lunedì 1 giugno 2009

Stereotipi improbabili e Aiki-realtà imprevedibili 1


Sia sui tatami, sia nei Dojo virtuali del Web si fa un gran parlare rispetto all'efficacia dell'Aikido in caso di aggressione reale da parte di un mal intenzionato.

C'è chi crede ciecamente nella potenza devastante dei suoi kotegaeshi, chi guarda la nostra pratica alla luce di altre esperienze marziali... magari giudicandola inefficace in caso di applicazione realistica... si trova veramente di tutto.

Il fatto veramente straordinario è che qualsiasi posizione si prenda in merito c'è sempre chi è pronto a difendere a spada tratta l'esatto contrario.

Non siamo qui per stabilire l'effettiva potenzialità marziale dell'Aikido, ce ne guardiamo bene, ma per favorire una riflessione personale ed uno scambio rispetto ad uno dei temi più controversi della nostra Arte: gli attacchi e le tecniche di Aikido da cui esse scaturiscono.

Prese di tutti i tipi, operate da uno o più individui contemporaneamente, fendenti, affondi, a mano armata o meno...

Da questi punti di partenza ciascuno di noi apprende come sbilanciare il proprio attaccante e controllarlo al suolo. Ma c'è un aspetto profondo che lega gli attacchi al realistico e sfortunato caso di confronto reale con l'inaspettata violenza?

Shomen uchi, yokomen uchi, kata dori, ushiro ryote dori... sono attacchi codificati che più o meno tutti noi conosciamo. Ci siamo mai chiesti per quale ragione sono fatti in questo modo e non in un altro?

Semplice: questi attacchi sono il risultato dell'ottimizzazione di moltissimi altri precedenti, rispetto ai quali si sono rivelati più efficaci e decisivi in caso di loro applicazione reale contro una persona! Un tempo c'era molto materiale umano con cui studiare, perciò le tecniche di offesa venivano provate e promosse sul campo, più che in sedi accademiche!

I praticanti si allenavano a colpire, oltre che ad evadere gli attacchi. C'era una cura e tecnica dell'attacco, così come ora cerchiamo principi che ne controllano gli effetti.

Poteva essere letteralmente mortale ricevere uno shomen uchi al tempo in cui le mani erano allenate al punto di poter ledere le ossa del cranio.

Un tempo i samurai giravano normalmente per le strade con una spada: tachi dori poteva essere applicabile poiché c'era chi sapeva e poteva colpire con questa micidiale arma!

Ora forse la maggior parte dei praticanti si fratturerebbero le mani se arrivassero realmente a segno con un loro attacco, né c'è più alcuna possibilità di incontrare dietro l'angolo un ronin che ci attacca con la katana...

Un attacco codificato è interessante se realmente massimizza il suo effetto rispetto a qualunque altra cosa simile che potremmo realizzare: è come dire "se riesci a controllare questo attacco, riuscirai a maggior ragione a fare lo stesso con tutto ciò che funziona meno".

Questa crediamo fosse stata l'antica ragione che ha portato a creare la diffusione delle stereotipie, un'ottima e razionale ragione didattica.

Ma oggi non è più quel tempo: siamo sovente così impegnati ad imparare le tecniche di evasione dai suddetti attacchi, da non prestare sufficientemente attenzione alla pericolosità reale degli stessi... con il rischio di "difenderci bene da un pericolo inesistente".

Pensate, allenarsi per anni ed anni a gestire un attacco inefficace, credendolo mortale... quanto snaturerebbe l'autenticità delle capacità marziali che crediamo di andare sviluppando!

Sotto quest'ottica, che efficacia reale può avere l'Aikido in caso di applicazione ad un attacco vero?

Nessuna, se ci siamo allenati ad incontrarne solo di finti... ed inoltre, chi ci attaccherebbe comunque con un jo per la strada o ci farebbe yokomen uchi?

Queste sono le tesi di coloro che vorrebbero screditare marzialmente l'Aikido nei confronti di Kick Boxing, Muay Thai e di altre discipline da combattimento... o più semplicemente di un ubriaco che aggredisce con un collo rotto di bottiglia in mano!

Molti dibattono a questo livello e non trovano una reale soluzione dell'arcano: si confrontano scuole, praticanti... "quello non riuscirebbe ad evadere dalla mia presa", "questo non si può fare se lo attaccassi io"... etc, etc, etc.

La stessa cosa dicasi per le tecniche che si apprendono: c'è chi ne studia tantissime, per avere più possibilità in caso di confronto realistico (l'Aikido è pur sempre un'Arte Marziale, oltre che una via di integrazione e crescita personale)... c'è chi non ne studia alcuna perché non ritiene più che si debba praticare Aikido per giungere a controllare un conflitto fisico reale, ma solo per studiare se stessi tramite l'energia che il partner ci regala.

Che posizione scegliere? Perché soprattutto scegliere?!

Chi impara molte tecniche credendo di avere così più strumenti di difesa in caso di necessità, forse non sbaglia del tutto: è come se si provasse tanti abiti diversi, per essere sempre abbigliato al meglio in caso dovesse essere invitato ad occasioni mondane di diverso tipo... un battesimo, un matrimonio, un funerale, un addio al celibato...

Il problema è che comunque, per quanto sia grande il suo guardaroba, non potrà contenere tutti i vestiti del mondo (che gli garantirebbero un successo evidente in ogni situazione), quindi dovrà comunque sempre adattare ciò che ha alla situazione che si presenta. Se ha 3 vestiti, avrà 3 possibilità di scelta, se ne possiede 30, avrà più probabilità di trovarne uno adatto...

... ma adatto, non fatto per l'occasione, in quanto i tipi di festa - fuor di metafora - i tipi di attacco sono pressoché infiniti, e non si può pensare di avere precedentemente appreso una tecnica adeguata per ciascuno di essi.

Se così fosse l'energia dell'aggressione ci travolgerebbe prima che noi terminassimo di cercare quale tecnica da indossare nel nostro grande "Aiki-armadio"!

Poi noi ci alleniamo per anni ad intercettare una mano che colpisce più o meno efficacemente il capo in modo frontale, ma cosa succederebbe se ci calciassero un ginocchio, se ci dessero una testata nel torace?

C'è chi dice che gli attacchi più "tosti" sono quelli su cui ci si prepara, ma siamo certi che ci sapremo all'istante adattare all'inaspettato e sconosciuto?

In realtà nessuno forse sa davvero come potrebbe gestire una simile situazione imprevista, fino a quando non ci si dovesse malauguratamente trovare.

La realtà è la realtà, ed è per definizione molto distante da ogni forma di stereotipia: la sua caratteristica principale è una polimorfica imprevedibilità.

Nessuna Arte Marziale, a nostro dire, fornisce la certezza di completa efficacia in caso di confronto reale, proprio per via di questa intrinseca imprevedibilità degli eventi. Il praticante più esperto del mondo potrebbe venire aggredito proprio il giorno in cui si sente triste e meno in salute, mentre sta contro sole camminando in direzione di una buccia di banana!!!

Cosa sarebbe servito divenire così esperti se le circostanze fossero così distanti dalla pratica alla quale ci siamo dedicati per anni?

L'adattabilità potrebbe essere una prima chiave di lettura.

L'essere capaci di ricondurre ciò che abbiamo appreso alla situazione peculiare che ci troviamo a vivere è come cercare il vestito in nostro possesso che meglio figura all'occasione mondana che ci attende. Ma per scegliere velocemente in caso di vita o di morte è richiesta estrema flessibilità, versatilità di pensiero e di azione, pena vestirsi in modo giusto solo per il proprio funerale.

Poi adattabilità, come si diceva, non è sinonimo di completa adesione alla realtà, di piena efficacia.

Come fare dunque?

Noi non siamo interessati ad offrire una ricetta magica, ma vi esortiamo a riflettere fino alla conclusione di questo articolo, on-line nel Post della prossima settimana.

Intanto uno sguardo a quanto, talvolta, le proprie credenze si rivelino parziali o infondate al momento del confronto con il reale, con il prossimo.
Nel video che segue, il Maestro di Ki probabilmente era realmente convinto di poter eseguire queste fantastiche evoluzioni energetiche con i propri avversari...



ma nel prosieguo c'è la dimostrazione di quanto gli è stao mostrato che si sbagliasse!


Uno dei segreti potrebbe essere proprio una sana adesione alla realtà che non ci costringa alle gabbie dorate di tranquillizzanti certezze: essere al posto giusto al momento giusto è la dinamica migliore sia di chi vuole attaccare, sia di chi vuole gestire un attacco...

Questo è difficile: ecco perché studiamo!

(to be continued...)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

è ammirevole vedere affrontato un argomento così delicato e il modo in cui è stato fatto...
Good!!

Anonimo ha detto...

Piuttosto che "quello non riuscirebbe ad evadere dalla mia presa", "questo non si può fare se lo attaccassi io" io mi alleno mentalmente a questo "come potrei difendermi con quel poco che conosco contro un attacco di quel genere?", in questo modo metto sempre in discussione quello che so perchè secondo me dubitare delle proprie certezze è un metodo per migliorarsi sempre.
E poi se qualcuno deve attaccarmi speriamo che non sia in un giorno triste, contro sole, mentre cammino su una buccia di banana, ah, ah, ah!
Buon aiki-armadio a tutti!!!
Attendo con ansia il seguito dell'interessante articolo!

Chakram.