lunedì 7 aprile 2025

Sumi otoshi e la Torre di Babele dell'Aikido

Abbiamo molti problemi a definire esattamente cosa sia l'Aikido... anzi, si tratta di una disciplina così poliedrica e polimorfica da mettere in disaccordo persino chi la pratica già, figuriamoci come dev'essere complicato trovare una sorta di definizione che la descriva a chi ancora non conosce nulla di questo mondo!

A questo proposito oggi vi invito a fare una semplice riflessione che riguarda la NOMENCLATURA TECNICA, ovvero quell'aspetto funzionale che tutti utilizziamo durante l'allenamento.

Scuole differenti utilizzano nomenclature diverse per indicare la stessa azione: una prima fonte di fraintendimento quindi è proprio questa, una sorte di Torre di Babele dell'Aikido... nella quale non siamo nemmeno d'accordo su come chiamare ciò che facciamo con il corpo.

É il caso di una tecnica chiamata [隅落とし] "sumi otoshi", che è rappresentata nel seguente video...



Sumi otoshi letteralmente significa "affondo d'angolo", ed è una delle 40 proiezioni originali del Judo, come lo sviluppò Jigoro Kano Sensei. Appartiene al 5º gruppo (gokyo), della lista delle proiezioni tradizionali del Judo Kodokan, classificata come "te waza", ovvero "tecnica di mano".

L'Aikido moderno l'ha fatta propria, utilizzandone il principio... ma è accaduta una cosa curiosa che ha distinto le varie Scuole e Stili.

Nell'Iwama Ryu, sumi otoshi è SOLO la tecnica rappresentata nel video precedente, e realizzata quasi SOLO dalla presa katatedori (gyakuhanmi), anche se - ovviamente - è possibile ottenerla praticamente da qualsiasi altro attacco.

In questo caso specifico, sumi otoshi costituirebbe lo 0,0001 per mille dell'Aikido: 1 attacco, 1 tecnica e stop... una cosina in fondo a destra e nulla più!

Altri stili di Aikido però hanno seguito un percorso differente ed hanno iniziato a chiamare "sumi otoshi" tutte quelle tecniche che utilizzano lo STESSO ANGOLO di sbilanciamento... eccone una breve carrellata video!







Ed avrei potuto continuare ancora a lungo...

L'elenco delle tecniche chiamate "sumi otoshi" diventa quindi piuttosto estesa: nell'Iwama Ryu TUTTE queste tecniche ESISTONO, ma vengono denominate semplicemente [呼吸投げ] kokyunage, come si fa con tutte quelle pratiche che non hanno un nome specifico.

Quindi, ad un ipotetico esame, un praticante di Iwama ti fa la tecnica mostrata nel 1º video, con presa katate dori gyaku hanmi, poi ti guarda come dire: "E cos'altro vuoi da me?!"

Gli altri invece continuano a profusione, visto che gli si apre un insieme di tecniche con quel nome. Non si tratta di cose che l'Iwamista non studi a sua volta e magari sappia anche, solo che le chiama in modo DIFFERENTE e quindi non gli viene in mente di mostrare.

E questo è solo un esempio di Babelismo Aikidoistico, ma ce n'è veramente molto altro...

- [腕絡み] ude garami (controllo dell'avambraccio) per alcuni, [十字絡み] juji garami (controllo a forma di 10) per altri;

- [肘極め投げ] hiji kime nage (proiezione sul gomito) per alcuni, [腕極め投げ] ude kime nage (proiezione dell'avambraccio) per altri;

- [六教] rokkyo (6º principio) per alcuni, [肘極め押さえ] hiji kime osae (controllo del gomito) per altri;

- [内回転三教] uchi kaiten sankyo (3º principio con rotazione interna) per alcuni, una semplice forma variante di sankyo per altri;

- [内回転投げ] uchi kaiten nage per alcuni, [回転投げ内回り] kaiten nage uchi mawari per altri;

- [外回転投げ] soto kaiten nage per alcuni, [回転投げ外回り] kaiten nage soto mawari per altri;

- [腰投げ頭をいれる] koshinage atama wo ireru per alcuni, [✢✿⊅∩⨊🐼♞] "che caxx hai detto?!" per altri.


Queste macro differenze nascono da evoluzioni storiche e consuetudini locali che NON creano problema ad un madrelingua giapponese, in quanto ci si sta esprimendo semplicemente nel suo idioma natio e quindi questi comprende cosa si intende sottolineare in OGNI caso... fanno la differenza invece per NOI, che mediamente NON sappiamo il giapponese... e che capiamo male i suoni che a sua volta ha capito male il nostro Sensei dal suo.

Non ci chiediamo molte cose, ma tendiamo a creare dei contenitori stagni, nei quali depositiamo un fonema e chiudiamo a chiave, visto che lo usiamo per distinguere le forme a livello locale: poi CHISSENE se non ci si capisce con gli "altri"... che manco so che esistono e con i quali manco ho necessità di andare d'accordo!

Assumiamo quindi modalità e mentalità "locali", che funzionano all'interno di un Dojo o di una Scuola di pratica... ma che sono disfunzionali se guardate nell'ottica dell'intero panorama Aikidoistico.

In realtà, il nostro movimento è relativamente GIOVANE, poiché se osserviamo le discipline che ci hanno preceduto, hanno già quasi tutte concordato una sorta di "nomenclatura di base", che consente proprio di potersi comprendere almeno all'INTERNO del movimento stesso.

E i giovani non è detto che siano saggi o lungimiranti: si lamentano magari di quanto sembra dura la loro esistenza, ma non sempre fanno qualcosa di concreto per migliorarsela!

Come si supera questo impasse?

Posso solo raccontarvi come lo abbiamo superato in Federazione, con una proposta che feci nel 2017, e che ora sembra stia funzionando alla grande: si tratta di approfondire un po' di più la nomenclatura di macro categorie di base, condivise da tutti gli stili e Scuole. Ad esempio...

[固め技] katame waza: tecniche di immobilizzazione

- [投げ技] nage waza: tecniche di proiezione

- [武器技] buki waza: tecniche di armi

Si rimane VOLUTAMENTE sul generico, ma iniziando a definire alcuni aspetti di massima, che accomunino tutti i praticanti: kuzushi (sbilanciamento), awase (armonizzazione), ma-ai (distanza spazio-temporale)... non è che ci sia un Aikidoka in grado di prescindere da questi elementi!

Indipendentemente dalla sua provenienza e dalla sua esperienza, intendo...

E così è nato il "Programma Tecnico Unificato", che vi potrete scaricare dal sito federale (QUI), e che consente a praticanti di stili differenti di dare gli esami insieme... e CAPIRSI!

Ovvio che non sia possibile entrare troppo nella specificità delle pratiche caratteristiche delle singole Scuole, ma ikkyo è ikkyo... e di solito si fa sul gomito, non sulle orecchie!

Perciò, se costruiamo una sorte di "Stele di Rosetta", grazie alla quale ciò che faccio io viene "tradotto" con i termini di ciò che fai tu, il movimento (inteso come "disciplina", non solo cosa fare con il corpo) può iniziare a RICONOSCERSI e darsi un mutuo supporto.

L'esperimento dell'Esperanto è fallito a livello sociale, ma in Aikido le cose possono andare diversamente, perché NON stiamo creando una "lingua nuova per tutti", ma stiamo utilizzando un meta-linguaggio (il giapponese) che - almeno in occidente - troppo pochi hanno approfondito a dovere.

E come decifriamo meglio questo meta-linguaggio, attraverso di esso iniziamo a poter comunicare nuovamente!

Semplice? SI!

E perché non lo abbiamo fatto prima?!
Perché non mancava la possibilità di farlo, ma la voglia ed un'intenzione chiara a poter andare di comune accordo... e di questo ne sono sempre più convinto.

I cambiamenti che si rivelano migliorativi ed i passi più importanti di una persona, così come di una disciplina, partono sempre da PICCOLI PASSI: fra i primi di essi c'è proprio quello di creare un "vocabolario condiviso", con il quale parlare di ciò di cui vogliamo parlare insieme.

Mi pare una cosa di una banalità estrema!

Quindi vogliamo fare grandi cose per l'Aikido, per aumentare il numero dei suoi praticanti... e poi non siamo nemmeno ancora stati in grado di dotarci di un alfabeto comune e sufficientemente condiviso.

Quando cerchiamo i responsabili dei peggiori problemi dei quali soffriamo, dovremmo guardare in uno specchio!


Marco Rubatto






lunedì 31 marzo 2025

Il pettegolezzo che distrugge un Dojo

Negli anni ho trovato una pratica che fa più danni di rokkyo e ganseki otoshi messi insieme: "il pettegolezzo"... si tratta di qualcosa che è realmente in grado di distruggere tanta buona volontà e lavoro serio in pochi istanti, quindi mi pare il caso di affrontare l'argomento e parlarne in modo piuttosto dettagliato.

La relazione docente-discente è qualcosa che è vivificata dalla fiducia reciproca, e così dicasi anche per le relazioni fra pari (docente-docente, discente-discente): questa sono le persone che di solito creano un gruppo di lavoro, un team, un Dojo o una community di qualsiasi tipo.

All'interno di questo insieme, una comunicazione trasparente risulta una dinamica di grande supporto per i propri membri, esperti o alle prime armi che siano.

Tuttavia un tale tipo di comunicazione non è per nulla facile da mantenere, perché è frequente ci siano aree nelle quali essere diretti può risultare complicato, talvolta urticante... a volte si teme di offendere le persone alle quali ci rivolgiamo, oppure semplicemente non abbiamo il coraggio e/o la forza di affrontare la possibilità di disappunto e contrasto altrui.

Allora, da che mondo e mondo (e così anche nei gruppi che praticano Aikido), le nostre "sofferenze" non andremo necessariamente a esprimerle nel luogo più adatto, ma in quello che ci sembra più comodo, o - come minimo - meno pericoloso.

Se durante una lezione il Sensei, un Senpai o semplicemente un compagno di pratica attua un comportamento che non ci va a genio, o dice una cosa che ci vede discordi ... credete sia più facile affrontare la cosa vis a vis, con il diretto interessato ("volevo dirti che non mi è piaciuto come mi hai trattato"...), oppure inizieremo a parlarne PRIMA con il nostro compagno di pratica preferito, quello con il quale è nata amicizia e feeling?

E se (o quando) la cosa diventasse ancora più fastidiosa, ci limiteremo a "confessare" i nostri problemi con il nostro amico/a preferenziale... o inizieremo un vero e proprio "sondaggio" dietro le quinte, alla ricerca di altre persone che potrebbero pensarla come noi, al fine di tastare il polso della nostra micro-collettività, ed al limite ingrossare le fila della protesta per avere più voce in capitolo, nel momento in cui la cosa dovesse essere discussa in modo esplicito?

Se il Senpai XYZ mi tratta male, ma credo sia solo un MIO problema... facilmente lo terrò per me, non mi oserò dirgli nulla ed inizierò ad evitare ogni rapporto, o a somatizzare ogni contatto che sarò costretto ad avere con chi non apprezzo particolarmente; dal momento in cui, invece, dovessi rendermi conto che 2/3 dello spogliatoio la pensa esattamente come me... beh, allora in questo caso mi sentirei più forte, e mi parrebbe che ciò cambi le cose.

Davanti al Senpai potrei dire: "Guarda che non mi piace come mi tratti... e non piace nemmeno ai restanti 2/3 del nostro gruppo, quindi NON è solo un mio problema!".

Questa dinamica è abbastanza comune, e direi anche umanamente comprensibile: il punto però non è questo, ma che per arrivare ad avere "il gruppo dalla nostra" ci sarà già stata una forma di scissione, uno schieramento... fra chi la pensa come "noi" (e fa bene) e chi invece no (e fa male).

Questo risultato è ottenibile SOLO con una rapportazione NON trasparente, talvolta basata sul GOSSIP ("lo sai dove lo hanno visto la sera scorsa? Sembra che andasse a donnacce...!"), o comunque sulla manipolazione che permette a qualcuno di "raccimolare" il seguito che gli occorre per sentirsi in una posizione più forte rispetto alla questione che non ha avuto il coraggio di affrontare in modo DIRETTO... e quando era ancora PICCOLA, aggiungerei anche!

Questa è una dinamica in grado di mandare veramente a PEZZI qualsiasi gruppo organizzato, per alti e nobili che potessero essere le sue prospettive e scopi.

Ed ha livelli di gravità differenti, a seconda di chi prova ad adottarla: faccio qualche esempio...

Sono un principiante, entro in un Dojo è non so proprio nulla del mondo dell'Aikido, del Giappone e di tutte le altre cose a mandorla che facciamo noi più o meno quotidianamente da anni. Alla 1º difficolta (o a alla 2º), facilmente cercherò di confrontarmi con le persone con le quali ho legato di più, che non necessariamente saranno le più sagge, le più autorevoli... o quelle con le quali la problematicità è sorta.

É naturale che accada: voglio sapere se il problema sono io, oppure esiste realmente e ci sono finito dentro senza volerlo!

A questo punto, se il compagno al quale faccio una confidenza mi dovesse indirizzare nel migliore dei modi, dicendomi: "Ne hai già parlato col diretto interessato?", oppure "Ne hai già parlato con il Sensei?"... ecco che mi indicherebbe la via più diretta per risolvere i miei problemi o mi indirizzerebbe almeno verso chi potrebbe aiutarmi a risolverli.

Se accetta la confidenza (al di là di sentirsi importante, il prescelto, il confessore del gruppo), sta diventando CONNIVENTE di una rapportazione NON diretta, NON chiara e NON supportante né chi ha il problema, né dell'armonia che stiamo cercando di creare fra le persone.

Pensate cosa accade quando a comportarsi in modo non trasparente è proprio un Senpai, se non addirittura il Sensei stesso?! Qui le cose prendono una piega ancora più malata.

Se sento un Senpai o il Sensei sparlare di qualcuno, senza che questo qualcuno sia presente ed abbia la possibilità di controbattere... in un istante si svampano tutte quelle belle storielle sulla lealtà, la sincerità, l'onore ed il rispetto!

Inoltre potrei chiedermi: "Ma se dice questo di Tizio, quando lui non c'è... cosa dirà di me, quando sono io quello assente?!"

Sarebbe perlomeno normale avere questo pensiero, non è così!?

Beh, qui viene minata ogni forma di FIDUCIA di chi percorre insieme una strada, anche irta di prove e difficoltà!

E guardate che NESSUNO si infila in questo gineprai scegliendolo in modo consapevole: immaginiamo cosa accade quando nel gruppo si lasciano 2 persone che prima stavano insieme, che abbiamo conosciuto come partners... e che ora non lo sono più (è successo quasi una decina di volte nel mio Dojo): il gruppo da SUPPORTO ad entrambi i suoi membri, o si creano le frazioni "pro" uno e "contro" l'altro?

Quando qualcuno ci chiede di schierarci dalla sua parte, abbiamo il coraggio di fare la scelta più matura e non quella che non ci crea meno problemi o imbarazzo nell'immediato?

Immaginate questa situazione...

Ci sono i test per il passaggio di grado al Dojo... voi siete i Senpai di chi sta sostenendo l'esame, e vi accorgete che un candidato non sta facendo ciò che - ai vostri occhi - è una prova degna di tale nome... ci va un attimo a pensare: "Quando l'ho fatto io, l'ho fatto meglio... ero più preparato di lui/lei!". Forse è umano "misurarsi" prendendo un'altra persona come riferimento (per quanto questo atteggiamento non c'entri un tubo con l'Aikido).

Criticare può anche essere un valore aggiunto, perché vuol dire che pensate con la vostra testa: ma, dopo questa considerazione, cosa fate...

1) La tenete per voi?

2) Andate dal Sensei e gli chiedete ragione di quello che ritenente essere un calo di pretese nei confronti dei candidati? (così da dargli modo di spiegarvi i suoi perché di tale atteggiamento)

3) Andate a spettegolare con qualcun altro del gruppo qualcosa di simile a "Il Sensei si è ammosciato, una volta era molta era molto più severo ed uno così ai miei tempi lo avrebbe bocciato!"

La 1) è forse la più rinunciataria, da attuare SOLO se questa cosa non vi ha turbato nel profondo; la 2) è l'atteggiamento più coraggioso e MATURO, poiché se non siete d'accordo con qualcosa è SANO che lo facciate presente e vi assumiate la responsabilità di ciò che pensate (compreso anche l'impatto di ciò che vi potrebbe essere risposto!)

La 3) è la più comoda e deleteria per un gruppo, invece. Si cercano "alleati" per far entrare dalla finestra ciò che non riuscite a comunicare dalla porta principale: questo atteggiamento crea "sotto-gruppetti" che vivono nella penombra, tipo gli scarafaggi... e che ufficialmente non dissentono mai, anche se hanno una certa dose di malcontento che serpeggia dentro.

Di solito quest'ultimo atteggiamento è anche il responsabile delle SCISSIONI dei gruppi e delle persone che abbandonano il Dojo sbattendo la porta. Sembra incredibile, ma è così!

Una volta non sono d'accordo sull'andamento degli esami, non lo manifesto, spettegolo un po', ma mando giù...

Un'altra volta non sono d'accordo con ciò che viene proposto a lezione, ma non lo manifesto, spettegolo un po', ma mando giù...

Un'altra volta ancora sono contrariato dall'atteggiamento che qualcuno ha tenuto con me o con qualcun altro del gruppo: non lo manifesto, spettegolo un po', e mando ancora giù.

Capite bene che questa continua "somatizzazione" fa si che, ad un certo punto, la misura sia colma e si esploda... anche malamente, in una sorta di "ribellione generale", che mi impedisce di ingoiare le mie difficoltà per l'ennesima volta.

A questo punto, il disagio non potrà essere più nascosto, ma non si avranno le proprie parole migliori per discuterne con chi di dovere: questi (ignaro di tutto ciò che è accaduto all'interno della persona che gli sta dinnanzi) si vedrà piovere tonnellate di problemi misti a cacca, inaspettatamente ed all'improvviso... e si renderà conto di dover risolvere questioni spinose, delle quali nemmeno sospettava l'esistenza.

Il Senpai, il Sensei o il Responsabile di turno non sarà messo quindi nella condizione migliore per operare, e potrebbe andare sulla difensiva, ad esempio rimproverando: "Ma perché non me l'ha detto prima?!"

La persona che invece non è mai stata chiara nella comunicazione sarà letteralmente alla frutta con la sua pazienza, della quale ha abusato troppo in passato: non sarà disposta a sopportare un grammo di più, dimenticandosi che è stato propio il suo atteggiamento ambiguo a ridurlo in quello stato.

E così tutti volevano agire per il meglio (di tutti), ma alla fine l'incomprensione prende il sopravvento e manda a gambe all'aria anche degli ottimi progetti e delle promettenti partnership!

Come si evita tutto ciò?

NON è possibile evitare il fenomeno, in sé... ma è invece fattibile creare "zone cuscinetto", che servono a raccogliere un disagio, a farlo emergere e - così facendo - a ridurne (se non addirittura azzerarne) la portata distruttiva, trasformandolo in un'occasione di crescita collettiva.

Questo è fare Aikido con la vita, altro che limitarsi ad un buon kotegaeshi...!



Una comunicazione TRASPARENTE, per quanto sia complicata da instaurare nei momenti più delicati, risulta un ottimo supporto per tutti i membri della community... dall'ultimo neofita, al Sensei stesso.

Non solo i neofiti, infatti, hanno dei problemi/disagi che fanno fatica a manifestare: immaginate il caso diametralmente opposto, ovvero quello di un Insegnante che ha BISOGNO di chiedere aiuto ai propri allievi rispetto ad una problematica che sta vivendo, ma non lo fa perché teme di essere visto nella sua fragilità, di perdere credibilità verso i suoi discenti... perché è orgoglioso, o semplicemente perché si vergogna...

Nulla di più inutile; la comunicazione TRASPARENTE serve in ogni caso e ad ogni livello della scala gerarchica: comprenderlo prima possibile ci metterà al sicuro da spiacevoli fallimenti nei rapporti ai quali tanto teniamo e sui quali puntiamo e facciamo affidamento.


Marco Rubatto




lunedì 24 marzo 2025

In Aikido, cosa viene prima?

All'inizio del mese, abbiamo ospitato l'Evolutionary Aikido Seminar, ed abbiamo avuto modo di riflettere, insieme a Patrick Cassidy Sensei, su alcune aree tematiche della pratica.

La domanda che ci siamo posti, e che volentieri giro a voi tutti è la seguente: in Aikido quali sono le 3 aree/cose più importanti da apprendere? Ed in quale ordine prioritario?

Ci sono le varie forme da rendere proprie, ma anche alcune qualità da acquisire per consentire alla propria pratica di essere sana, proficua e duratura... ecco quindi ciò che è emerso: tenetevi forte e preparatevi a notevoli inversioni di paradigma rispetto a cosa si è abituati a considerare...


1) UKEMI

Non solo intese come "cadute", ma piuttosto come "arte di ricevere con il proprio corpo", qualsiasi cosa... dall'energia del compagno al terreno mentre cadiamo, all'aria che respiriamo: più l'ukemi è sviluppata, maggiore sarà la nostra possibilità di ricevere e gestire attacchi potenti (mentre siamo tori), e più elevata sarà la probabilità di non ferirsi quando riceviamo una tecnica energetica (mentre siamo uke).

Le cadute sono di certo il primo ostacolo da superare per un principiante, quindi è abbastanza comune che vengano affrontate sin dagli inizi, però non tutte le Scuole e stili di Aikido conferiscono la stessa importanza allo studio di "ukemi": l'IwamaRyu, ad esempio, non ha una vero e propria didattica estesa e specifica su questo argomento... propone qualche esercizio per imparare le cadute più semplici, poi lascia al singolo praticante l'onore e l'onere di studiare il miglior modo di ricevere l'energia del partner in modo esperienziale... il che vuol dire talvolta apprendere come NON SI FA, dopo che ci siamo presi qualche randellata in faccia.

Ed è fuori dubbio che una volta si imparava praticamente SOLO in questo modo: quelli che sopravvivevano potevano portare avanti il movimento, con il dovere di rappresentare anche tutti quelli che erano caduti sul campo nel tentativo di fare la stessa cosa.

Oggi - per fortuna - non siamo più li: esistono metodologie molto ben sviluppate e didattiche distinte per OGNI tipologia di ukemi, ed in questo si vede come la tradizione può benissimo (forse DEVE!) sposarsi con l'innovazione; il tradizionalismo invece lascia fermi al palo, infatti fra le fila del'Iwama Ryu c'è anche molta gente che cade come un gatto di piombo e si fa malissimo!


2) BUKI WAZA

Le tecniche con le armi di solito vengono ritenute (a torto) qualcosa di collaterale da moltissime Scuole di Aikido, mentre rappresentano un vero e proprio CARDINE della pratica: suburi, kata, awase, kumijo, kumitachi, ken tai jo... sono mattoni essenziali per la comprensione delle tecniche a mani nude, un qualcosa da approcciare sin dall'inizio della propria esperienza.

Questo argomento (invece molto ben trattato nell'Iwama Ryu... vedi a volte il contrappasso!) è scarsamente considerato invece con l'importanza che merita: essendo però i movimenti del taijutsu praticamente TUTTI derivati da tecniche a mano armata, comprendete bene come lo studio di bokken e jo risulti fondamentale... e non qualcosa da fare a latere, quando si è già in possesso di una certa esperienza in Aikido (come invece molti tenderebbero a fare).

Esistono principi, come l'awase (armonizzazione), il timing, il ma-ai (spazio-tempo), l'irimi (entrata), il kime (decisione), la rilassatezza della parte superiore del corpo, la mobilità della parte inferiore dello stesso, l'integrazione del movimento fra centro/hara ed arti... che si studiano e si apprendono addirittura PRIMA nel buki waza che nel taijutsu.

Di certo è mancata storicamente una grossa opportunità di studiare questo aspetto direttamente dal Fondatore, che dal 1942 si ritirò ad Iwama e si dedicò proprio allo studio ed alla pratica dei riai (l'armonizzazione) fra buki waza e taijutsu. Ne abbiamo già parlato insieme molte volte...

Tuttavia, se questa possibilità non ci fu in passato, ORA è completamente a disposizione di chi vuole formarsi in modo completo (tradizionale, ma no tradizionalista), senza andare a scomodare strane koryu (scuole antiche) per imparare a tenere in mano un pezzo di legno!

Questo è un altro egregio esempio di come la nostra disciplina sia in grado di migliorare, completarsi ed integrarsi nel tempo: come la scienza dell'ukemi non fu sviluppata un tempo, ma lo è adesso... così il know-how del buki waza che è stato sviluppato un tempo, ma non fu facile accedervi ed era appannaggio di pochi, ora è a disposizione di CHIUNQUE voglia approfondire queste tematiche con dovizia di particolari!


3) TAI JUTSU

Sembrerebbe la parte dell'Aikido che lo ha reso celebre e diffuso nel mondo, ovvero le tecniche a mani nude, caratterizzate da movimenti ambi, eleganti, spiraliformi... con questi gonnelloni volanti che prima o poi hanno affasciano sicuramente sia chi scrive, che chi legge.

Ma il taijutsu è solo al 3º posto delle TRE aree che abbiamo messo in discussione quest'oggi... come mai?!

É strano che la maggior parte delle Scuole e degli stili di Aikido consideri quasi questo aspetto come il PIATTO UNICO della pratica, mentre ad un'analisi più accurati non lo risulti affatto!

Iniziamo proprio a considerare il 1º punto, ukemi: questa attitudine di solito viene sviluppata SOLO in funzione del taijutsu, come mediatico del non ferirsi durante le leve e le cadute... ma niente di più che questo.

Ukemi invece è qualcosa di molto più ampio: l'arte di ricevere è anche quella di permanere in buona salute fisica e poter quindi praticare a lungo, garantendo al corpo un buon invecchiamento ed il mantenimento di una buona tonicità e flessibilità.

L'Aiki taiso (ne abbiamo parlato QUI) punta nella stessa direzione di ukemi, e - tenendo conto del fatto che molti praticanti conducono vite sedentarie - risulta molto importante approcciarsi alla pratica nel modo migliore... altrimenti non possiamo lamentarci che la pratica ad un certo punto venga interrotta o che ci siano fasce d'età che sembrano non essere interessate all'Aikido.

Potrebbe dipendere dal fatto che - collettivamente parlando - non abbiamo ancora compreso l'ampiezza di ukemi? Io la butto li...

Ultima riflessione in merito: se proprio fosse solo questione di imparare a cadere, si cade nel buki waza esattamente quanto si cade nel taijutsu... poiché i riai (le armonizzazioni) consentono sempre di terminare gli esercizi con leve e proiezioni... ma si pratica così poco il buki waza che per la maggioranza dei praticanti questo aspetto è un vero tabù.

La preminenza data al taijutsu credo sia legata all'esigenza RELAZIONALE che sta emergendo dalla nostra società: la cinestesia generata da corpi che si toccano è forse considerato il tramite più semplice per canalizzare e veicolare una moltitudine di sensazioni reciproche, che altrimenti resterebbero sconosciute ed inesplorate.

Non essendo abituati a "toccarsi" in modo proficuo (pensate quanto è difficile ciò proprio per il popolo giapponese!), ovvio che questo aspetto della pratica è forse parso come ciò che mancava... ma il Fondatore credo sia stato un tantino più lungimirante di così.

Non credo abbia creato una disciplina che tappa i buchi e colma i bisogni più urgenti della società, ma che consente di sviluppare una nuova consapevolezza sull'essere al mondo ed occupare il proprio posto in mezzo agli altri.

In questo senso sarebbe quindi necessario riscoprire le reali preminenze dell'Aikido, prima di buttarsi a capofitto a studiare unicamente un suo aspetto, solo perché la maggioranza dei praticanti ha fin ora fatto così: forse questo ci imporrebbe di cambiare le modalità con le quali pratichiamo questa disciplina.

Raramente la maggioranza degli individui è stata il veicolo principale di saggezza e lungimiranza nella storia dell'umanità!

Sotto certi versi, secondo me con l'Aikido è come se avessimo confuso una macchina da corsa con un monopattino: abbiamo appena iniziato a scalfire la superficie di ciò che questa disciplina è in grado di donarci, ecco perché la pratichiamo così poco, così in pochi, e così "male"...

Per "male" intendo "senza coglierne le reali potenzialità", che non sono certo quello di far cascare a terra un'altra persona stortandogli un polso!

Facciamo ora l'ipotesi di lavoro che l'ordine di importanza dell'Aikido fosse realmente:

1) UKEMI

2) BUKI WAZA

3) TAI JUTSU

Quanto ne risulterebbe toccata la tua pratica?

Quanto dovrebbero cambiare le abitudini che hai sul tatami?

Quanto dovrebbero modificarsi le consuetudini più radicate nel tuo Dojo?


Sarebbe interessante che ciascuno si facesse questo esame di coscienza...


Marco Rubatto




lunedì 17 marzo 2025

Il 4º kumi jo, il jo che avanza e l'allineamento che manca

É ora di proseguire il nostro viaggio nel buki waza... e nello specifico con lo studio del 4º kumijo.

Un esercizio abbastanza semplice (almeno in apparenza), costituito di 3 soli movimenti, nei quali emerge con prepotenza l'applicazione di katate toma uchi, ovvero del 12º suburi di jo.

Sarebbe bene sempre avere esercizi applicativi di qualsiasi cosa studiamo, così da poter comprendere l'utilità di ciò che facciamo, specie in un confronto armato.

Vediamo innanzi tutto la sinossi dell'esercizio...

1-A) Uchijo attacca il suo compagno con uno tsuki chudan (partendo da hidari tsuki no kamae);

1-B) Ukejo si defila da questo attacco, spostandosi alla sua sinistra (partendo da hidari jo no kamae), e caricando il jo sulle spalle;


2-A) Ukejo esegue katate toma uchi, con l'intenzione di colpire la tempia sinistra del compagno;

2-B) Uchijo indietreggia e si para la tempia sinistra; ma si sposta così abbondantemente da far si che il fendente passi davanti a lui e non collida con il suo jo.

2-C) Ukejo avendo eseguito un colpo a vuoto, nasconde il jo dietro di sé, sulla parte sinistra del corpo (waki kamae)


3-A) Ora è uchijo a prendere l'iniziativa, poiché scorge un'apertura frontale del compagno, ed attacca con chudan tsuki;

3-B) Ukejo avanza diagonalmente con tsugi ashi e controlla il petto del compagno con jodan tsuki.


... tutto qui, ma guardiamolo in video che si fa prima!



Quali sono le caratteristiche MOLTO interessanti di questo esercizio?

Sono ALMENO 3... e provo a dettagliarle qui nel seguito.


Punto interessante nº 1

Il katate toma uchi che esegue ukejo è l'applicazione esplicita di un suburi di jo (il 12º come abbiamo detto poc'anzi), tuttavia vediamo un'apparente discrepanza nella sua modalità di esecuzione: quando l'esecuzione è un esercizio solitario, che serve a prendere manualità con il jo, è importante che questo venga afferrato al fondo dalla mano destra, infatti la traduzione letterale è "con una mano colpo lontano".

Ne segue che più la mano destra impugna il jo all'estremità, più lontano andrà il nostro fendente.

Lo vedete qui di seguito nel tutorial preparato a suo tempo per apprendere i movimenti di base...



Nel kumijo, tuttavia il jo non va afferrato all'estremità, ma occorre lasciare un piccolo spazio vuoto fra la mano destra e la fine del bastone: come mai?

Questa è una delle tipiche differenze che emergono quando si è consapevoli della differenza e della distanza che corre fra la teoria e la pratica!

Un po' la stessa differenza che passa fra come ci insegnano a guidare all'autoscuola e come invece si guida in mezzo al traffico di una città metropolitana...

Se infatti uchijo indietreggia parecchio - come previsto nella forma di base -, il nostro jo non andrà mai a collidere con la sua parata, quindi sarà sempre in grado di mantenere la traiettoria del suburi di base, che finisce dietro di noi, dopo essere stato ricevuto dalla mano sinistra.

Ma se il comportamento di questi fosse differente (e non non siamo mai in grado di saperlo a priori) ed indietreggiasse di meno, in questo caso il jo andrebbe a collidere con la sua parata, per effetto della quale verrebbe sbalzato verso l'alto e non riuscirebbe più a raggiungere la mano sinistra dietro a noi.

Questa comportamento di uchijo in combattimento può essere SCELTO, per far si che - mentre il nostro jo viene deflesso e svolazza - egli possa "toglierci un tempo" ed affondare lo tsuki al nostro fianco. In questo caso si parlerebbe di "kaeshi waza", ovvero di uchijo che approfitta di una nostra apertura per prendere il sopravvento su di noi.

A questo punto però ci viene in aiuto il piccolo pezzo di jo che "avanza" dalla nostra impugnatura: questi ci permette di riprendere la traiettoria del jo deflesso verso l'alto ed indirizzarla nuovamente verso uchijo (facendo nel mentre anche uno spostamento verso sinistra, che ci consente di evitare il suo tsuki al fianco), ed evitare il suo kaeshi waza.

Lo potete vedere rappresentato in questo video (al sec 45)...


Il fatto di "avanzare" un pezzo di jo nell'impugnatura - e quindi accettare il compromesso di poter colpire ad una distanza minore - ci offre la possibilità di fare fronte ad una eventuale risposta differente del nostro compagno, ed una marzialità matura dovrebbe SEMPRE prevedere che il nostro partner non si comporti secondo le nostre più rosee aspettative!

Ecco che un esercizio eseguito in un contesto di base (i suburi) prevede una cosa di poco differente rispetto a quando diventa uno strumento di connessione con il centro del nostro attaccante: la differenza fra "teoria" e "pratica" che si diceva prima, oppure lo scostamento fra pratiche di base (suburi) e pratiche più avanzate (kumijo).


Punto interessante nº 2

Al termine di ogni esercizio, in Aikido, si tende ad avere il proprio hanmi orientato con il piede avanti verso l'asse centrale del nostro compagno: si tratta di un principio, visto che la direzione del nostro piede avanzato indica dove stiamo mandando la nostra attenzione ed energia.

Ed ovviamente la nostra attenzione ed energia è tutta meritata nel centro del nostro partner.

Nel 4º kumijo tuttavia NON sembra così: l'hanmi finale diverge leggermente, quasi ad indicare un punto nella diagonale posteriore destra di uchijo... come mai?

Con estrema probabilità, O' Sensei ha coniato questo esercizio immaginandosi di non terminare l'azione al 3º movimento, ma di proseguirla con una proiezione del partner: questo negli anni è diventata una variante parecchio studiata, sebbene la forma di base si fermi all'esercizio esposto nel video sopra.

Potete vedere ciò che ho appena descritto nel video qui sotto (a 2 min e 05 sec)...



Un principio di base (l'hanmi verso il centro del compagno) non viene quindi disatteso, e sembra non esserci SOLO perché l'azione è interrotta, ma torna ad essere presente se invece viene portata fino al termine: sapevate questa cosa?


Punto interessante nº 3

Il 5º kumijo (che esamineremo nel dettaglio in futuro) è l'esercizio nel quale si vede applicato il suburi nº 11, ovvero katate gedan gaeshi (da perte di uchijo); abbiamo visto ora che il 4º kumijo è il luogo nel quale applicare il suburi nº12 (da parte di ukejo)... quindi la domanda spontanea è: dove si può vedere applicato il suburi nº13 (katate hachi no ji gaeshi), per completare lo studio - anche applicativo - di katate san bon?

Risposta... esiste una variante del 4º kumijo, che ho imparato frequentando per alcuni anni la Scuola di Hitoira Saito Sensei (Iwama Shin Shin Aiki Shuren Kai) che offre proprio questa possibilità.

Non so se sia una sua elaborazione nuova o se fosse qualcosa di antico "lasciato in soffitta" da Morihiro Saito Sensei, o addirittura da O' Sensei stesso... ma poco importa, poiché risulta in qualche modo sia geniale, che utile a parere mio.

Si tratta di eseguire katate hachi no ji gaeshi e quindi lo stesso finale del  kumijo, ma speculare rispetto alla sua forma di base; anche per uchijo si aggiungono 2 movimenti alla forma di base che abbiamo studiato poco sopra.

Trovate questa variante nel seguente video (a 1 min e 48 sec)...



Ed ecco che i nostri 3 semplici movimenti del kumijo diventano sempre meno banali, è possibile scriverli e riscriverli in un sacco di modalità differenti... ed infatti nei video su citati troverete almeno una DECINA di variazioni, sia jo no riai, (armonizzazioni con il jo), sia taijutsu no riai (armonizzazioni del corpo)

Cosa dire se proviamo poi ad unire il 4º kumijo con TUTTI gli altri kumijo codificati: trovate tutto in questo video...



Qui forse termina il ruolo che può avere un Blog ed i VIDEO, per quanto abbiamo cercato di renderli esplicativi... ed inizia il compito di trovarsi un Sensei che queste cose PRIMA le abbia studiate... e quindi sia in grado di spiegarle NORMALMENTE ai suoi allievi durante le lezioni al Dojo. Non è possibile prescindere da una buona guida!

E vedrete che, nel panorama Aikidoistico attuale, non sarà una cosa così banale trovare una simile figura... poiché è l'Aikido stesso a non essere banale, almeno così come alcuni Insegnanti lo vorrebbero.


Marco Rubatto