Pagine

lunedì 27 maggio 2024

Aikido e dipendenze: in punta dei piedi in una realtà da conoscere

Il Dojo, i corsi di Aikido (e di qualsiasi altro genere) sono per definizione luoghi sociali, nei quali si incontrano persone di ogni tipo, eterogenee sia per fisico, che per carattere e che per storie personali.

Fra esse, quest'oggi mi occupo di una tipologia abbastanza specifica, ma non poi così rara, ovvero di quelle che soffrono da acute forme di dipendenza.

Per "dipendenza" non mi riferisco a semplice sfizio della sigaretta dopo i pasti, ma a vere e proprie forme di bisogno assoluto di assumere sostanze specifiche o comportamenti specifici, tipo:

- sostanze stupefacenti, le cosiddette droghe (eroina, cocaina, cannabinoidi e oppiacei);

- farmaci, soprattutto antidolorifici, antidepressivi, ansiolitici o sonniferi;

- giochi d'azzardo (ludopatia);

- frequentazione di internet e social media;

- frequentazione di pornografia;

- alcol...

In oltre una ventina di anni di insegnamento, mi è capitato già parecchie volte di avere nel gruppo persone che soffrono di questi generi di dipendenze tossiche, per loro stesse innanzi tutto, ma spesso anche per le persone che sono loro accanto.

A questo proposito, il compito del Docente diventa delicato e duplice, poiché si tratta di offrire più supporto possibile a chi già si trova in una condizione di sofferenza e bisogno... ma al contempo è necessario tutelare il gruppo stesso, nel quale alcune dinamiche potrebbero risultare un pericoloso boomerang.

Premetto che per essere di supporto a determinate dinamiche è necessario essere dotati di competenze specifiche che di solito richiedono l'intervento di un professionista o di una struttura apposita... quindi non è esattamente alla portata di tutti ingaggiarsi in relazioni di aiuto di questo tipo.

Se non si è più che sicuri di ciò che si fa e, soprattutto, se non si ha un metodo sviluppato in contesti lavorativi affini a questo tipo di situazione (educatore professionale, operatore sanitario, psicologo, etc) è rischioso lanciarsi in un campo delicato e del quale si conosce ben poco... e nel quale - pur con le migliori intenzioni di tipo umano - si rischia di fare più danno che altro.

Perciò se è necessario affrontare determinate tematiche, bisogna dotarsi degli strumenti più adatti per farlo; avendo lavorato per quasi 9 anni in campo sociale, ho una idea piuttosto chiara di cosa voglia dire essere accanto a chi soffre di una dipendenza, anche quando è meno simpatico essere li... durante una crisi di astinenza, per esempio.

Ma se uno non è per nulla del ramo, rischia di spaventarsi e di chiudersi... magari allontanando dal gruppo la "pecora nera", per timore che questi possa portare scompiglio ai compagni. Ciò è umanamente comprensibile, ma è una REAZIONE, quindi NON fa perte dei principi della disciplina, che invece richiedono un atteggiamento proattivo, più inclusione e comprensione del prossimo ... anche (e soprattuto) quando questi può rappresentare un problema ostico.

Rammento - se ce ne fosse bisogno - che chi ha qualsiasi problema di dipendenza patologica (conclamata o meno) è prima di tutto una persona che SOFFRE: è l'anello debole di se stessa... prima ancora di essere un problema per gli altri, pur talvolta risultando essere anche un problema significativo per gli altri.

In questi casi ho sempre optato per il dialogo diretto e privato con il soggetto che notavo avere qualche forma di "stranezza" che non sempre è facile identificare (N.D.R. non è che la gente entra al Dojo e mi viene a dire che sniffa crack alla sua 2º lezione...).

Per esempio, essendo astemio, sento al volo un alito alcolico... quindi non è semplice nascondermi chi alza un po' il gomito con una certa assiduità.

In ogni caso, anche qualora non fosse chiaro cosa ci fosse che non va... mi sono sempre fidato del mio intuito ed ho chiesto ai diretti interessati quale fosse il loro problema: si vede una persona che non è in un buon equilibrio psico-fisico... e soprattutto non ha un buon centramento mentale ed emotivo.

Le persone si sono sempre divise in chi - su richiesta esplicita - iniziava ad aprirsi... confessava la propria problematica e quindi potevo permettermi di chiedere come potergli dare supporto, chi non ne parlava direttamente, ma mi faceva capire con giri di parole quale fosse il nucleo del problema... e chi negava spudoratamente che ne fosse uno che lo/la riguardava.

Ho avuto allievi psichiatrici che hanno negato per mesi di esserlo perché temevano che li avrei sbattuti fuori dal corso se fossi venuto a sapere che facevano utilizzo regolare di psico-farmaci, specie di stabilizzatori dell'umore.

Ma il mio ruolo NON è quello di punire chi ha un problema... al massimo è quello di rimandare le precise responsabilità di chi ha un problema e non se ne prende adeguata cura, anche nelle sedi opportune... che possono essere anche molto diverse dal Dojo.

Di solito è di grande aiuto alle persone SENTIRSI VISTE senza sentirsi però giudicate, specie nelle proprie fragilità: questo mi ha molte volte permesso di fare dei "patti" d'acciaio con queste persone, chiedendo loro di impegnarsi a fare (o non fare) cose specifiche, come tenere un atteggiamento positivo all'interno delle lezioni di Aikido e di collaborazione con i compagni... a fronte della possibilità di affrontare insieme alcuni aspetti delle problematiche che li affliggono.

Esse sono praticamente SEMPRE di origine psicologia: la mancata accettazione di una situazione, di un trauma subito, di una relazione genitoriale o amorosa non facile o sana... TUTTE cose di questo genere.

Gli unici casi nei quali ho riscontrato qualcosa di diverso era quando avevo a che fare con situazione borderline fra disabilità intellettiva e psichiatria: in questo caso esisteva una compromissione biologica di fondo, che corroborava poi problemi di carattere personale e relazionale.

Questi tipi di problematica di alcuni allievi necessita di un certo quantitativo di tempo da spendere in appuntamenti, risposta di messaggi, whatsapp ed email... specie nei momenti nei quali le dipendenze si accentuano e quindi ci sono più problemi di tenuta personale.

Si possono avere momenti di depressione, scatti d'ira ed aggressività... insomma tutta una serie di cose che può non passare per nulla inosservata anche a tutto il resto dei membri del corso, che però sono spesso più disorientati e preoccupati di quanto non lo possa già essere il loro Sensei.

Se è il dialogo la forma di comunicazione prevalente, ci saranno diverse persone che vanno dal Maestro a chiedere: "Come mai quando lavoro con Tizio mi trovo male?", "Perché Caio mi tratta così, cosa gli ho fatto?"... oppure "Non riesco proprio a relazionarmi con Sempronio, ma non so perché".

In questo casi, il Sensei inizia a lavorare su ben DUE fronti contemporanei e complementari: continua a dare supporto a Tizio, Caio e Sempronio... mentre agevola l'accettazione delle loro problematiche ai vari membri del gruppo che vengono a lamentare le tensioni che sono sorte con loro. Non sono le situazioni più facili del mondo, e - come dicevo - se non si ha un minimo di strutturazione, queste dinamiche rischiano di inghiottire tutto e tutti... Sensei compreso.

Bisogna avere chiaro sia qual è il proprio mandato, sia quali sono i suoi limiti.

Non ho mai allontanato nessuno dal Dojo (fino ad ora, almeno) per avere avuto problematiche personali che si riversavano copiosamente nel lavoro del gruppo... ma ho anche avuto la fortuna di incontrare persone più o meno collaborative, nonostante le proprie difficoltà legate alle dipendenze.

Ciò di cui sono consapevole e che mi ha aiutato tantissimo nel tenere chiarezza fra me e gli allievi è che NON si può veramente aiutare NESSUNO al mondo, ma al massimo si può supportare il prossimo mentre egli DECIDE di aiutare se stesso... tutto qui.

Se difronte avete un drogato o un alcolista che è innanzi tutto consapevole della sua problematica (quindi che non la nega) e che sta facendo "il suo" per uscirne... esiste un margine di lavoro comune, che credo potrà tornare utile a tutti. Altrimenti non c'è nulla da fare, purtroppo.

Se la persona non si manifesta collaborativa, o nega la propria condizione problematica, è importante metterla dinnanzi a dati chiari ed incontrovertibili: "Se è come mi dici tu, perché molti si lamentano di te?"

E li parte la lista di tutto ciò che è stato notato che non andava.

Ovvio che questo NON faccia piacere al nostro interlocutore, ma è l'unica cosa di onesto e sano che si può fare per lui, ovvero metterlo davanti a se stesso... ed al fatto che se non si assume qualche responsabilità, non potrà che perdere credibilità agli occhi di se stesso, del Maestro e dei compagni.

A quel punto, chi non vuole fare il suo "click" di solito se ne va da solo dal gruppo, prima ancora che gli si ponga un out-out.

Girando spesso per i tatami italiani ed esteri, ho potuto notare che la frequentazione da parte di allievi "difficili" della tipologia che trattiamo oggi è tutt'altro che rara: mi verrebbe a dire che quasi in ogni gruppo ci possa essere il "frequentatore complicato" da gestire, sia come allievo, sia nelle problematiche che causa nel gruppo dei propri pari.

La vita che conduciamo è così stressogena che è anche in aumento il numero di persone affette da qualche problematica di dipendenza, proprio perché mentre aumenta lo stress, non aumenta di pari passo la consapevolezza della sua gestione. Il mondo delle dipendenze è quindi spesso uno scomodo RIFUGIO nel quale andarsi a rintanare per stemperare le proprie paure ed ansie e lenire o anestetizzare il nocciolo del problema... che è al 100% di tipo PERSONALE.

Ci sono situazioni esterne che di certo non aiutano la presa in carico di questo problema di sofferenza profonda, questo è altrettanto vero... ma è anche vero che non è mai ciò che ci accade a fare la differenza, quanto come ciò che di oggettivo ci accade viene percepito.

Una persona sana e proattiva è in grado di accettare nuove sfide ed anche nuove ed inedite difficoltà, perché ha in sé la fiducia di riuscire a trasformarle in nuove fonti di soddisfazioni, vittorie personali ed ispirazioni per il futuro... per la persona "malata" ogni nuovo problema è un'ulteriore spinta a rintanarsi dentro il proprio baratro, nel quale però si soffre parecchio e dal quale si generano pure un sacco di problemi agli altri, seppur del tutto involontariamente.

Perciò non c'è colpa alcuna, ma ci sono un mare di RESPONSABILITÀ che vengono mosse!

Un l'etimologia del CEPU suggerisce che la parola "responsabilità" possa leggersi come "abilità a rispondere"... e nei casi che trattiamo oggi sembra che questa abilità venga pesantemente meno.

Dietro alle persone che si drogano, che bevono, che spendono stipendi interi al gioco - lo ripeto ancora una volta - ci sono delle sofferenze e delle problematiche che non hanno bisogno di essere giudicate da nessuno: mi piace pensare a persone SANE, che hanno preso abitudini poco costruttive per se stesse... fino a dimenticarsi di quanto di base possano continuare ad essere persone SANE.

L'Aikido aiuta un botto a trasformare un problema in un'opportunità ed uno scontro in un incontro... quindi può essere una disciplina in grado di fare una certa differenza per chi soffre di aspetti di sé che normalmente preferirebbe nascondere sotto il tappeto.

Ma - siccome abbiamo detto prima, che nessuno in realtà può aiutare nessuno - bisogna ricordare fermamente a chi ha determinati problemi... di essere LORO ad avere BISOGNO dell'Aikido... dato che l'Aikido di per sé NON ha proprio alcun bisogno di nessuno.

E se così è, risulta importante che possano frequentare i corsi... ma prendendo un serio impegno verso la community che li circonda... poiché è bene che tutti siano ben predisposti anche verso i limiti del proprio prossimo, ma non è accettabile che possano essere valicate alcune soglie dettate dal buon senso... prime fra tutte quelle della decenza e del rispetto reciproco.

Questa frase può essere letta così: "Se non sei capace di volerti bene e quindi tratti male te stesso ed anche me... puoi restare se ti impegni fattivamente a cambiare questa condizione, altrimenti il Dojo non è un luogo in cui perdere il tuo tempo e farlo perdere a noi tutti".


Marco Rubatto





Nessun commento:

Posta un commento