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lunedì 11 novembre 2024

Dietro le quinte dell'Aikido: l'arte della relazione malata

"Marco, ma ci pensi un attimo a cosa scrivi???"

"Si, che ci penso... anche più di un attimo, a dire il vero".

Ed in effetti l'Aikido sarebbe nota come "L'arte della relazione"... perché darle una connotazione patologica, quindi?

Se apriamo qualsiasi testo dedicato alla disciplina (introduttivo o meno che sia)... si vedrà un gran scrivere su carta, oppure si sentirà un gran vociare sul tatami "dell'armonia", fra noi ed il compagno che ci attacca, fra noi ed il conflitto... E si sprecheranno parole e pippozzi infiniti sulla necessità di rispetto, sull'esigenza di non ingerire sul partner, specie quando è inerme, sulla caratteristica NON violenta che dovrebbero connotare le azioni e le intenzioni di un Aikidoka... e bla, bla bla.

Ora, provate un attimo a venire con me DIETRO le quinte dell'Aikido...!

Sarà perché me ne occupo tutto il giorno e tutti i giorni... ma le questioni più comuni che mi capitano sulla scrivania, al telefono o suoi social sono relative a conflittualità da gestire/stemperare/sedare da parte di PRATICANTI (1) e non di certo della prima ora (2).

Spesso si tratta di Responsabili di Dojo, se non addirittura di Responsabili regionali o nazionali di questa o quella corrente, oppure Ente. E questo è strano, perché - se tutti i bla bla bla di prima fossero autentici - NON dovremmo incontrare così tante conflittualità (1) ed incontrarle SPECIE ai livelli più elevati della disciplina (2)!

Empiricamente però si constata che è proprio li che se ne incontrano maggiormente... segno che la maggior parte della filosofia che amiamo ed insegniamo non ha trovato vita ed applicazione nel nostro quotidiano, prima di tutto.

Uno dei primi bias che emerge è quello del "riconoscimento", ovvero della difficoltà che fanno gli Aikidoka ad essere apprezzati e valutati costruttivamente da altri Aikidoka, che provengono da percorsi differenti dai primi.

É un po' come dire che "l'Aikido è l'arte dell'inclusione"... ma solo per quelli che possono avere questa definizione IN ESCLUSIVA!

Non essere in grado di scorgere i lati positivi dell'esperienza di una persona, solo perché quella persona ne ha fatta una differente dalla nostra... non è questo gran bel segno di maturità, o della capacità di intraprendere relazioni sane, equilibrate e durature...

Ed infatti i vari Enti/gruppi hanno la tendenza a "ramificarsi", nel senso di scindersi in più correnti differenti... ma che di solito non ci tengono molto a mostrarsi collegati al luogo dal quale provengono.

É la dinamica di un figlio che si emancipa dal proprio genitore, ma lo riesce a fare solo dissociandosi in toto dal comportamento di quest'ultimo... anche se questi possedeva pregi, oltre ad un mare di difetti. In fin dei conti nostro padre e nostra madre rimarranno sempre tali... indipendentemente dalle persone che sono, che avrebbero voluto essere o che potrebbero diventare.

Perché camminare con le proprie gambe dovrebbe sempre essere sinonimo di avere sbattuto dietro a sé la porta di casa per chiuderla?

Quindi: dissociarsi dalle proprie origini è sovente la dinamica che adottano alcuni Aikidoka per cercare una "nuova verginità" nella disciplina... e qui siamo dinnanzi alla prima difficoltà di "riconoscimento" oppure di "riconoscenza", che hanno un prezioso etimo in comune.

Il passo successivo è quello di spostarsi da un ramo all'altro della "famiglia dell'Aikido" facendo una fatica notevole a vedersi riconosciuti come rami differenti dello stessa tipologia di pianta.

Sarà sicuramente anche perché la disciplina è così vasta che al suo interno comprende un po' tutto ed il suo contrario... quindi si fa particolare resistenza talvolta a riconoscere le proposte altrui come affini al lavoro che stiamo facendo: ma siamo sicuri che non sia più facile di come ci appare?

Io credo che ci sia del patologico nell'incapacità di scorgere il buono, il positivo ed il costruttivo che c'è in chi è differente da me: beh, gli Aikidoka questa difficoltà la provano tutta, segno che sono cresciuti con un profondo pregiudizio verso un operato differente dal proprio.

Sono stati un po' "catechizzati" da una parrocchia specifica... tanto da prendere per fedifraghi ed infedeli tutti quelli che attivano dalle diocesi limitrofe.

Li avete mai sentiti discorsi tipo: "Noi siamo i migliori di tutti"?... "Gli ALTRI fanno quello che possono"... Io li ho sentiti quotidianamente nell'Iwama Ryu, ma poi anche in altri gruppi e Scuole.

Più di una volta mi è capitato di sentire che un Insegnante richiedesse di ricominciare da capo il percorso a chi dovesse giungere da altrove, magari già possedendo alcuni gradi non banali.

Come dire: "Il percorso fatto senza di me, non è un percorso degno di lasciare strascichi!"

Ma come fa una disciplina apparentemente pregna di relazione ad mostrare tratti così esclusivi e svalutativi delle esperienze altrui?
Rammento che nella nostra attuale società la parola "esclusivo" viene utilizzata per indicare qualcosa di così FIGO che posseggo solo io e non possono avere gli altri, o che si possono permettere in pochi rispetto a tutti.

L'ESCLUSIVITÀ mette una barriera nella possibile relazione ed è l'esatto opposto di INCLUSIVITÀ, che invece è la base della connessione sulla quale si può basare una relazione... di qualsiasi tipo questa possa essere.

Come posso essere in grado di fondermi con il mio avversario, tanto da divenire una cosa sola con esso... ma non essere in grado di riconoscere altre persone sul mio stesso cammino, ma magari frequentanti presso un'altra Scuola, stile, didattica?

Mi pare un evidente controsenso... o segno che alcuni concetti al momento sono buoni SOLO in teoria, visto che non è possibile vederli comunemente applicati.

Ma i nostri "esperti" di Aikido non fanno solo questo... magari si fermassero qui!

Di solito utilizzano il propio peso esperienziale per ingerire su coloro che ne posseggono di meno: una sorta di "nonnismo" dei Senpai nei confronti dei Kohai, insomma.

Vediamo perciò gli Insegnanti che maltrattano i propri uke, in guisa di carne da macello, sacrificabile al fine di mostrare la propria bravura, potenza e velocità... ma anche le parti dirigenziali dei vari Enti prendere decisioni SUI loro associati... anziché CON i loro associati e PER i loro associati.

Una comunicazione top-down da manuale ("ti impongo/devi"), in completa assenza di quella bottom-up. Una gerarchia piramidale, capeggiata da sovrani tutto fuorché illuminati...

Questi sono nuovi segni di un rapporto di coercizione/dipendenza o di una relazione sicuramente malata fra gli individui. E perché accade proprio nell'Arte della relazione?

La relazione - qualsiasi essa sia - richiede e si basa sul RISPETTO: che forma di rispetto ci può essere dove c'è ingerenza di qualche natura?

- "Se non vieni al Seminar di Aikido poi non ti faccio dare gli esami o ti boccio".

- "Se vai al seminar di Aikido che ti ho vietato, poi non ti faccio dare gli esami o ti boccio".

- "Se non mi inviti a fare un Seminar di Aikido ogni tot tempo,  poi non ti faccio dare gli esami o ti boccio".

Credete che questi ricatti provengano dal medioevo giapponese?

Proprio NO: provengono dall'attuale Aikido Italiano e li ho visti con i miei occhi e sentiti con le mie orecchie una ventina di volte solo nell'ultimo paio d'anni.

Sapete quante volte mi è capitato di tenere un Seminar di Aikido e di avere partecipanti che provenivano da Scuole che avrebbero voluto impedire loro di essere li?

O quante volte ho preferito NON firmare i Budopass/Aikidocard di questi "anarchici" perché non avessero problemi con i loro abituali Insegnanti (despota) di riferimento?

Giusto una decina di giorni fa ho incontrato un Insegnante di Aikido con il quale ci siamo promessi di incontrarci presto sul tatami con i rispettivi gruppi... ma a "telecamere spente" per evitargli gli inevitabili problemi che questi avrebbe se nella sua Scuola si venisse a sapere che mi frequenta!

Ora: come può esserci una relazione SANA fra Scuole o fra Insegnanti ed allievi... se alla base della rapportazione ci sono delle ingerenze di questa tipologia?

Sapete... si credo che sappiate quanto si fa fatica anche solo a PARLARE di Aikido in un Social Media fra praticanti... specie, anzi, fra Insegnanti di questa disciplina.

C'è una tendenza devastante alla critica distruttiva, grazie alla quale chiunque farebbe sempre meglio di quello che asserisce qualcun altro: se posti una massima di O' Sensei... "troppo tempo sul Web anziché andarti ad allenare"; se posti un'immagine "bella caduta, ma l'uke che si è lanciato da solo"; se posto un video "si però secondo me quell'ikkyo così non funzionerà mai".

Se ti piace il self-defence "dovresti essere più filosofico"... se ti piace la filosofia "si, però l'Aikido è prima di tutto un'arte marziale"...

Queste dinamiche sono ben note sia in filosofia, che in psicologia: si tratta del pericolo di argomentare con uno scettico a priori.

Egli ha già scelto di trovare un punto debole della tua tesi, prima ancora che la enunci: lui non è li per ascoltarti, ma per farti muro... per rimbalzarti, far si che la tua azione venga ad annullarsi, grazie alla sua. Li chiamano anche passivi-aggressivi...

Ecco: siccome noi Aikidoka NON possiamo apparire aggressivi, visto che pratichiamo "l'arte dell'armonia", e NON possiamo essere passivi, perché pratichiamo "un'arte marziale"... finiamo per divenire "passivi-aggressivi" senza nemmeno essercene resi conto.

É inutile che ci riempiamo la bocca con alti concetti filosofici di rispetto, connessione, unità, condivisione ("Aikido no kazoku", la "famiglia dell'Aikido")... se poi abbiamo ancora le natiche piantate in questa melma umana e relazionale: diventiamo all'istante portatori di messaggi disfunzionali... e - per fortuna - le persone esterne al giro se ne accorgono (anche solo inconsciamente) e ci evitano come la peste.

Fate bene: rimanete distanti da chi non è capace di applicare le proprie filosofie nel quotidiano!
Noi Aikidoka siamo profondamente PROBLEMATICI, non tutti ovvio... ma la gran parte del movimento è ancora preda di bassezze egoiche del peggiore tipo: altro che "arte dell'armonia"... incarniamo più lo stereotipo dell'arte della relazione MALATA.

Prima lo realizziamo, e forse prima saremo in grado di uscire da questa condizione patologica, le cui nefaste conseguenze ricadono sull'intero movimento, pure su quelli che stanno facendo del loro meglio per cambiare le cose ed offrire alternative più SANE a queste dinamiche primitive, deleterie ed infantili.


Marco Rubatto




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