lunedì 29 aprile 2013

Perché l'Aikido non può essere competitivo?

Recentemente siamo stati - forzatamente - coinvolti nella partecipazione ad un torneo per valorizzare la pratica delle Arti Marziali dei più giovani.

Gli "atleti" erano costituiti da schiere urlanti di bambini dai 4 ai 14 anni circa.

Uno dei Dojo in cui collaboriamo ha organizzato il primo "torneo" per agevolare l'incontro e lo scambio fra le discipline di tutti i praticanti più giovani in età: erano presenti Karate, Kung Fu (Hung Gar), Taekwondo... ed anche all'Aikido è stata chiesta una sua qualche forma di partecipazione.

Gli altri hanno fatto gare, categorie, punteggi, arbitraggi... kata, kumite... noi non potevamo fare nulla di simile: abbiamo optato per una sorta di piccola dimostrazione che potesse mostrare ai parenti accorsi ed agli altri giovani partecipanti cosa facciamo normalmente durante le lezioni.

Mezz'oretta tranquilla di ukemi, tecniche e giochi per i più piccini!

Boh... vabbé facciamo questa cosa!

Per la cronaca... l'Aikido è stato considerato quasi all'unanimità dagli Insegnanti di altre discipline presenti come il migliore rappresentante di marzialità ed etichetta che si vogliono evidenziare in un Dojo... quindi gli è stata assegnata la vincita del Trofeo in palio per l'evento!

"L'Aikido vince, perché non compete contro nulla"... diceva un omino con gli occhi a mandorla del secolo scorso!

Ma adesso non attacchiamoci alla coppa: interessante però è stata la sensazione nell'osservare le "gare altrui" e provare a scambiare alcune considerazioni con i presenti.

I ragazzini hanno teso ad eseguire esercizi da soli (forme) o in gruppo, oppure piccoli incontri - spesso imbardati di protezioni - con alcuni compagni delle stesse categorie.

Quello che era evidente è come non ci fosse quasi mai contatto fisico fra i partecipanti: se di tocco doveva trattarsi, esso doveva avvenire nel modo più veloce e fulmineo possibile, in modo da "fare punto", senza scoprirsi troppo la guardia.

L'immagine era quella di un guerriero che si barrica in una fortezza... quindi, di tanto in tanto, apre una piccola finestrella sulla muraglia, scaglia velocemente fuori una freccia, e quindi si rinchiude al sicuro della massicciata!

Il senso dell'io viene chiaramente a rinforzarsi con questo genere di pratica, poiché molta dell'attenzione è appunto rivolta alla protezione di quei confini che crediamo ci definiscano: al di dentro ci siamo "noi", al di fuori... il nemico.

Nell'Aikido le tecniche durano di più... e possiamo eseguirle proprio perché l'avversario tenta di toccarci o di prenderci: più l'attacco sarà totale, più per noi sarà facile mandarlo a vuoto e minare l'equilibrio altrui (in qualche modo, auto-compromesso proprio dalla grande enfasi nell'attacco)... ma a volte durano così tanto che "gli altri" dicono essere inefficaci.

La questione è: ma noi ci vogliamo stare con gli altri, o vogliamo solo toccarli di sfuggita con un nostro pugno o giudizio?

Perché nel caso 2, giacché desideriamo la solitudine, potremmo anche astenerci da un giudizio che riguarda qualcun altro e per giunta non comprovato dalla propria esperienza... o da un "pugnetto" che ha lo scopo di "fare punto", anziché male!

Nella competizione ci sarà sempre un "io" contro un "tu"... magari utile a migliorare la propria definizione di sé, l'autocontrollo fisico ed emotivo, ma di una pratica piuttosto autistica, o perlomeno solitaria... se non vogliamo attribuirle connotazioni negative.

In Aikido non è proprio così: c'è un "io" ed un "tu" che quando si incontrano diventano un "noi"... che dura per qualche istante... proprio quegli attimi che sono più difficili da gestire, in quanto non è semplice creare un contesto nel quale CONTEMPORANEAMENTE due individualità possano coesistere rispettandosi vicendevolmente, senza per questo perdere parte della propria individuale personalità!

Quindi più durano le tecniche, più questa "convivenza" verrà messa alla prova: "casualmente" le tecniche di base durano molto di più di quelle più avanzate, ci avevate mai fatto caso?!

Se l'Aikido fosse quindi reso competitivo, la creazione di questo "noi" si sacrificherebbe a vantaggio dell'"io" o del "tu"... e magari questo era un fattore del quale O' Sensei poteva essere a conoscenza.

Ci sono sicuramente stati alcuni tentativi di rendere agonistico l'Aikido, ricordiamo uno fra tutti quello dello Shodokan Aikido... creato da Kenji Tomiki (che fu sia allievo del Fondatore del Judo, che di quello dell'Aikido), che però non ha mai preso piede più di tanto, rimanendo confinato ad una sorta di nicchia (nikya, si dovrebbe forse dire...) ancora oggi.

Come mai?

Perché forse la nostra disciplina non è tanto di crescita personale grazie alla presenza dell'altro... quanto di maturazione attraverso la COLLABORAZIONE con esso?

"Allora non è più marziale!" (abbiamo subito sentito nell'etere alzarsi questo coro!)

Non sappiamo: certo è che "collaborare" non significa "agevolare a priori"... prendiamo il caso di un qualsiasi rapporto di coppia...

Ci si conosce, ci si piace... si esce... si sta magari anche bene insieme, ma se ciascuno volesse continuare a farlo GRAZIE all'altro, la coppia avrebbe già i giorni contati!

Anche stare bene NONOSTANTE l'altro non è una grande idea, per quanto ancora una pratica parecchio diffusa...

Se invece si collabora, si giungerà inevitabilmente ad alcuni compromessi che permetteranno all'"io" ed al "tu" di smussarsi quel tanto che basta a rendere possibile la nascita di un "noi", nel quale tutti si ritroveranno un po'... nonostante esso sia qualcosa di diverso dalla mera somma dei costituenti.

Il NOI è potente, perché è una sorta di evoluzione delle parti che lo costituiscono: è un "nuove essere" che nasce dall'armonizzazione di "io" e "tu"... ma per far questo c'è necessità di parecchio contatto... e di qualità, non sicuramente di qualcosa di furtivo, fulmineo e troppo incentrato su di sé!

Forse è per questo che in Aikido non chiamiamo "avversario", il nostro compagno: forse abbiamo capito che egli è una parte fondamentale del sistema che ci porta ad evolverci, quindi nasce per esso una  specie di ringraziamento e rispetto implicito, che ci richiede di avere particolare cura di lui anche se ci vuole attaccare con tutta l'irruenza di cui è capace.

Senza di lui, niente Aikido!
E non ci sono coppe con le quali "contraddistinguerci" dagli altri (nuovamente separazione), solo occasioni di incontro, per continuare il processo di crescita COMUNE.

Si, forse la competizione è sana... ma non è il processo preferenziale attraverso il quale ciò possa agevolmente avvenire.

Poi la mancanza di competizione crea anche danni talvolta, come quando alcuni personaggi dell'Aikido iniziano a pontificare rispetto alla loro papale infallibilità... proprio perché non hanno mai dovuto confrontarci con qualcuno che non è d'accordo con loro...

... tuttavia questi ci sembrano elementi importanti che spiegherebbero la naturale tendenza ad estraniarsi dal mondo della competitività esplicita sul tatami.

Voi cosa ne pensate?

Quali sono le vostre esperienze in merito?

lunedì 22 aprile 2013

Aiki Nomad Seminar e qualcosa da importare in Italia

Riportiamo di seguito la cronaca di un'evento al quale abbiamo partecipato di persona per il secondo anno consecutivo che, seppur non si sia svolto in Italia, ha secondo noi alcuni spunti di riflessione interessanti per la nostra comunità.

Si tratta dell'Aiki Nomad Seminar che si è svolto gli scorsi 4, 5 e 6 aprile a Montreux, nella Svizzera francese.

La nostra partecipazione ci ha permesso di esaminare l'evento da angolazioni molteplici: un gruppetto di allievi dei Dojo di Torino hanno partecipato in qualità di allievi, mentre Marco faceva parte dei quattro docenti... in un certo senso abbiamo "giocato in casa" anche all'estero!

Ciò che dell'evento abbiamo registrato per la seconda volta è una modalità nuova di concepire un seminario di Aikido.

Innanzi tutto eccone un breve estratto video.



Potrete inoltre trovare un reportage annbalogo dello scorso anno al seguente link.

Cosa c'è di nuovo?!

Un gruppo di Insegnanti nomadi, che hanno sin da subito chiarito a loro stessi come fosse più importante la gestione oculata di un evento che il loro risalto in qualità di super star "cazzutissime" dell'Aikido.

Un evento che dovrà sempre svolgersi in un momento dell'anno differente ed in una location differente.

Parliamo cioè di un gruppo di Insegnanti che può cambiare in continuazione, in tempi e luoghi sempre diversi: l'unico filo comune della tipologia di evento è quella di utilizzare liberamente l'Aikido come uno STRUMENTO di evoluzione personale e collettiva per il gruppo che vi partecipa.

Le abitudini routinarie sono state appositamente bandite per far si che il risultato sia sempre "fresco" e correlato all'ambiente in cui si svolge ed al pubblico che ne beneficia.

Nessun Sensei si era fatto in precedenza un'idea di cosa avrebbe insegnanto, di quando o quanto avrebbe avuto modo di stare sul tatami di fronte agli allievi: Durward, Marco, Peter e Julia hanno semplicemente cercato di collaborare nel modo più profiquo, sapendo che avrebbero dovuto offrire spunti provenienti dal loro lavoro, piuttosto che andare a riproporre al Gruppo la "brutta o bella copia" ciò che avevano appreso da qualcun altro... assumendosi l'intera responsabilità e paternità delle loro proposte.

Erano ammesse tecniche, principi e/o prospettive dalle quali esaminare l'Aikido... purché essi avessero in qualche modo contribuito a fare INSIEME ad ogni partecipante il prossimo step.

Ovviamente gli Insegnanti non impegnanti nella docenza, si allenavano comne semplici allievi... e sudavano quindi come tutti!

Il gruppo è stato questa volta formato da una trentina di partecipanti, alcuni dei quali avevano solamente sulle spalle 4 o 5 lezioni di Aikido... misti a praticanti pluridecennali della nostra Arte: come dare a ciascuno un qualcosa di interessante su cui lavorare, date le enormi differenze?

Tramite un'attenzione grande ai feedback del gruppo e dei singoli, rimandati in appositi momenti all'interno della pratica, ma anche durante i momenti di convivialità che non sono mancati durante l'intero week end.

Come allievi abbiamo prestato attenzione a rimandare le nostre esigenze di studio, le nostre curiosità, ma anche le difficoltà che incontravamo... mentre gli Insegnanti si preoccupavano di dare voce ai contenuti che ritenevano importante condividere, ma si sentivano anche liberi di cambiare programma ogni qual volta l'esigenza lo avesse suggerito.

In questo modo l'intero gruppo ha sentito di avere veramente lavorato INSIEME: quello che più sorprendere è che nella semplicità in cui tutto ciò è avvenuto, non era il reishiki (imposto dal luogo e circostanza) a scandire il rispetto che si è venuto a creare, fra allievi ed Insegnanti, ad esempio... quanto un senso generalizzato del rispetto fra persone... che non avevano bisogno di esibire diplomi o curriculum per essere ascoltati e presi in alta considerazione.

In una società Aikidoistica nella quale pare che tutto si basi sul peso di una carica o di un titolo, vorremmo qualcosa del genere anche in Italia... almeno, noi lo vorremmo!

In un evento del genere, chi "lavora sul serio" viene semplicemente premiato dal suo stesso modo di porsi, sia esso un Insegnante o un allievo.

Crediamo questo possa costituire il semplice ma inevitabile futuro di un Arte che spesso oggi sembra molto più caratterizzata dall'apparire che dall'essere!

Certo: bisogna rimanere aperti... APERTI a tutto ciò che accade, e soprattutto, aperti alle proposte altrui... nella fiducia che possa esistere un qualche senso positivo dietro ad esse.

E' stato piacevole osservare la formazione di un gruppo così eterogeneo, anche sotto il punto di vista linguistico (le lezioni sono state tenute in inglese, ma quasi sempre c'è stata anche una traduzione in francese ed in italiano) che imparava a conoscersi ATTRAVERSO l'Aikido... quasi come se esso forse una sorta di nuova lingua internazionale, in grado di far comunicare in modo veramente rapido ed essenziale, ben al di là di tutte le limitazioni, differenze e difficoltà.

Un gruppo nel quale "sbagliare" non solo era concesso a tutti, ma diventava esplicitamente un elemento fondamentale del processo nel quale tutti insieme eravamo coinvolti, ossia quello del cambiamento...

Ciascuno a suo agio, poiché si sentiva capito (capito non è sinonimo di "aveva l'approvazione di tutti"!): sembra un qualcosa di così ovvio nella sua semplicità!

Un altro elemento importante, è stato il tempo dedicato dagli Insegnanti ad avere feedback fra di loro... almeno, questo è quanto ci ha raccontato Marco.

Ciascun Insegnante doveva esprimere un suo parere su "come fosse andata" al termine di ogni spot di docenza e ricevere dai colleghi analoghi rimandi, in modo tale che tutti rimandassero sia il proprio lavoro, che quello altrui... e che otto occhi tenessero il polso delle mutevoli ed impreviste situazioni meglio di quanto avrebbero fatto due.

Ancora una volta però: questo implica FIDUCIA!

Fiducia che se un altro Sensei avesse rimandato che un collega aveva fatto "troppo"... o "troppo poco" qualcosa, non sarebbe stato per volontà di prevaricare... o mostrare che la sua esperienza era superiore... ma semplicemente per dare il suo contributo alla miglior riuscita possibile dell'evento nella sua totalità.

Quasi impensabile qui in Italia per quattro Insegnanti contemporaneamente... anche se noi avevamo già ottenuto risultati piuttosto interessanti con lo scorso Aikido Blogger Seminar, a dire la verità... anche se eventi del genere sono ancora piuttosto rari e lontani dal comune modo di intendere i raduni.

Nessuno che pontificava: "Si fa così perché E' GIUSTO... o perché me lo ha detto la suocera del cugino del ciabattino di O' Sensei..."

Tutti che provavano a comprendere tutti, che offrivano le proprie esperienze dirette agli altri: non quindi un ambiente in cui fosse considerato importante "fare bene", ma piuttosto "fare veramente qualcosa insieme, di proficuo per tutti i presenti".

Non sono serviti quindi grandi Guru dell'Aikido a disseminare le loro perle di conoscenza, ma un gruppo di persone interessate a compiere un cammino comune, certamente vestiti da giapponesi... per poter meglio accogliere le bellezze che quest'arte nipponica ha da offrire, ma altrettanto determinati a non perdere la propria identità personale e sociale...

... e - soprattutto - intenzionati a scoprire cosa farsene degli Insegnamenti ricevuti NEL QUOTIDIANO: in fondo quanti di noi utilizzano regolarmente koshi nage sul luogo di lavoro?
Quanti propendono per nikyo ura all'ufficio postale?

Molti lo vorrebbero sicuramente fare... ma allora forse il topic principale è capire perché questo pensiero viene così di frequente, rispetto ad imparare a farlo nel modo più "giusto" possibile.

Noi questo abbiamo fatto: ci siamo interrogati ATTRAVERSO l'Aikido su chi siamo, cosa vogliamo e come fare a fare il prossimo passo nei confronti di ciò.


Tutto ciò che rimane è un senso profondo di gratitudine verso una simile esperienza!

lunedì 15 aprile 2013

Non c'è grado che tenga!

Apriamo quest'oggi con un breve articolo di Nev Sagiba Sensei, tradotto per voi in italiano dalla nostra Redazione (qui il link all'originale)

"Non c'è nessun grado.
Il merito è di chi fa qualcosa.
Il rispetto è qualcosa di mutuo, altrimenti è solamente un atto formale.

Il livello di abilità non emerge dal colore della cintura, da una hakama, una discendenza o altri nomi che possono essere riportati su un certificato.

L'abilità vera ed effettiva è la nostra ricompensa. 

L'eccessiva esigenza di diplomi, nomi riportati ed altre cose simili denotano insicurezza e dubbi in merito al proprio reale livello di abilità.

In un campo di battaglia, un guerriero non cercherebbe i segni del vostro rango, quanto le vostre "aperture". Se le mostraste, lui le utilizzerebbe.


Nonostante tutti i riconoscimenti ed orpelli moriremo.

Se smettiamo di allenarci, così come i certificati e le medaglie raccolgono la polvere, diventeremo grassi, pigri, lassi, scoordinati e ci scorderemo delle cose.

E moriremo più lentamente, ma comunque moriremo.

Suppongo che dipenda da dove ci mente il nostro senso del valore.
Morire con l'illusione "dell'onore", o addirittura invece vivere una vita rispettosa ed onorevole, facendo cose utili e costruttive.

Le abilità emergono dal dedicarsi ad una pratica regolare, sincera e meticolosa... e vivendo una vita costruttiva, utile e produttiva.

Non c'è alcuna gloria nell'essere una pedina in mano a dei pazzi e morire giovani per niente. Assolutamente nessuna.


E questa è una lezione nella quale l'apprendere dalla strada più ostica non fa ottenere alcuna saggezza utile o pratica, eccetto forse per uno spettatore.

Le abilità provengono dal saper soddisfare le richieste (proprie e della vita n.d.t.) in modo qualificato ed efficace.
"Se non le utilizzi le perdi", e un po' di qualcosa è meglio che il nulla. Facciamo ciò che possiamo.

Questo è tutto ciò che un essere umano può fare.

Provare a fare ciò che non possiamo è una perdita di tempo, ma fissare ciò come il nostro punto di arrivo ed aggiungendo rate regolari e gestibili di impegno la muta in una miniera d'oro di potenziale trasformativo che si sprigiona lentamente ed inesorabilmente".

[Nev Sagiba]


E allora come mai spesso sembra così importante il grado per un Aikidoka?!

Forse perché non essendoci competizione in Aikido, quello è l'unico modo di vedersi riconosciuto il proprio impegno?

Non era difficile questo sistema di "comparazione di conoscenze", quando l'insegnate era uno solo (chi GIUDICAVA, cioè)... Morihei Ueshiba, ed era a suo insindacabile giudizio l'attribuzione di un grado ad un allievo.

Ben diversa è la nostra realtà attuale sul territorio: 1000 tipi di Aikido, hanno generato 10000 Insegnanti che utilizzano lo stesso tipo di grado per contraddistinguersi, ma realmente essi rappresentano qualcosa di uniforme?

Se non non avessimo mai sentito parlare di Aikido, ed intendessimo iscriverci ad un corso... propenderemmo per frequentare lezioni di un 2º dan o di un 6º dan?

"boh, che ne so io... più il grado è alto... più sarà BRAVO!"... questo è il pensiero più ricorrente nella mentalità comune.

In effetti è sempre qualcosa di complesso il giudizio di una persona utilizzando numeri che vanno da 1 a 7!

Idealmente il grado è qualcosa che dovrebbe rimandare il livello di coinvolgimento nell'Arte... non solo in termine tecnico, ma anche personale... esistenziale, potremmo dire...

Più è alto, maggiore dovrebbe essere la consapevolezza e la responsabilità di chi lo porta nei confronti dell'Aikido stesso: purtroppo però usare il condizionale è d'obbligo!

NON E' COSI': conosciamo schiere di 6º dan che sanno una frazione della metà di niente di ciò che i nostri Insegnanti ci mostrano al Dojo... così come alcuni 2º dan ai quali noi non saremo "neanche degni di slacciare i sandali" per il loro ingaggio totale in ciò che fanno e per le abilità che hanno di conseguenza saputo sviluppare!

Il grado quindi è qualcosa di molto più relativo, e molto meno algebrico di quanto un numero possa far pensare...

Impegniamoci allora come se il nostro valore dovesse essere solo attribuito da noi stessi, a seconda di quanto valutiamo significative le nostre azioni, e non aspettiamoci per forza che questo valore sia condiviso sempre dagli altri, o - addirittura - da tutta la società Aikidoistica che ci circonda!

Le abilità che sviluppiamo saranno utili innanzi tutto a noi, al massimo ai nostri compagni di pratica più prossimi e/o allievi.

Il migliore riconoscimento è quello interiore, del quale il grado "esteriore" non dovrebbe che essere specchio... ma anche se così non fosse, non importa poi più di tanto.

Guardando l'incredibile abbondanza di alti gradi in Aikido, anche presenti sul territorio italiano, e l'assoluta condizione di miseria in cui attualmente affonda la nostra disciplina in termini di popolarità, cultura e significato per l'uomo della strada, dobbiamo concludere che qualcosa ha fatto cilecca nel sistema delle attribuzioni degli attestati... oppure di come essi non siano onnicomprensivi di tutto il valore ed il merito che ogni Aikidoka maturo dovrebbe possedere.

Quanti Aikidoka sottostanno - ancora oggi - a compromessi assurdi di qualche Maestro guru per vedersi recapitare dopo anni di "lecchinaggio" il tanto agognato "grado giapponese"?

Troppe lotte fra poveracci per mantenere "il proprio orticello", per conquistare il titolo di esperto mondiale di kotegaeshi... per fidelizzare gli inesperti sulla sorta di qualche sorta di discendenza diretta fra sé e la badante del vicino di casa del Fondatore...

I gradi sono forse quelli alcolici... di una sorta di "sbronza collettiva" che ci fa credere che sembrare importanti agli occhi del mondo sia più utile di fare di tutto per esserlo per davvero ai nostri stessi occhi!

Forse è attuale l'esigenza di un po' di sobrietà e di una sana capacità di non prendersi troppo sul serio, pure in Aikido.

lunedì 8 aprile 2013

Juken Waza: l'arma dimenticata dell'Aikido

L'Aikido è passato per un vero e proprio processo di formazione, evoluzione e cambiamento di Arti precedenti, delle quali Morihei Ueshiba è stato indubbiamente attento frequentatore.

Molto della tecnica e dei fini di queste discipline si è modificato durante il processo che ha portato il Fondatore a strutturare ciò che oggi noi conosciamo come Aikido.

E' stato un passaggio lento e graduale... forse imprevisto per lo stesso O' Sensei, che non si era sicuramente posto l'obbiettivo "il prossimo lunedì, alle 17... mi invento una nuova Arte Marziale!"

Quindi è naturale che anche molte delle pratiche nelle quali Morihei Ueshiba si è imbattuto siano state un punto di passaggio che poi siano state tralasciate a favore di nuove esperienze.

Oggi vi vogliamo proprio parlare di una di queste pratiche: il [銃剣] juken waza.

Questo strumento è il surrogato in legno della baionetta, esattamente come il bokken lo è della katana: il Fondatore è vissuto a cavallo di due Guerre Mondiali, in un periodo storico nel quale aveva ancora parecchio senso l'utilizzo di un'arma che potesse essere utilizzata a distanza contro un nemico e ri-utilizzata in altro modo nel caso che questa distanza venisse a ridursi drasticamente e quindi si giungesse ad un corpo-a-corpo.

Ai suoi tempi, specie dal 1940 in poi, l'esercito regolare si addestrava ordinariamente all'utilizzo del fucile con la baionetta... quindi pare assolutamente realistico che un Insegnante come Morihei Ueshiba si fosse posto il quesito di come porsi in caso di una simile aggressione armata da parte di uke...
Nacque quindi una fusione fra l'Aikido DI ALLORA e le tecniche realizzabili con il Juken: armonizzazioni, combattimenti... disarmi, e tutto quanto di più utile si potesse intendere.

Attualmente non si pratica sicuramente juken dori (presa della baionetta), con la stessa frequenza con la quale ci si esercita nel jo dori (presa del jo) o nel tachi dori (presa della spada)... ma la cosa interessante è quanto di questa vecchia pratica sia rimasta intrisa negli sviluppi successivi che l'Aikido ha avuto, e che quindi ancora notevolmente può influenzare gli esercizi che noi tutti siamo soliti fare sul tatami - magari anche ignorandone la provenienza storica!

Noi siamo stati particolarmente fortunati, in questo senso, poiché nel periodo in cui Marco Rubatto fu uchideshi in Francia nel Dojo di Daniel Toutain (uno degli allievi occidentali principali di Morihiro & Hitoira Saito Sensei), egli ha avuto modo di studiare ed approfondire questa pratica, che più volte ha avuto modo di condividere durante le nostre lezioni.

Già da qualche anno, infatti, tramite un ordine relativamente costoso di juken in Giappone (non si trovano molte baionette di legno alle nostre latitudini!), ci svariamo ogni tanto con la pratica di qualche "amarcord", che ci aiuti a cogliere l'importanza della storia e della tradizione nelle pratiche nelle quali siamo soliti immergerci.

Vedendo che on-line non si trova nulla su questo aspetto storico dell'Aikido, ed avendo il piacere di condividere con ciascuno di voi le nostre esperienze...

... una sera abbiamo portato una telecamera al Dojo ed abbiamo filmato una lezione in cui si utilizzava il juken, poi ci siamo messi a cercare un po' di materiale storico che connettesse il Fondatore a questa pratica, in particolare al juken dori (presa della baionetta)

Siamo stati anche fortunati, poiché pareva che tutti i documenti trovati rispecchiassero fedelmente quello che Marco ci ha proposto a lezione - senza che ovviamente la cosa fosse in alcun modo stata preparata!

Quindi... come sempre... senza intenzione di insegnare niente a nessuno, né di creare inutili video didattici, eccovi il reportage di quella sera in cui abbiamo deciso un "famolo strano"... anche a beneficio di coloro che tra voi non hanno ancora avuto modo di sperimentare questa cosa in prima persona.

Buona visione del video... che va gustato fino al termine dei titoli di chiusura... ma OCCHIO A SCHIVARE LE PALLOTTOLE VAGANTI!