Pagine

lunedì 13 maggio 2024

Aikido, il legame con il passato e la virtù di cambiare prospettiva

Oggi, 13 maggio, ricorre il 22-esimo anniversario della morte di Morihiro Saito Sensei, figura che per tutti i praticanti di Iwama Ryu è stata una imprescindibile fonte di apprendimento e di ispirazione.

Io non ho mai avuto un rapporto personale diretto con lui, anche se ho partecipato a tutti i suoi Seminar in Italia dal novembre 1992 (Torino) al maggio 2001 (Ostia)... però ricordo ancora quel messaggio di Sonoko Tanaka San - la sua traduttrice ufficiale - con la quale nel frattempo ero diventato buon amico, che mi annunciava la scomparsa di questo grande Maestro.

La ringrazio ancora per avermi pensato in quel momento delicato!

Il mio modo di praticare è stato completamente dedicato ad apprendere la sua linea didattica per oltre 15 anni, quindi per ben oltre ai 9 nei quale sono stato così fortunato di calcare lo stesso suo tatami; sono stati fondamentali per me anche gli insegnamenti ricevuti dai suoi Deshi diretti: Hitoira Saito, Paolo Corallini, Ulf Evenas, Ethan Weisgard, Daniel Toutain, Miles Kessler, Patrick Cassidy, Bjorn Saw, Gaku Homma, Hiroshi Isoyama, Hiroki Nemoto, Shigemi Inagaki, Yoshifumi Watahiki (1937-2019)... per citare i primi ed importanti che mi sovvengono.

É come provare a comprendere un vasaio esaminando i vasi che ha creato: c'era un po' di Saito Sensei in ciascuno di loro, ma incontrare e frequentare così tanti discepoli dello stesso Maestro, mi ha permesso di capire COSA fosse un principio ricevuto, da cosa fosse l'interpretazione personale di chi lo aveva ricevuto...

Non che le interpretazioni siano un peccato mortale, intendiamoci... Sono inevitabili, purtroppo e fortunatamente: così non ci è consentito essere cloni di nessuno, ma essere sono noi stessi!

Ciò che a volte però manca a parecchi Aikidoka, pure di apprezzabile rango, è proprio la capacità di mettersi nell'ottica di qualcun altro, magari qualcun altro che non conoscono affatto.

A me l'Iwama Ryu è sempre piaciuto un sacco, forse per attitudine personale, forse per potenzialità didattica... però devo ammettere che fino al 2001 NON avevo la più pallida idea del mondo Aikidoistico che viveva al di fuori della comfort zone, che allora amavo chiamare "casa".

C'era l'Aikikai d'Italia, con i Maestro Tada e Fujimoto, attivissimi all'epoca... c'erano i Maestri Kobayashi, Tohei e Tamura che venivano spesso in Italia (o al limite in Francia)... tutti allievi diretti dello stesso "vasaio" che aveva formato anche Morihiro Saito Sensei, ovvero il Fondatore, Morihei Ueshiba.

Nella nostra Scuola al tempo c'era il giudizio molto facile per coloro che provenivano da percorsi differenti all'Iwama: "quello non è tradizionale", "quello non è marziale", "quella è solo danza"... Insomma, sembrava che avessimo capito tutto solo noi, e che con gli altri bisognasse avere pazienza, perché, "poveretti", stavano facendo quello che potevano... essendo distanti dalla via maestra e dalla "verità" sull'Aikido.

Per mia fortuna, uno scossone nella vita mi ha portato fuori da questo incubo inutile e forse pure dannoso, che ancora oggi molti si dilettano a sognare: ed eccomi la, ad uno stage di Fujimoto Sensei, senza capire un H dei suoi 1000 tenkan ed irimi tenkan, che allora mi parevano un magheggio davvero virtuoso quanto inutile... o ad un seminar di Tissier Sensei, con questa "r" moscia facile e l'accento sull'ultima lettera di ogni tecnica: "koshinagé, iriminagé, tenchinagé"... ed io mi dicevo. ma questi perché usano termini giapponesi senza nemmeno curarsi della loro pronuncia corretta?

Per me era tutto un grande non-senso: dal kinonagare continuo senza alcuna presa solida... ai test di Ki fatti con Gianni Gioconto Shihan del Ki Aikido.

Il mio passato mi aveva dato grande supporto... perciò facevo una certa fatica ad affrancarmene, anche solo temporaneamente.

Sono però stato molto fortunato e diverse persone hanno avuto con me, Iwamista puro e convinto, la stessa pazienza che mi si diceva avrei dovuto avere con gli Aikidoka diversamente abili che praticavano al di fuori del mio lineage di provenienza. E non hanno avuto solo pazienza: mi hanno anche trasmesso insegnamenti e principi di inestimabile valore, che non avevo mai incontrato prima.

Ne elenco alcuni:

- l'importanza dell'integrità di uke, che da dove provenivo alcune volte veniva trattato come quando si butta via l'umido;

- l'importanza del ritmo e del flusso, cosa che non ero ancora riuscito a praticare molto, visto che allora ero un semplice 2º dan, che iniziava appena a mettere il naso fuori da un allenamento esclusivamente statico; per la carità, il kihon lo conoscevo bene, pero!

- la didattica di ukemi, ovvero come cercare un rapporto armonico con il mio partner prima e con il tatami dopo... per evitare auto-proiezioni che ero abituato a fare per non subire lussazioni di polsi, gomiti o spalle.

... insomma, pure fuori dal mio orticello c'erano tanti contadini che coltivavano altra verdura... ed il loro raccolto non era necessariamente solo di erbacce ed infestanti!

Cercai sicuramente per prima qualcosa che mi ricordasse "casa", ma anche qualcosa di nuovo da esplorare, visto l'immensità di lacune che mi rendevo conto di avere.

E la stranezza era che ciò che per me era chiarissimo, risultava sconosciuto o quasi agli ambienti extra-Iwama che iniziavo a frequentare (l'Honbu Dojo, per esempio... i Seminar degli Shihan Aikikai in giro per l'Europa...), mentre ciò che per questi era l'ordine del giorno, per me risultava qualcosa di nuovo almeno quanto ostico.

Quindi ero giunto in una sorta di ambiente non solo differente dal mio di provenienza... ma pure ad esso COMPLEMENTARE!

C'era un botto di roba che avrei potuto prendere da quelle nuove frequentazioni (ed ho cercato di fare del mio meglio per farlo!) ed alcune cose che avrei anche potuto dare, se solo qualcuno mi avesse chiesto che cosa ne pensassi di alcune pratiche... ma a nessuno al tempo fregava di un povero Iwamista lontano da casa, accolto come il brutto anatroccolo, mentre cercavano -a loro volta - di catechizzarmi all'Aikido con l'accento sull'ultima lettera delle tecniche.

Il buki waza, per esempio: vedevo fare cose che avrebbero fatto accapponare la pelle a chi avesse un minimo di cultura della pratica con le armi... cose che Saito Sensei diceva essere ESPRESSAMENTE devianti o errate nell'ottica dell'Aikido del Fondatore.

E questi tutti li a inventare l'acqua calda, pure scaldata male... mentre il più brocco dei brocchi di Iwama avrebbe mangiato l'insalata in testa a tutti, invece di mischiare Katori Shinto Ryu, Kashima Shin Ryu, Jodo e Iaido... come se fossimo all'All-You-Can-Eat cinese. Questo almeno era il mio sentire di allora...

Non uno tsuki che avesse un senso, però tutto fatto in modo molto elegante e scenico!

La cosa mi interessava poco: avevo già avuto chi mi aveva spiegato come fare uno tsuki con il jo, non avevo bisogni di imparare una semi-scemenza al suo posto, né era possibile dimenticare il buono che già portavo con me.

Ma ciò che mi faceva impazzire comunque era questa evidente COMPLEMENTARIETÀ: roba da costringere tutti gli Iwamisti a farsi un tirocinio intensivo da Tissier... e costringere quest'ultimo ad andare mezzo secondo ad Iwama ad imparare un kata di jo decente! Giusto per prendere due stili famosi, che ciascuno ben identifica.

Beh, avevo appena appreso, empiricamente, che tutto l'Aiki-mondo è Paese... e che chiunque pensa di essere sulla buona strada, deduce (erroneamente) che deve essere su una strada peggiore chi non vede sulla propria.

Credo sia un atteggiamento molto umano: arrivavo da un luogo altamente giudicante, ad esempio, ma ero finito in altri luoghi altamente giudicanti a loro volta... quindi non era cambiata la malattia, ma solo i malati.

Ma se si rinuncia a questa mediocrità (ancora parecchio dilagante, devo dire!) e si inizia a lavorare sui PRINCIPI della disciplina, si incomincia a comprendere PERCHÉ Scuole diverse fanno le cose in modo diverso, talvolta addirittura completamente opposto fra loro: non c'è nessuno che stia sbagliando, solo si è influenzati da una propria PROSPETTIVA caratteristica.

Alla luce di ciò, tutto torna, invece... e le biodiversità creano una completezza ed un senso dei quali ciascuno di noi sente assoluto bisogno. Ma per comprendere questo è necessario prima conoscere benino, se non padroneggiare, anche ciò che appare più lontano dal nostro sentire.

E sono semplicemente in pochi ad essere disposti a fare questo viaggio: si vede così che il giudizio, o il pregiudizio, sono elementi molto COMODI per stare nella propria area di comfort e non crescere ulteriormente.

Da qualche tempo ho l'onore di ricevere visite di allievi appartenenti a molte Scuole e stili di Aikido differenti, ed ogni volta è sempre altamente costruttivo fare vedere loro che NON è necessario lasciare fuori dalla porta il frutto delle loro esperienze precedenti, ma è possibile integrarlo e completarlo con il pazzo (i pezzi) che a loro sono meno familiari.

C'è gente che si scusa di non riuscire a fare il movimento che faccio io, quando nemmeno io sarei capace di fare altrettanto bene il loro... ovviamente!

Chi studia 10 anni di informatica e poi si trova ad imparare la chimica... ci mette più di un attimo a rendersi conto che si tratta di sistemi DUALI, e quindi con un botto di similitudini e complementarietà.

L'Aikido avrebbe molto bisogno di informatici che vogliono studiare chimica e chimici che desiderano apprendere l'informatica, per stare nella metafora.

Il legame col passato - Saito Sensei e la Scuola di Iwama, nel mio caso - NON si può, né si deve recidere... resta li a fare da terreno di supporto a tuto ciò che ci potrà venire costruito sopra di ulteriore: quindi chiunque avrà qualcosa di caro da tralasciare momentaneamente per diventare più esperto, ma al quale tornerà quando lo desidera.

Solo un sprovveduto può ritenere che un'esperienza precedente gli sia stata inutile o - addirittura - di freno: significa che non ne ha compreso il valore, non ne ha tratto più di tanto frutto... ed in questo caso NON sarà in grado di trarre più di tanto frutto nemmeno dalle esperienze successive a quella.

Un'immensa gratitudine va ad un grande Uomo, come Saito Sensei, che per tuta la vita ha provato a fare da custode ad una tradizione marziale e tecnica, e che non si è forse accorto che il suo "vasaio" insegnava anche altro... che per fortuna nostra è stato colto da altri suoi allievi diretti... che però di contro non hanno altrettanto valorizzato ciò che è stato diligentemente studiato codificato da Saito Sensei. Perché ciascuno è unico, e va ringraziato per il valore aggiunto che è in grado apportare e non denigrato per i propri limiti.

Il bello in Aikido è che serve TUTTO, e che oggi in giro questo "tutto" è stato frammentato in decine di contenitori differenti: agli Aikidoka accorti il delicato e meraviglioso compito di ricomporre i pezzi del puzzle!


Marco Rubatto




2 commenti:

  1. E' tutto vero e sinceramente dipende molto dal carattere del praticante. Se uno vuole imparare per migliorarsi quando andrà in altre "parrocchie" né si umilierà né farà le esperienze "tanto per provare" o "fare curriculum". Cercherà invece un sano approfondimento alla propria pratica quotidiana che poi è alla fine quello che si fa ad uno stage: apprendere dei principi, dei metodi, ricevere degli spunti, nuove prospettive per poi andare a "digerirli" e sudarli nel proprio dojo.
    La "compartimentazione stagna" dell'Aikido, anche a livello di grandi maestri, io ritengo che personalmente sia più figlia della visione degli allievi che dei maestri stessi. I Maestri, quelli che incidono davvero su un gran numero di praticanti, hanno lavorato e/o lavorano in maniera quotidiana e non per 3/4 ore la settimana. I vantaggi: la loro maestria è sotto gli occhi di tutti (ed è normale per una persona normodotata che fa la "stessa cosa" per diverse ore al giorno). Lo svantaggio: tale pratica modifica anche la loro "forma mentis" e mentre loro evolvono il resto del dojo resta mentalmente ancora ad una pratica da dopolavoristi. E io sono uno di questi. La conseguenza? Il maestro esplora, ricerca proprio in virtù del suo duro lavoro passato ma gli allievi vedono sempre e solo l'ultimo "giro di danza" e pensano che quello non è il punto di arrivo di una vita di allenamento inteso (fisico e mentale) ma un punto di partenza! Ecco spiegati i pregiudizi. Lo stesso potrei anche dire del M°Rubatto se non lo conoscessi e vedessi solo alcuni video (senza andare al suo dojo) dove sembra fare movimenti "iwamamente dubbi". Ma io lo conosco e so che quello che propone è frutto di una sua pluriennale ricerca che va oltre l'angolo giusto di 27,5° et simila.
    E credo proprio che la sfida per questi Maestri sia nel dosare certi tipi di insegnamenti perché il rischio di essere fraintesi è grande. Ora comprendo il perché delle "tecniche segrete" (una volta tutte le tecniche "ura" erano riservate ai praticanti anziani) mentre a noi sembra che se non diamo tutto noi stessi agli allievi li stiamo in qualche modo "truffando". Mi ricorda in un certo senso il "mito di Semele" o, se vogliamo essere più terra-terra, citando Luttazzi: "questo telegiornale va in onda in forma ridotta per venire incontro alle vostre capacità mentali".
    Noi allievi (e qualche sempai anziano) abbiamo bisogno del tg in forma ridotta quotidianamente ma è giusto ogni tanto rinfrancare lo spirito con un bel pezzo di cinema d'autore.

    RispondiElimina
  2. Una lettura del tutto, molto interessante e conoscitiva avendo un cuore generoso, che desidera sempre vivere con passione e sperimentare, per cui sono perfettamente d'accordo con
    l' ultima considerazione.

    RispondiElimina