lunedì 15 ottobre 2012

Il rispetto dovuto al Maestro ed il rapporto con l'allievo

Ci siamo fatalmente imbattuti in queste settimane nel pernicioso argomento "rapporto Maestro-allievo", di cui molto si è detto, ma che spesso suscita ancora forti divisioni, specie nel mondo dell'Aikido.

La tradizione di qualsiasi Arte orientale (fra le quali certamente non fa eccezione la nostra) parla di un rapporto che non può essere certamente definito paritario: il Maestro, il Sensei, è "un qualcuno" che sta in alto, che DEVE essere ascoltato, che NON PUO' essere contraddetto, che sa cosa E' GIUSTO e cosa NON E' GIUSTO che l'allievo faccia...

... ne regola, in qualche modo, l'attività aprendo i suoi orizzonti, ma facendo altrettanto in fretta a chiuderli qualora egli dovesse valutare che non siano i più consoni alla sua maturazione ed evoluzione della disciplina praticata.

La tradizione giapponese ha coniato addirittura specifiche forme linguistiche per normare le comunicazioni ed i rapporti fra coloro che occupano posizioni di livello differente attraverso la "scala gerarchica" sociale, così come avviene fra l'allievo ed il Maestro.

In generale, sii chiama 敬語 Keigo (letteralmente "lingua di rispetto") la modalità linguistica utilizzata in giapponese per enfatizzare il rapporto interpersonale fra gli interlocutori, in relazione all'età, alla posizione sociale e al grado di intimità esistente. Può essere usato per esprimere alternativamente un atteggiamento di rispetto, umiltà, intimità o distacco.

Fra essi, in particolare il 尊敬語 Sonkeigo è il linguaggio rispettoso utilizzato per mettere in risalto quanto il nostro interlocutore occupi una posizione di rispetto più alta della nostra; analogamente esiste un linguaggio chiamato 謙譲語 Kenjōgo  che rappresenta il linguaggio umile da utilizzare quando su vuole far risaltare quando chi parla si ad un livello sociale più basso rispetto al proprio interlocutore.

Queste forme colloquiali non sono poca cosa da apprendere e utilizzare con coerenza, poiché implicano il cambiamento morfologico di verbi, sostantivi ed aggettivi... ma sono comunque molto utilizzate in Giappone ben al di là dei rapporti gerarchici in un Dojo di Arti marziali.

Sonkeigo + Kenjōgo suonerebbero più o meno così: "O divino, lei si innalza al di sopra di ogni possibile magnificenza, nonostante che sia questa insulsa merdaccia a dichiararlo!"

Anche il termine Sensei è particolarmente significativo etimologicamente: "colui che è nato prima"... non sicuramente in senso anagrafico, ma "addivenuto prima ad una consapevolezza" che gli altri stanno ancora maturando.

Avendo iniziato prima la strada ed essendo stato diligente, si suppone abbia incontrato e già risolto alcuni problemi, incertezze e dubbi che assalgono ogni praticante: non c'è nulla di speciale quindi in lui, che lo rende - in qualche modo - "il prediletto", ma gli si deve rispetto per il fatto che prima di noi si è incamminato nella via che ora tutti percorriamo.

Il Maestro quindi si eleverebbe ad un livello differente dallo studente per questioni esperienziali... che l'allievo cercherà di colmare con l'avanzamento nella disciplina.
Se il Maestro a sua volta non dovesse più riuscire ad evolvere, si vedrebbe prima affiancare, quindi superare dai suoi stessi studenti.

Si noti che in questa accezione profonda, Maestro è una cosa molto differente da Insegnante!

Quest'ultimo impartisce nozioni, istruzioni: è un tecnico, magari molto rinomato... ma il Sensei dovrebbe assomigliare più ad un Maestro di vita, che a chi ci insegna dove mettere il mignolo della mano sinistra... o perlomeno, un Maestro dovrebbe aiutarci a trovare la nostra stessa Via, ANCHE mentre ci mostra come mettere il mignolo della mano sinistra!

Fin qui tutto quadra per chiunque abbia un po' studiato la tradizione orientale... ma il problema immenso risiede nel fatto che noi - pur praticando arti orientali - NON VIVIAMO IN GIAPPONE!

E quindi, cosa cambia?!

Cambia che alcuni maestri (la "M" minuscola è una scelta) nostrani, sentendo di potersi far rispettare per le onorevoli ragioni di cui sopra, hanno iniziato a "marciarci" un po' su... diciamo per ragioni molto diverse dalla differenza di esperienza effettiva con i loro allievi.

Diciamo che qui in occidente... la differenza principale fra alcuni Insegnanti di Aikido di alto rango e Dio... è che Dio non crede minimamente di essere un insegnante di Aikido!!!

Giochi di potere, necessità di controllare gli altri, insicurezze personali... ed ogni sorta di piccolezza umana vengono spesso mascherati da gradi elevati che filosofeggiano su ciò che sarebbe meglio (nel loro modo malato di vedere il mondo) per i loro allievi-adepti, manco si appartenesse ad una nuova corrente religiosa, che vede il Sensei di turno al posto del Guru!

Qualche TONNO ancora ci casca (sempre meno, dobbiamo fortunatamente dire!)... e per un po' di settimane/mesi/anni non si rende conto di essere capitato al cospetto di un insignificante pallone gonfiato, tutto parole e niente fatti...

...ma solitamente si esce molto amareggiati da una simile esperienza: viene voglia di mandare alle ortiche l'Aikido, non l'imbecille che ce lo insegnava e che intanto - sfruttando la soggezione che avevamo di lui - si è fatto ristrutturare GRATIS la casa!

E quindi... quindi si cade nell'atteggiamento diametralmente opposto di intendere la figura del Maestro o dell'Insegnante di Aikido...

"Ciao fratello, sono il tuo senpai, come butta!"... "accomodati caxxo, e vediamo di sbarcare insieme il lunario anche oggi, ok - Bella fraté, batti l'Aiki 5!

L'opposto è che agli Insegnanti NON PIACCIA PIU' l'idea di essere identificati come guide, proprio per via del cattivo esempio che hanno ricevuto in precedenza dai loro "maestri" e/o per la grande responsabilità che non si sentono pronti ad assumersi nei confronti della crescita di chi è alle prime armi e si iscrive al proprio corso.

L'idea "qui non c'è nessun Maestro", "sei solo insieme a noi, a percorrere la tua strada"... con un allievo un po' più esperto che prova a sgomberare un po' il percorso, per quello che gli è possibile... inizia a diventare parecchio diffusa.

Una dimensione "orizzontale dell'Aikido", in cui tutti contano uguali e nella quale il contributo di tutti è fondamentale... senza un Sensei che riversa la sua saggezza a gente che se la beve per forza, senza capacità critica personale.

Questa posizione SEMBRA molto differente da quella tradizionale, ma a nostro dire è così solo perché quest'ultima è stata molto fraintesa o poco compresa!

C'è veramente differenza fra "l'Aikido del velemose bbene" e quella della relazione piramidale inarrivabile? Forse si, forse no...

In occidente siamo Maestri veri nel separare gli opposti, in oriente invece lo sono nel riuscire a riconciliarli!

Se apparteniamo ad un gruppo, un Dojo, nel quale l'Insegnante non se la sente di farsi chiamare Maestro (magari anagraficamente è pure più giovane di noi!), ma si sbatte come un tappeto per crescere, per garantire evoluzione e studio serio a chiunque appartenga al suo "giro"...

... naturalmente scaturirà dagli allievi una sensazione di rispetto per questa figura - CHE NON HA CHIESTO PROPRIO NULLA - che lo renderà una vera e propria guida, ottenendo così i benefici di quella relazione "verticale" che la tradizione indica come l'unica possibile.

Qui il funzionamento è ottenuto perché l'allievo con umiltà "abbassa" il suo livello rispetto alla figura dell'Insegnante (ciò che prima definivamo linguisticamente 謙譲語 Kenjōgo).

La partenza è stata qualcosa di apparentemente molto distante dalla tradizione, ma il risultato può esservi ri-confluito pienamente dentro.

Differente quando invece l'Insegnante PRETENDE che un certo rispetto gli venga riconosciuto a priori, anche da chi non sa ancora nulla del suo operato (in questo caso è lui a volersi innalzare rispetto al suo interlocutore comune).

Il fatto che la nostra cultura sia profondamente differente da quella nella quale le nostre discipline sono nate non ci aiuta molto a comprendere le sottili dinamiche che posso crearsi fra Maestro ed allievo, e saremo forse tentati di liquidare il discorso con un "così è giusto e così è sbagliato"... ma commetteremmo notevoli errori a farlo!

Il momento più delicato in cui un Maestro si rivela tale è quando deve dire dei decisi NO ai suoi allievi, semplicemente perché li vede prendere strade REALMENTE ed esperienzialmente infruttifere per loro stessi.

Se non si opponesse, sarebbe connivente del tentativo del proprio alunno non crescere, dopo che invece questi gli aveva conferito il mandato di fare l'opposto (aiutarlo a maturare).

Cosa fare quindi?
Essere troppo "amici" non aiuta in questi casi: nessuno vorrebbe far soffrire un amico... mentre un medico non ha dubbi nel medicare una ferita, anche se ciò dovesse far temporaneamente male al paziente.

Un Maestro che sta in una posizione gerarchicamente differente dal proprio allievo ha questa possibilità, altrimenti deve rassegnarsi a lasciarlo allo sbando anche se è conscio dei rischi che gli fa correre.

Il rapporto "Maestro-allievo" è quindi prima di tutto un sentire personale, che è difficile confinare in ranghi rigidi e stereotipati, così come non sono definite le dinamiche che caratterizzano in generale l'interazione umana.

Questa è poi un'interazione di natura tutta particolare... nella quale chi impara ha SCELTO personalmente di farlo, quindi si approccia in modo umile - "vuoto" forse - alla strada che gli consentirà di perseguire i suoi scopi.

Il Maestro è la figura TRAMITE e non grazie alla quale tutto ciò si realizza: un compito sicuramente non facile e molto delicato per alcuni versi.

Egli è come una specie di "usciere", che apre la porta all'allievo: spetta poi a questi fare la fatica di passarci attraverso... quindi egli realizza se stesso grazie alle sue stesse risorse, altrimenti il traguardo non potrebbe realmente essere percepito come SUO!



Un Maestro non è quindi chi si SOSTITUISCE alla libertà di un allievo, ma è chi la argina poiché ne ha avuto il mandato e perché entrambi (sia Maestro che allievo) sono contemporaneamente CONSCI di quello che stanno facendo insieme.

Non c'è posto per troppo personalismo e giochi egioci da parte di nessuno, ma specie da quella dell'Insegnante che dovrebbe ben sapere cosa si rischia in caso contrario.

Volete quindi avere una chiara linea guida su come scegliere un BUON MAESTRO?

Semplice: trovate una persona che fa ciò che dice di voler fare e che esprime nel quotidiano lo stesso genere di insegnamento che dispensa sul tatami, che lo vive in prima persona!

"Semplice" direte voi?! Si, non abbiamo detto "facile"... ma "semplice"!

A dire il vero ci riteniamo fortunati ad avere incontrato numerose volte nelle nostre vite personaggi simili, ma con amarezza constatiamo come non si trattasse (se non forse in un paio di rari casi) di Maestri di Aikido!

Ci basta guardare le vite personali della maggioranza degli Shihan e la loro capacità di intrattenere rapporti armonici per constatare quanto si sia lontani dallo stereotipo di Maestro della tradizione orientale...

E quindi... dove andare?


Al giorno d'oggi ci sono sicuramente molti abili "tecnici"dell'Aikido, dai frequentare per apprendere preziosi elementi che torneranno sicuramente utili nel proprio percorso, ma i Maestri non si trovano di solito sulle Pagine Gialle...

Questo non significa però che non ci siano e che non operino anche adesso, magari molto meno interessati ad apparire tali, giacché sono più impegnati rispetto a qualsiasi altra cosa ad esserlo sul serio.

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