate o di considerare "giusto" o "sbagliato" ciò che si fa in base a quanto somiglia (o meno) a quanto ha fatto il nostro modello tecnico di riferimento. Nell'esprimere se stessi, un principiante prova le stesse difficoltà di un praticante più esperto... se questi non l'ha mai fatto in precedenza.

Una visione dell'Aikido NON più quindi basata necessariamente su ciò che è "di base" oppure "avanzato"... ma su ciò che sentiamo più o meno appartenerci, cosa sentiamo più o meno ispirarci nella pratica.

Questo modo di fare, intervallato anche con qualche momento tecnico di tipo più tradizionale è anche divenuto il format di quando insegno, sia nelle lezioni regolari al Dojo, sia nei Seminar in giro per il globo.

E, torno a dire, funziona stramaledettamente!

É un po' come imbandire una tavola e metterci sopra cibo di tantissime tipologie e provenienze differenti... e lasciare che i commensali scelgano da sé di cosa nutrirsi, in base alla loro fame, alle loro intolleranze o bisogni specifici. É possibile addirittura cucinare INSIEME il cibo più nutriente e appetibile a chi si relaziona con noi.

La pratica basata sulla ripetizione è UNA delle opportunità che l'Aikido ci offre, ma solo perché è la più diffusa non è sinonimo che sia sempre quella più adatta o più proficua: seguire invece una tematica trasversale e provare ad offrire stimoli che possano giungere al praticante sia da fuori (dall'Insegnante e dai colleghi di pratica), sia dall'interno (la propria coscienza) credo sia il modo migliore per conoscere qualcosa ed aumentare la propria consapevolezza.

La ripetizione è utile nel momento nel quale si è capaci di afferrare solo un piccolo particolare alla volta; immaginiamoci di dover riempire di acqua una vasca da bagno con un cucchiaio da minestra: facilmente necessiteremo di svariate ripetizioni, poiché dentro il cucchiaio di acqua ce n'è sta poca...

Ma quante volte dovremmo ripetere il movimento se dovessimo riempire una vasca da bagno avendo a disposizione tutta l'acqua del mare?

Forse nemmeno una! La vasca da bagno si riempirebbe, lasciando pressoché invariato il livello del mare...

Ecco, la coscienza lavora più o meno nello stesso modo: non aggiungendo ogni volta un'informazione che mancava, ma realizzando che da sempre sapeva sia cosa mancasse, sia come riempire quel vuoto.

Addirittura, ogni tanto la coscienza arriva a realizzare che ciò che percepivamo come vuoto era già PIENO, anche se non ce ne eravamo mai accorti prima!

In questo, la coscienza di un bambino o di un principiante sa come "riempire il vuoto" esattamente come la conosce la coscienza di un praticante più esperto: per la prima volta, i gradi NON risultano più lo spartiacque di chi è sul tatami.

E qual'è allora questo spartiacque? La qualità dell'intenzione di vivere il processo di evoluzione, crescita e cambiamento.

Non più una pratica nella quale il principiante ha tutto da imparare e l'avanzato ha tutto da ribadire, ma nella quale ciascuno si ingaggia nel processo di acquisizione di consapevolezza e riceve frutti proporzionalmente a questo coinvolgimento. Tutto semplicemente qui!

Questo processo va nella stessa direzione del 2º Principio della Termodinamica, ovvero quello di una grandezza (l'entropia, ma in questo caso "la coscienza") che aumenta sempre e che non può più tornare indietro. É come far uscire il dentifricio dal tubetto, o aprire una scatola piena di vermi: praticamente impossibile rimettere le cose nella condizione di partenza!

Per questa ragione le attività basate su un Aikido che cerca la sua stessa consapevolezza hanno MOLTO più successo di mere sessioni di allenamento tecnico (che hanno comunque il loro perché, ma SOLO alla luce della consapevolezza che a loro volta sono in grado di apportare): ripetere meccanicamente un pattern senza consapevolezza è come apparecchiare una tavola con 100 stoviglie, ma non mangiare mai nulla di significativo.

Ma siccome si tratta di un'attività basata sull'esperienza PERSONALE, non mi aspetto che tutti coloro che non l'hanno mai provata la comprendano solo leggendo queste poche righe... Sono invece più che certo che si ritroveranno in esse le ormai centinaia di Aikidoka che sono negli anni venute a contatto di questo "metodo senza metodo" di praticare!

Mettere in prima posizione la qualità del proprio stare sul tatami, il rispetto dell'integrità propria ed altrui (sia a livello fisico, che mentale), comprendere i meccanismi con i quali "la mente muove il corpo", oppure con i quali "il corpo muove la mente"... basarsi su una pratica psico-fisica tramite la quale alla fine del keiko stiamo MEGLIO, rispetto a quando abbiamo iniziato... con le articolazione sane, la mente più serena ed il cuore più pieno... è esattamente la direzione che percorriamo in ogni sessione dell'Evolutionary Aikido.

E già questo è veramente tanta roba: qualcosa ciò che dovrebbe sulla carta essere proprio di ogni modalità di pratica dell'Aikido, mentre sanno bene quanto tutto ciò non sia così comune le persone che calcano il tatami già da qualche tempo. 

Si pensa forse in modo errato che dietro ad un nome si debba per forza nascondere uno stile specifico di pratica, una didattica peculiare... ma siamo molto distanti dalla realtà: nel nostro caso abbiamo provato a caratterizzare solo la volontà di fare il prossimo passo verso noi stessi (ed il prossimo, in simultanea), facendoci custodi di ciò che per noi ha un valore da condividere e scegliendo, di volta in volta, ogni modalità possibile che ci permette di renderlo concreto e manifesto in un Dojo, così come nella vita quotidiana.

E funziona, ed è bello ed emozionante: perciò credo che sia il futuro... perlomeno il mio!


Marco Rubatto