lunedì 26 settembre 2016

Il prossimo: quello specchio di te stesso da rompere... solo se sei fesso

Si parla spesso di Aikido ed efficacia, di Aikido e difesa personale... parliamone un attimo pure noi!

Il Fondatore dell'Aikido diceva cose strane a riguardo dei propri "aggressori", rimandava che la vittoria più importante era quella su se stessi... gli faceva forse schifo vincere pure sugli altri?

Diceva di trattare il proprio avversario con la stessa cura che si avrebbe per un neonato in fasce, ma non è un po' troppo così?!

Uno vuole fracassarci di botte e noi abbiamo cura di lui e lo prendiamo a carezze?

Ma che siamo, tutti  peace and love francescani che porgono l'altra guancia?!!!

Eppure il nonno diceva così, poche balle...

Può darsi che ad una certa età un po' di arteriosclerosi abbia fatto capolino... può darsi che si fosse parzialmente rimbambito di filosofie pacifiste Oomoto, va a sapere... però diceva PROPRIO così!!!

Noi facciamo un'ipotesi di lavoro, buona certo come molte altre che si possono fare certo, ma che ci sembra plausibile: immaginiamo per un attimo che sapesse cosa stava dicendo, che affermasse ciò che diceva alla luce di una qualche consapevolezza, e non sotto effetto del crack a mandorla.

Immaginiamo cioè che non fosse pazzo e che sapesse il fatto suo, poi magari ci sbagliamo... ma partiamo di qui!

O' Sensei ci ha lasciato numerosi scritti piuttosto interessanti, nei quali dice cose ben strane a secondo dell'Aikido, visto come "strumento di affratellamento dei popoli", "di scoperta e miglioramento personale"... ma mai si è riferito ad esso nell'ottica di battere qualcun altro, se non in senso metaforico.

L'attaccante veniva più visto come qualcuno al quale connettersi, dal quale "imparare" qualcosa, qualche lezione importante... una sorta di specchio nel quale riflettersi per sapere chi siamo veramente.

Quindi cosa vogliamo imparare con le arti marziali, con l'Aikido... a rompere lo specchio? A rompere il nostro miglior maestro?

Saremmo cornuti e saziati (come si dice in Giappone) nel malaugurato caso in cui ce la facessimo...

Non sembra il caso: diventare efficaci significherebbe più in questo caso essere in grado di modificare se stessi, che lussare una spalla al nostro uke con uno shihonage.

E ma se lui ci attacca strano... intendiamo per la strada?
Chi ci dice che l'Aikido sarà sufficienti per salvarci la pellaccia?

La domanda potrebbe essere completamente priva di senso, se Morirei Ueshiba non fosse stato privo di senno.

Avete presenti quelli che ti pongono obiezioni del tipo: "Ma se io facessi così, tu cosa faresti?"
L'immenso gregge dell'Aiki-pippa mentale...

L'ALTRO SEI TU: se qualcuno ti attacca, chiediti perché una parte di te trova importante aggredire un'altra parte di se stessa!

Siamo iceberg coscienziali, dei quali meno del 10% è alla luce del sole... la maggior parte di noi resta sommersa, invisibile ai nostri stessi sensi... ma non per questo inesistente.

Se in quella parte (nostra, ma inconscia) si ordisce una sorta di ammutinamento interno, e parte delle nostre risorse iniziano a fare la guerra alle altre... ecco che questo si specchia nel "fuori", nel mondo, nella società, in uke.

Cosa fare quindi, provare a mettere ordine nel mondo, assumendo il ruolo di paladini della giustizia, o tornare alla fonte del problema e sistemare le cose "dentro" di noi, diventando più consci di noi stessi?

La seconda, diremmo noi... ed il Fondatore pure!




L'efficacia è quindi trasformata ed interna, non marziale ed esterna... e se di efficacia esterna vogliamo parlare, lo potremmo fare solo come specchio di un processo interno che sta avvenendo, non in termini di un qualcosa di oggettivo che accade fra me ed un'altra persona, indipendente da me.

Una persona "efficace" vive bene il quotidiano, non è solo un supereroe in grado di salvarsi le natiche in caso di un'aggressione... che fra l'altro forse non avverrà mai!

"Siamo tutti uno" rimandano parecchie filosofie... ed il nostro bravo nonno tuonava: "Io sono l'Universo", cioè "Io sono tutto ciò che esiste".

Ma può essere proprio così?

Ciascuno di noi è realmente l'unica cosa che esiste, un mondo unico ed irripetibile nel quale gli altri fungono da comparse allo psicodramma che la coscienza si è decisa ad inscenare?

Scopriamocelo da soli, noi non vogliamo convincere nessuno di nulla... ma era interessante toccare insieme un argomento delicato e fondamentale: "L'Aikido è un'arte marziale in grado di essere efficace nel mondo?"

In quello interno ci viene da dire di si, in quello esterno non ci interessa, proprio per via della filosofia che insieme all'Aikido abbiamo abbracciato vivendo.

Il mondo però è pieno di persone che non si conoscono e quindi non si fidano del loro mondo interiore... quindi per non sentirsi frustrati, iniziano a desiderare - anche tramite le arti marziali - di poter mettere sotto controllo il mondo esteriore...

... fantomatici avversari esterni che in realtà scaturiscono copiosi dalle ombre della propria coscienza.

Vogliono possedere la certezza di potersi salvare in caso di pericolo, perché credono sul serio che esso possa giungere dal rapinatore dietro l'angolo... ignari che la prima delle rapine la stanno facendo a loro stessi, depauperandosi della possibilità di gustare quanto è divina e profonda la vita.

Poter ledere un'altro individuo non è un segno di forza, e desiderare di poterlo fare sempre e comunque è la migliore ammissione di avere un Aiki-pisello piccolo come un furnucolo... a nostro dire.

Scrivere quindi che l'Aikido è "un'ottima disciplina per la difesa personale" può essere utile per arrivare alle persone... ma chi lo rimanda si ricordi che potrebbe significare che questa disciplina ci renderà capaci di vincere il nemico più subdolo ed infido, celato nella parte di noi che non immaginiamo nemmeno che esita.

Chi ha paura non è libero, anzi è schiavo: l'Aikido potrebbe servire per diventare più liberi e divenire sempre più chi siamo veramente... non per farci stimare dalla società che ci specchia.

Chi lavora su di sé ha già fatto la figura migliore possibile davanti a se stesso, poco importa cosa gli altri ne pensino!

Il prossimo è un tramite per giungere a noi, ecco perché quel vecchio detto orientale recita: "Nel mondo non ci sono amici o nemici, ma solo Maestri"!




lunedì 19 settembre 2016

決め Kime, il sale della pratica dell'Aikido

Quanti di voi hanno sentito pronunciare sul tatami la parola [決め] kime?

Molti crediamo... di cosa si tratta?


L'ideogramma"" letto [けつ] "ketsu" significa "decisione", "votazione"... il verbo "kimeru" [決める] significa "decidere, "scegliere", "determinare", "costruire/ricomporre la propria mente o il proprio cuore a riguardo di qualcosa", "risolvere", "stabilire", "impostare", "nominare"...

... un insieme piuttosto significativo di valori, potremmo dire, che però non finiscono qui: "kimeru" [決める] può anche significare "persistere nel fare", "ad andare fino in fondo", "determinare il risultato di una partita" (quindi in questo senso "vincere"), "effettuare con successo" (un movimento nello sport, una posa di danza, ecc)", "riuscire nel fare", "essere determinati ed avere un atteggiamento assoluto" (es: immobilizzare con una leva serrata e determinante nel Sumo, nel Judo, ecc).

Avere kime nelle proprie azioni, metterci kime... quindi può effettivamente fare la differenza!!!

Ma quando esattamente nella pratica questa differenza diviene evidente?

Un uke che attacca senza kime è di fatto una freccia che non ha scelto di essere scoccata nella direzione del bersaglio: è uno portatore inconscio di un'energia che viene chiesto a tori di accogliere, armonizzare, dirigere.

Ma che gusto ed utilità risiedono nello schivare automobili che non stanno per investirci, pugni che potrebbero anche non colpirci?

Ben diverso invece accade quando siamo il centro dell'interesse di qualcun altro - di uke in questo caso - ed egli ha deciso CONSAPEVOLMENTE di metterci al centro della sua attenzione e dell'energia che ci invia.

Nelle arti marziali questa energia ha di solito un compito apparentemente distruttivo, cioè lui ci attacca per ferirci, danneggiarci, lederci (fisicamente, emotivamente, etc)... ma la cosa più importante è che questo impeto nei nostri confronti ha un ruolo trasformativo e non può essere ignorato.

Un pugno ci arriva in pieno volto e ci trasforma la faccia in un insieme di lividi... ma proprio perché contiene il kime dell'attaccante, ossia la sua intenzione!

L'intenzione di un attaccante (o di un attaccato) è fondamentale perché è in grado di "parlarci di lui", di conoscere il suo sistema di valori e di credenze, mostra il suo carattere e temperamento... ci mostra "chi è" sul serio, insomma.

Questo è il primo elemento che fa realmente emergere l'importanza del kime: esso è una diretta emanazione di una SCELTA personale di MANIFESTARE le proprie intenzioni più autentiche e profonde, e non solo di apparire... potremmo dire che nel kime risiede lo spirito stesso di chi agisce, e quindi è un importantissimo strumento che tenta di coniugare il FARE all'ESSERE!!!

"Parla come mangi!" si dice dalle nostre parti... quindi il proprio kime è una sorta di biglietto da visita unico e quindi preziosissimo: ricevere il kime, la decisione, la scelta di qualcuno che mette tutto se stesso in ciò che fa dovrebbe essere quindi un onore immenso, oltre che ad una grande responsabilità!

Agire senza kime invece è come essere eternamente insignificanti, "tiepidi"... e giusto per capirci, le parole più dure del dio cristiano nella Bibbia sono ad esempio proprio riservate a coloro che agiscono in questo modus operandi: "Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente io ti vomiterò dalla mia bocca" [Apocalisse 3:16].

Indissolubilmente legato al concetto di agire con determinazione c'è infatti il proprio senso di responsabilità per ciò che si fa: cosa ne sarebbe di un principiante attaccato con tutto il furore e l'autenticità che un esperto è in grado di conferire ai suoi attacchi?

Una frustrazione inutile da vivere, dalla quale non risulta semplice apprendere qualcosa di significativo: potremmo parlare di sovrastima degli stimoli rispetto alle proprie possibilità di viverli costruttivamente...

Ma anche il contrario è deleterio: un esperto non attaccato con il kime che proporzionalmente gli si addice vivrebbe l'esatto contrario... ossia una sottostima delle sue possibilità di azione e quindi un mancato apprendimento legato ad un ingaggio inutile, per via di uno stimolo di qualità troppo povera o scadente.

Chi agisce, chi attacca - quindi - non lo deve fare soltanto legando qualcosa di autentico di sé dentro al proprio atto... ma anche tenendo in considerazione di chi è l'altro e di cosa egli abbia bisogno per evolvere nel suo studio Aikidoistico/marziale.

Iniziamo a intravvedere come il concetto di kime abbia connotazioni "relazionali", oltre che personali!

Sia "troppo", che "troppo poco" non sono segni di un buon kime: esso è piuttosto un mix complesso da trovare armonicamente nel qui ed ora, ossia in un luogo ed un tempo nei quali le ricette preconfezionate perdono tutte di senso e significato.

Abbiamo per ora e per semplicità parlato del kime dell'attaccante, ma le cose stanno in modo diverso se parliamo di tori... ossia di colui che deve "amministrare" il kime di uke?

NO, anzi!

Diremmo proprio di
Chi viene attaccato, si sta sottoponendo nelle arti marziali ad uno stress volontario per scoprire meglio se stesso, le sue capacità latenti e la sua attitudine ad agire consapevolmente in condizioni sfavorevoli...

... in questo è già presente molto kime!

Nel giro di pochi istanti però tori dovrà fare i conti con la propria intenzione ed anche con quella del proprio attaccante: due punti di vista differenti e conflittuali fin dalla carta.

A quel punto l'Aikido entra a gamba tesa su qualsiasi altra pratica marziale, nel senso che si differenza da esse per la volontà esplicita di ARMONIZZARE il proprio kime con quello dell'avversario... e non quindi far prevalere il proprio su quello dell'opponente al solo fine di evitare che avvenga il contrario.

Come si realizza tutto ciò?

Se la volontà del nostro avversario volesse condurci da Milano a Napoli, mentre la nostra decisione fosse di recarci altrove, dovremmo chiederci se la cosa più proficua è opporci a prescindere alla sua azione (NO Napoli!) o trovare a nostra volta un luogo "comune" nel quale dirigerci, che in qualche modo sia rispettoso di entrambi gli atti di volontà (what about Roma?).

Non si recede del tutto dai propri intenti, così come non si persegue del tutto in essi... affinché - grazie al nostro avversario - si possa venire a manifestare quella famosa "terza via" in grado di cambiarci e farci evolvere.

Non "lui", non "io"... ma NOI!

In questo il kime dev'essere più che mai chiaro e denso nella nostra azione...

Nell'Aikiken - ad esempio - esistono 2 modalità distinte di ricevere un colpo da parte di uchi tachi (colui che attacca con la spada): il primo si chiama "ukeru ken" (il ken che riceve), mentre il secondo è "kimeru ken" (ossia il ken che decide).

Un video è in grado di chiarire il concetto più di mille parole: vediamo qui rappresentati i kumi tachi (combattimenti codificati) della Scuola di Iwama... e notiamo che ogni esercizio parte con una serie di ricezioni che consentono all'attaccante di proseguire la propria azione, sino all'ultimo movimento (appunto il kimeru ken) nel quale la distanza si stringe e gli viene tolta la possibilità di proseguire oltre negli attacchi.



Vedrete il kimeru ken ai minuti:

- 0:46, 0:54 (ichi no tachi)
- 1:33, 1:49 (ni no tachi)
- 2:10, 2:15 (san no tachi)
- 2:40, 2:51 (yon no tachi)
- 3:28, 3:46 (go no tachi)
- 4:09, 4:26, 4:39 (ki musubi no tachi)

È importante qui notare come la DECISIONE (il kimeru ken) di NON proseguire con il duello (che è ciò che desidera l'attaccante, cioè) e quindi di terminarlo NON genera conseguenze a discapito di uchi tachi.

Essere focalizzati, determinati ed intraprendenti non è quindi sinonimo di aggressività o imposizione sul prossimo!

Il kime che si esprime attraverso un'arma, attraverso un'azione è quindi un ottimo biglietto da visita di se stessi e delle proprie prospettive: in Aikido - ad esempio - la spada è stata trasformata in "katsujin ken", cioè la spada della saggezza... che dà la vita, anziché toglierla... offre nuove opportunità di espressione future per entrambi oltre che essere risolutiva.

Non è diverso nella vita, a patto che:

- le nostre azioni lascino trasparire chi siamo, siano cioè ricche del nostro kime;
- le nostre azioni siano la manifestazione dei nostri ideali più alti.

Non è facile tutto ciò, perché non tutto ciò che ci appartiene è sempre conveniente, lodevole o facile da mettere in mostra. Ciascuno di noi ha un sacco di incompiutezze e lati in ombra, ma è proprio per questo che cerchiamo luoghi e situazione nei quali studiare il nostro kime!

Chi di noi ha intenzione di ANDARE FINO IL FONDO con se stesso?




lunedì 12 settembre 2016

Il Maestro che non cade più è peggio di Belzebù

Cosa significa percorrere un cammino in Aikido (così come in qualsiasi altra disciplina)?

Significa partire con potenzialità latenti e tentare di metterle a frutto con il proprio impegno costante: questo implica soddisfazioni e sbagli... ma chi si accosta ad un percorso di tipo personale di certo desidera vedere cambiamenti sostanziali in se stesso, specie dopo decadi di dedizione.

Il praticante evolve, tramite la propria esperienza di sé, quella maturata con i compagni ed i suggerimenti del proprio Maestro.

Talvolta chi pratica è tori, e deve imparare ad agire nel modo più consono al contesto che si trova a vivere... altre volte è uke, e quindi deve armonizzassi con ciò che accade... deve cedere e non può contrastare.

Essere uke ci insegna a cadere senza remore di farsi male, a "soccombere con stile" difronte all'ineluttabile: parla della parte più intuitiva e femminile del sé... di quella parte di noi che va abbracciata e con-presa poiché non può che essere accettata per ciò che è.

Nell'ottica di qualcuno che intende ancora migliorare se stesso, accettare i propri limiti è un momento veramente importante.... poiché solo chi si confronta con le proprie debolezze può avere l'opportunità di trasformarle in un proprio punto di forza!

Imparare a "cadere", a "perdere", a "sbagliare", a "prenderle"... a "morire" si rivelano tutte lezioni importanti almeno quanto quelle legate alle nostre prese di posizione più nette,  o alle soddisfazioni che il nostro percorso ci fa assaporare, di tanto in tanto.

Ma tutto ciò che avete letto fino ad ora è chiarissimo nelle menti del 99% dei praticanti, specie dei principianti... che sono "vuoti e fiduciosi", quindi un giorno potranno "riempirsi" ed evolvere proprio grazie a questa attitudine, che in giapponese viene chiamata [初心] "shoshin", la "mente giovane".

C'è però una razza di praticanti che spesso dimentica tutto ciò - o perlomeno - semplicemente lo rimuove, in quanto è "già caduta molto", ha già "dato" diremmo... e quindi ora si impegna solo più a far cadere qualcun altro: sono alcuni sfigatissimi Insegnanti di Aikido!

Una masnada dalla "mente vecchia"... dalla quale ci guardiamo bene di appartenere: se li incontrate, fate benedire il vostro tatami da 30 preti shintoisti come minimo!

"Ma io non cado più perché ho una certa età", blatera uno...

"Ma io non cado più perché ho problemi di salute"... risponde in coro un altro...

"Ma io non cado più perché...": basta inventare scuse!

Belle cose avete capito dell'Aikido!... immaginate cosa siete in grado di insegnare al prossimo!

Sbilanciarsi, cadere, fallire... e farlo con arte è appunto il processo che si richiede ad ogni praticante per scoprire quella parte di sé che rimane nell'ombra... e che stimola paure, preoccupazioni, ansie, irrigidimenti: ecco perché è importante il processo intuitivo che avviene soprattutto in uke.

Ma molti insegnanti scelgono di non ricoprire più il ruolo di uke!

Un Insegnante che sta SOLO in ciò che già conosce ed insegna SOLO quello, è una figura mitologica metà praticante e metà kami, che chiede agli altri di fare ciò che egli non fa più (o non ha mai fatto)... in poche parole una fonte di incoerenza messa su un palco scenico.

E poi ci lamentiamo che talvolta gli allievi lasciano il Dojo?
Magari era solo gente sana, che saggiamente a dovuto prendere distanza da un buffone che dovevano chiamare a forza Sensei...

Non puoi essere infatti il testimonial di un processo che in te si è spento da decadi, la tua credibilità vacilla... cade, ci verrebbe da ironizzare!

Cadere non è solo qualcosa di fisico: ovvio che a 60 anni (quando si è di diritto annoverati fra i "Maestri" di una disciplina) si caschi con meno agilità di quando si è ventenni...

... non ci riferiamo a questo, non è una questione di quantità!

Stiamo parlando della capacità di continuare a mettersi in gioco COME in un'ukemi, pure quando si sta in piedi!

Si tratta di DONARSI alla propria causa, a se stessi ed agli altri...



Cosa fa il Fondatore dell'Aikido nel filmato precedente?

Si DONA al suo partner, un bambino... per qualche secondo, quasi come per dirgli "credici", sei bravo, continua così!

Avrebbe potuto non cadere?
Fare un kaeshi waza e mandare al suolo il suo inesperto tori?

Crediamo di si, non ci sembrava un iriminage così potente e da manuale, quello che ha ricevuto!

Sarebbe stato il caso?

Assolutamente no... nel DONARSI, nel cadere, nel mettersi in gioco ad 85 anni, ha contagiato del suo entusiasmo il suo partner.

Pensate ora a quanti Maestri imbecilli insegnano SOLO le cose che sanno già fare, esibendosi SOLO con le persone con le quali i movimenti risultano più scenografici... coloro che non cadono mai, non sbagliano mai... che ci tengono a mantenere un'aura di impeccabilità, stando ben attenti a non varcare mai la propria comfort-zone.

Che pessima pubblicità di una disciplina come l'Aikido!

Capite perché a volte si dice che l'Aikido è per pochi?!
... Talvolta lo è perché questi imbecilli vogliono insegnare al prossimo ciò che hanno scelto di non fare più loro... meglio che abbiano pochi allievi quindi!!!

Nel Dojo si cerca di rincorrere la tecnica "giusta"?
Siamo sicuri che ciò risulti di qualche interesse?

Se provando un movimento lo percepiamo scoordinato, ininfluente, sgraziato, faticoso, inefficace... scatta in noi una frustrazione per tutto ciò, ma anche la possibilità di sentire che fra noi e l'armonia c'è ancora parecchia distanza.

La nostra evoluzione avviene appunto nel tentare di comare questa distanza!

Se un Maestro non fosse MAI fallibile o fallimentare, significherebbe che lui "è arrivato", lui è l'armonia... oltre non si va più, il (suo) percorso è finito.

Al di la di ammirare quanto è figo il proprio Insegnante, siamo sicuri che tanta grazia gioverebbe davvero ad un allievo?

Ma poi sarebbe realmente tale questa grazia, o più che altro ci troveremmo di fronte ad un Maestro che ha tirato i remi in barca e si crogiola con ciò che ha già imparato davanti a chi lo deve ancora imparare?

Un Maestro per noi è un'altra cosa: è un'essere ancora completamente coinvolto nel processo di dare tutto se stesso per la PROPRIA crescita, e che diventa così esempio e fonte di ispirazione per tutti coloro che lo seguono, proprio perché possono riconoscersi completamente in lui.

Un Maestro che non goda della possibilità di farsi superare dai propri allievi e che invece faccia di tutto per tenerli a debita distanza per evitare un sorpasso non è per noi un Maestro, ma una disgrazia vivente per se stesso.

Nella possibilità di evolvere è insita quella di sbagliare... la possibilità di sbagliare implica quella di essersi coinvolti completamente in un'azione della quale si è disposti ad accettare le conseguenze, per quanto ignote.

Questo implica l'essere ancora uke (almeno nello spirito, se il corpo non ce la dovesse più fare come un tempo)... cioè colui che si dona, colui che riceve, che cade, che si armonizza per salvarsi.

- Se sei un Maestro dai senza riserve, cedi qualcosa di tuo
- se cedi significa che sei cedevole
- se sei cedevole significa che sai ricevere ciò che arriva
- se sai ricevere sei uke...

Maestro = Uke

... e l'Aiki-Gestalt si chiude






lunedì 5 settembre 2016

Aikime adesso ha un suo Dojo: veniteci a trovare!!!

Eccoci ad una nuova apertura di stagione per Aikime e per noi tutti impegnati più o meno direttamente con questo Blog.

Per noi tutti è stato un periodo perlomeno intenso quello degli ultimi due anni: non abbiamo mai smesso di partecipare con passione alle ricerche più diverse sull'ampio ed affascinante mondo dell'Aikido... ma da un po' ci rendevamo conto che qualcosa andava cambiato e fatto evolvere.

Io e le cinture nere che collaborano con me avevamo bisogno di un luogo "nostro" nel quale sentirci liberi di dare il massimo, senza essere frenati dagli inevitabili limiti che ci imponevano le strutture presso le quali facevamo le nostre riunioni e, soprattutto, tenevamo i corsi regolari di Aikido.

Così, circa due anni fa, abbiamo messo in cantiere la costruzione di un vero Dojo... un luogo cioè espressamente pensato per la pratica dell'Aikido e di tutte le discipline che ad esso possono risultare affini.

Questo sogno ci entusiasmava tutti e quindi non abbiamo badato a lavoro e sacrificio per realizzarlo.

Non è stato tuttavia così facile, nonostante che nessuno di noi banalizzasse che lo sarebbe stato: in Italia un Dojo viene considerato dalla legge una "palestra", cioè un locale in tutto e per tutto comparabile ad un Fitness Club (la categoria precisa è "Sport e Spettacolo"), che deve possedere precise caratteristiche tecniche (predisposizioni antincendio, completa accessibilità, rapporti precisi fra metratura e ricambio dell'aria, illuminazione, acustica... etc).

É fondamentalmente una locale ampio e vuoto, col pavimento ricoperto di tatami, in cui una ventina di persone suda ogni giorno della settimana per studiare la disciplina che ci sta a cuore, nulla più... ma la normativa è spesso cieca alle reali esigenze delle persone!

Così ci abbiamo messo un attimo di più ed abbiamo faticato un tot, ma alla fine ce l'abbiamo fatta: ora Aikime ha un suo spazio fisico, l'Hara Kai Dojo, nel quale praticare, incontrarci e confrontarci sull'Aikido in tutte le sue declinazioni.

La novità è questa, e non è piccola quindi: ora abbiamo un luogo in cui incontrarci ed organizzare eventi!



Noi continueremo da queste pagine a rimanere in contatto con ciò che accade nell'ambiente Aikidoistico italiano e mondiale... ma ora sarà anche possibile per ciascuno di noi venirci a trovare di persona nelle numerose occasioni che sono già ora in programma... e che presto renderemo pubbliche.

Non sveliamo subito tutte le carte, ma vi posso assicurare che abbiamo in previsione chicche non da poco, credo senza timore di immodestia in grado di segnare notevolmente (mi auguro in modo positivo) il panorama Aikidoistico nazionale.

Intanto rinnoviamo il nostro appuntamento on-line settimanale e vi lasciamo con qualche prima immagine della casa ufficiale di Aikime!